Titolo
flaubertiano per una storia di amour fou.
Personale, dell’autrice, Ernaux racconta in forma diaristica, il che la rende
più piccante. Con un giovane russo – non proprio giovane, di 38 anni, ma glabro,
come un ragazzo, oltre che alto, occhi verdi, biondiccio, mentre lei, se ha l’età della scrittrice, nel
1988 ne ha 48, e senza tacchi gli arriva al mento.
Una confessione? Si direbbe, per aggiungere al piccante degli incontri, ma non è
così che avviene: il racconto è proprio flaubertiano, quasi casto. A parte il
bisogno dei due amanti di vedersi, a date e ore e luoghi incerti ma allora subito, per un anno
circa. Lei scrittrice invitata nella Russia di Gorbacev, 1988, per turismo e conferenze, lui accompagnatore-interprete.
Con un po’ del mistero che accompagna(va) gli interpreti-guida russi, essendo anche spie.
La
storia nasce a Leningrado, alla fine del viaggio della scrittrice, ma prosegue
poi a Parigi, dove l’interprete è inviato, all’ambasciata, con generici compiti
“culturali” – ma confessa: “Lavoro nella sicurezza, è complicato”. Lui
telefona, in giorni e a ore imprevedibili, e lei entra in orgasmo, per sedute
di torridi amplessi, da due a quattro ore. Quando non telefona, le manca.
Una
storia vera? Un tentativo di uscire dal marchio Ernaux, dei grandi eventi che si
dipanano attraverso fili personali e
familiari? Lei stessa non sa decidere, verso la fine del racconto, che cosa sta
raccontando, perché non sa che storia ha vissuto: per tutto il rapporto “ho
avuto l’impressione di vivere la mia passione sul modo romanzesco, ma non so
ora su che modo la scrivo, se quello della testimonianza, o delle confidenze
come se ne praticano nei giornali femminili, quello del manifesto o processo
verbale, oppure del commento al testo”.
Storia
d’amore, di sesso, di una donna matura – “Lui mi fa dono del suo desiderio”.
Lui, A., senza nome, è praticamente muto: lei sa che non sarà “mai sicura che
di una cosa: il suo desiderio o la sua assenza di desiderio”. Anzi, di due.
“Avevo il privilegio di vivere dall’inizio, costantemente, in tutta coscienza,
quanto si finisce sempre per scoprire con stupore e sgomento: l’uomo che si
ama è un estraneo”.
Per
mettersi alla prova, la scrittrice protagonista si allontana, va a Firenze. Di
cui racconta vivace, per variare e rimpolpare il racconto - con un solo
errore, piazza San Michelangelo invece
di piazzale Michelangelo. Altro errore, veniale, fa a Padova, nel corso del suo
viaggio rituale a Venezia, ogni anno o quasi, quando lui è già partito,
attaccando “sulla parete della tomba di sant’Antonio” il ritratto di A., una
foto sfocata, l’unico ricordo, come preghiera per un suo ritorno.
Dal
racconto è stato tratto il film “L’amante russo” (“Passione semplice” in
originale), in concorso a Venezia. Pieno invece, questo, di scene bollenti.
Annie
Ernaux, Passione semplice, Bur, pp.
80 € 8
Una confessione? Si direbbe, per aggiungere al piccante degli incontri, ma non è così che avviene: il racconto è proprio flaubertiano, quasi casto. A parte il bisogno dei due amanti di vedersi, a date e ore e luoghi incerti ma allora subito, per un anno circa. Lei scrittrice invitata nella Russia di Gorbacev, 1988, per turismo e conferenze, lui accompagnatore-interprete. Con un po’ del mistero che accompagna(va) gli interpreti-guida russi, essendo anche spie.
La storia nasce a Leningrado, alla fine del viaggio della scrittrice, ma prosegue poi a Parigi, dove l’interprete è inviato, all’ambasciata, con generici compiti “culturali” – ma confessa: “Lavoro nella sicurezza, è complicato”. Lui telefona, in giorni e a ore imprevedibili, e lei entra in orgasmo, per sedute di torridi amplessi, da due a quattro ore. Quando non telefona, le manca.
Una storia vera? Un tentativo di uscire dal marchio Ernaux, dei grandi eventi che si dipanano attraverso fili personali e familiari? Lei stessa non sa decidere, verso la fine del racconto, che cosa sta raccontando, perché non sa che storia ha vissuto: per tutto il rapporto “ho avuto l’impressione di vivere la mia passione sul modo romanzesco, ma non so ora su che modo la scrivo, se quello della testimonianza, o delle confidenze come se ne praticano nei giornali femminili, quello del manifesto o processo verbale, oppure del commento al testo”.
Storia d’amore, di sesso, di una donna matura – “Lui mi fa dono del suo desiderio”. Lui, A., senza nome, è praticamente muto: lei sa che non sarà “mai sicura che di una cosa: il suo desiderio o la sua assenza di desiderio”. Anzi, di due. “Avevo il privilegio di vivere dall’inizio, costantemente, in tutta coscienza, quanto si finisce sempre per scoprire con stupore e sgomento: l’uomo che si ama è un estraneo”.
Per mettersi alla prova, la scrittrice protagonista si allontana, va a Firenze. Di cui racconta vivace, per variare e rimpolpare il racconto - con un solo errore, piazza San Michelangelo invece di piazzale Michelangelo. Altro errore, veniale, fa a Padova, nel corso del suo viaggio rituale a Venezia, ogni anno o quasi, quando lui è già partito, attaccando “sulla parete della tomba di sant’Antonio” il ritratto di A., una foto sfocata, l’unico ricordo, come preghiera per un suo ritorno.
Dal racconto è stato tratto il film “L’amante russo” (“Passione semplice” in originale), in concorso a Venezia. Pieno invece, questo, di scene bollenti.
Annie Ernaux, Passione semplice, Bur, pp. 80 € 8
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