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Marx non è morto
Sorprendente
riproposta, in piena globalizzazione e malgrado la pandemia, di Marx, seppure
riletto criticamente da Berlin, anche lui un altro classico, ma, a questo
punto, del pensiero liberale. Perché Marx resta, al fondo, un liberale – certo non
borghese: un libertario? Insomma, come
avrebe detto Derrida dopo il Muro, Marx resta “unheimlich”,
perturbante.
La
quarta edizione che si ripropone, pubblicata da Berlin nel 1978, a quarant’anni
dalla prima, 1939, dimezzata per ragioni editoriali, benché ancora pingue, tiene
conto, spiega Berlin, del vasto dibattito sul marxismo che la crescita sovietica
nel dopoguerra ha propiziato. Lo stesso punto di vista di Berlin è cambiato, va
aggiunto: da una posizione “sdraiata”, lukáksiana, “forse troppo profondamente
influenzata dalle interpretazioni classiche di Engels, Plekhanov, Mehring”, a
una più libera. Elaborata con l’accesso e l’anamnesi del personaggio. In un
quadro diverso del mondo, dell’Europa, nel secondo dopoguerra: col sovietismo (“marxismo-leninismo”)
al potere in mezzo continente (e di tutto il dibattito di idee – insomma,
diciamo al 90 per cento), mentre prima della guerra dominante era Hitler.
Berlin
non si lascia prendere la mano dalla guerra fredda - dalla polemica anti-sovietica
- ma la revisione indirizza con chiarezza fin dalla nuova introduzione. L’incipit
dell’opera lascia inalterato: “Nessun
pensatore dell’Ottocento ha avuto un’influenza così diretta, meditata e
profonda sull’umanità quanto quella esercitata da Karl Marx”. Lo svolgimento, a
partire dalla nuova introduzione, è più riflessivo. E molto centrato sul personaggio,
più che sull’opera: il suo “Karl Marx” ultima edizione è una biografia
politica, più che una teoria critica del marxismo.
Di un economista, per cominciare, per caso.
Dopo che nel 1843, alla direzione della “Rheinische Zeitung” nelle ultime
settimane della breve vita del giornale, in una controversia col governo prussiano
su una questione di tasse, capì che non ne capiva nulla. Ma anche
politicamente, “gli mancavano totalmente le qualità di un grande leader o
agitatore politico; non era un pubblicista di genio, come il democratico russo
Alexander Herzen, né possedeva la meravigliosa eloquenza di Bakunin; la maggior
parte dela sua vita lavorativa spese in relativa oscurità a Londra, al suo
tavolo nella sala di lettura del British Museum”. Per temperamento, formazione,
e programma non era un visionario né un profeta: maturò le sue convinzioni
socialiste progressivamente, a partire dal 1847. Sempre contrario ai “metodi
cospirativi, che riteneva obsoleti e inefficaci”.
Molto intellettuale, per nulla sentimentale,
fermo negli odi come nelle amicizie, sospettoso anche, e brusco, Marx è “un dogmatico
e sentenzioso maestro di scuola tedesco”, ma scrive “con lentezza e fatica,
come spesso accade ai pensatori rapidi e fertili”. Lui stesso si è paragonato
una volta all’eroe del “Capolavoro sconosciuto”, il racconto di Balzac – il pittore
che non riusciva a dipingere il quadro che vedeva. “Per tutta la vita isolato
fra i rivoluzionari dei suoi tempi”, gli altri socialisti ritenendo per lo più “stupidi
o sicofanti”. Come tutti i rivouzionari, insomma, presi dall’utopia,
intrattabile. Ma con una differenza: il rivoluzionario, di deriva inevitabilmente
giacobina, presume di sé, ha fiducia cieca nelle possibilità dell’individuo,
Marx invece, assoluta novità, cerca le “leggi”, delle azioni e degli eventi.
Molto lavoro è dedicato alla ricerca delle “fonti
dirette” di “ogni singola dottrina sostenuta da Marx”: Ma con l’avvertenza che “non
c’era carenza di teorie sociali nel Settecento”. Come a dire: le “fonti” non portano
a niente (ma Berlin stesso vi s’immerge).
L’introduzione termina con un quadro sorprendente
dell’Ottocento – Berlin ha mente politica, ma di più è ottimo scrittore: “In un’epoca che distruggeva i suoi avversari con
metodi non meno efficienti per essere composti e lenti, che forzarono Carlyle e
Schopenhauer a cercare rifugio in civiltà remote o in un passato idealizzato, e
condusse il suo arci-nemico Nietzsche all’isteria e alla follia, solo Marx
rimase sicuro e formidabile. Come un antico profeta impegnato in un compito
imposto su di lui dal cielo…” - anche se, opina Berlin, soffriva di “un latente
rifiuto del fatto di essere nato ebreo”: amichevole con gli amici, ma un po’
misantropo, come uno che vive “in un mondo ostile e volgare”.
Isaiah
Berlin, Karl Marx, Adelphi, pp. 400
€ 28
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