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Secondi pensieri - 458
zeulig
Emigrare – Era consigliato
già da Epitteto, “”Manuale”, III, 16: “I filosofi consigliano di ritirarsi
anche dalla propria patria, perché le antiche abitudini distraggono e non permettono
l’inizio di altro costume… Così fanno bene i medici a mandare gli ammalati
cronici in altro territorio, in altre arie”.
Germania – “La Germania è una lunga elevata montagna –
sotto il mare”, è riflessione di Jean Paul confidata a una delle note del
“Viaggio a Flätz”: umoristica?
Per Quinet il concetto di libertà personale ci è venuto dai tedeschi,
per i quali è sempre stato importante. E
un fondamento c’è – che Quinet non menziona: l’anarchia tribale. La Riforma si
sarebbe fondata sul concetto di libertà personale, rafforzandolo. A Quinet si
può dare anche un seguito: l’iniziativa socialista, il ibelismo di Weimar, di
sinistra e di destra, il radicalismo femminista e verde.
In effetti i tedeschi bevono, e guidano l’automobile, in tutta solitudine.
Resta da spiegare il conformismo, che è indiscutibile. Non solo sotto Hitler,
ma anche dopo la guerra. I tedeschi hanno combattuto contro la dittatura sovietizzante
molto meno – in opere e in pensiero – dei polacchi, degli ungheresi, dei cecoslovacchi.
Anche nel 1989 sono venuti dopo la Polonia, l’Ungheria, la Cecoslovacchia. Sono
fuggiti, non i sono ribellati. La fuga
sì, la resistenza no: quella è individuale, questa è collettiva.
I due fatti si conciliano nell’ormai canonico dualismo di libertà personale
e conformismo sociale. È vero, come si è sempre detto (ma meglio di tutti lo
dice a ogni pagina Goethe), che la filosofia tedesca ha solo un concetto interiore,
intimo, della libertà. Non l’ha mai pensata come fatto collettivo, non ha il suo
Hobbes, il suo Montesquieu o Rousseau, il suo Machiavelli. È per questo, va
aggiunto, che non ha una dottrina liberale, perché il liberalismo presuppone
una dottrina politica del corpo sociale, non solo del diritto e dello Stato.
Ma perché si arriva al conformismo sociale, e questo dura ancora
oggi, dopo la lunga “americanizzazione” postbellica? Perché è prevalente il
pietismo della chiesa luterana (v. Max Weber). La libertà della Riforma è
finita in Germania prima di cominciare, con la Guerra dei contadini. E il conformismo
ha messo radici all’evidenza durature con la Guerra dei Trent’ani. La libertà è
mobile – non si acquista per sempre. Mentre in Germania è risorgente l’ “auffa!”
e il “ne abbiamo abbastanza!”. Che dice quanto la parte liberale del
protestantesimo – i dissenters – sia limitata.
Il crollo del Muro e la riunificazione sono arrivati in un momento in
cui la Repubblica Federale, dopo otto anni di “cura del sonno” Kohl, ha perduto
il mordente, la creatività, l’apertura degli anni “socialisti”, tra il ’60 e l’
’80. È una Rft da vecchi staterelli germanici, tutta Volk, Heimat e Spießurger.
In questi anni si è ripittata a perfezione – il decoro soprattutto – ma è
tornata ai sandali, alle calzettine e alle bande in costume.
Globalizzazione – Il libero
scambio, la dottrina economica forse più vituperata di tutte, è il maggiore egualizzatore
della storia, del reddito e della condizione sociale, della potenza politica –
il maggior creatore e distributore di risorse, a tutti. Di reddito e opportunità
per tutti, fatti salvi anche i principi identificativi comuni a una singola
umanità, senza distinzioni di cultura o pelle. Anche nelle are deprivate in Africa
e in Asia. Con un effetto perverso, implicito in ogni egualizzazione, sul reddito
e il benessere delle popolazioni e le classi già più ricche e abbienti, geograficamente
anche localizzate in aree ristrette e ben precise, Europa (soprattutto Europa
occidentale) Senza impoverirle, solo limitandone
la crescita e la ricchezza, e le ragioni di scambio – là dove ancora se ne
possono individuare, fra sistemi economici diversi pur in un’opera mondiale di
libero scambio. I termini di confronto con la altre aree produttive, che
registrano valori di crescita doppi e tripli - in un’area cioè di sviluppo
generale per tutti, beneficiando comunque della globalizzazione – è il problema,
e il nodo, dei tentativi americani da una decina d’anni a questa parte di limitarne
gli automatismi.
Mito – È una funzione
della realtà, altra che una figurazione “classica”, cioè remota, per lo più
inspiegata - se non simbolicamente o per visioni proprie, individuali. Si può
dire quotidiano, la figurazione che fa da filo conduttore alle esistenze che si
vogliono vissute – ci sono esistenze inconsapevoli, che vanno avanti per
inerzia (fino a morte), ed esistenze vissute – pensate, immaginate,
argomentate.
È caratteristica creazione dei “viaggi”, di fantasia ma pure di
persona (che comunque molto sono di fantasia). Caratteristica
l’idealizzazione-immaginazione del ragazzo meridionale nella fantasia
omosessuale, di Pasolini o Wilde o Peyrefitte o ean-Noël Schifano a Napoli, di
Gide e Wilde a Algeri. “Attis, Ganimede, Endimione,. Antinoo”, ci trova nei
“Diari” (“ Tagebücher”, 244 e 320) lo scrittore svizzero Kuno Raeber quando,
divorziato dalla moglie dopo due figli perché omosessuale, passa un mese in
Calabria nel 1862, a Tropea e Crotone. Aperto al mito peraltro non solo su
questo aspetto ma anche, di più, sulla religiosità, sul culto della donna-Madonna,
pure tanto trascurata e sempre “a casa”.
Per una religiosità “più complessa e nello stesso tempo più terrena, più
semplice, più carnale, più primitiva di quella cristiana” – non “come
costruzione dogmatica o regola di vita ma come arca di esperienze mistiche,
fortezza dove rifugiarsi per sfuggire alla steppificazione dell’era glaciale
prossima ventura”.
Natura – “Erbe, fiori, piante
non sono realistici. Sono la prova indubitabile che la natura, come ovvio, è
estremamente innaturale”: lo scrittore Giorgio Manganelli, recensendo, 1979, il
paesaggista Ippolito Pizzetti. Di che natura parliamo?
Non è solo la confusione del parlare comune. Lo scrittore fa un
doppio scivolamento-travisamento di “natura” e di “innaturale”. Per natura
intendendo un mondo (insieme? processo? materia?) sempre e solo anarcoide (e improduttivo?).
Nonché tra reale e …che cosa, irreale? Ma non è solo improprio o confuso, lo
scrittore pone un problema: per questo, per essere “naturale”, la natura è incapace
di produrre alcunché? Ma se è (solo) produzione, e inesauribile.
zeulig@antiit.eu
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