martedì 21 settembre 2021

Secondi pensieri - 458

zeulig


Emigrare – Era consigliato già da Epitteto, “”Manuale”, III, 16: “I filosofi consigliano di ritirarsi anche dalla propria patria, perché le antiche abitudini distraggono e non permettono l’inizio di altro costume… Così fanno bene i medici a mandare gli ammalati cronici in altro territorio, in altre arie”.
 
Germania
– “La Germania è una lunga elevata montagna – sotto il mare”, è riflessione di Jean Paul confidata a una delle note del “Viaggio a Flätz”: umoristica?
 
Per Quinet il concetto di libertà personale ci è venuto dai tedeschi, per i quali è sempre stato importante.  E un fondamento c’è – che Quinet non menziona: l’anarchia tribale. La Riforma si sarebbe fondata sul concetto di libertà personale, rafforzandolo. A Quinet si può dare anche un seguito: l’iniziativa socialista, il ibelismo di Weimar, di sinistra e di destra, il radicalismo femminista e verde.
In effetti i tedeschi bevono, e guidano l’automobile, in tutta solitudine. Resta da spiegare il conformismo, che è indiscutibile. Non solo sotto Hitler, ma anche dopo la guerra. I tedeschi hanno combattuto contro la dittatura sovietizzante molto meno – in opere e in pensiero – dei polacchi, degli ungheresi, dei cecoslovacchi. Anche nel 1989 sono venuti dopo la Polonia, l’Ungheria, la Cecoslovacchia. Sono fuggiti, non i sono ribellati.  La fuga sì, la resistenza no: quella è individuale, questa è collettiva.
I due fatti si conciliano nell’ormai canonico dualismo di libertà personale e conformismo sociale. È vero, come si è sempre detto (ma meglio di tutti lo dice a ogni pagina Goethe), che la filosofia tedesca ha solo un concetto interiore, intimo, della libertà. Non l’ha mai pensata come fatto collettivo, non ha il suo Hobbes, il suo Montesquieu o Rousseau, il suo Machiavelli. È per questo, va aggiunto, che non ha una dottrina liberale, perché il liberalismo presuppone una dottrina politica del corpo sociale, non solo del diritto e dello Stato.
Ma perché si arriva al conformismo sociale, e questo dura ancora oggi, dopo la lunga “americanizzazione” postbellica? Perché è prevalente il pietismo della chiesa luterana (v. Max Weber). La libertà della Riforma è finita in Germania prima di cominciare, con la Guerra dei contadini. E il conformismo ha messo radici all’evidenza durature con la Guerra dei Trent’ani. La libertà è mobile – non si acquista per sempre. Mentre in Germania è risorgente l’ “auffa!” e il “ne abbiamo abbastanza!”. Che dice quanto la parte liberale del protestantesimo – i dissenters – sia limitata.
 
Il crollo del Muro e la riunificazione sono arrivati in un momento in cui la Repubblica Federale, dopo otto anni di “cura del sonno” Kohl, ha perduto il mordente, la creatività, l’apertura degli anni “socialisti”, tra il ’60 e l’ ’80. È una Rft da vecchi staterelli germanici, tutta Volk, Heimat e Spießurger. In questi anni si è ripittata a perfezione – il decoro soprattutto – ma è tornata ai sandali, alle calzettine e alle bande in costume.
 
Globalizzazione
– Il libero scambio, la dottrina economica forse più vituperata di tutte, è il maggiore egualizzatore della storia, del reddito e della condizione sociale, della potenza politica – il maggior creatore e distributore di risorse, a tutti. Di reddito e opportunità per tutti, fatti salvi anche i principi identificativi comuni a una singola umanità, senza distinzioni di cultura o pelle. Anche nelle are deprivate in Africa e in Asia. Con un effetto perverso, implicito in ogni egualizzazione, sul reddito e il benessere delle popolazioni e le classi già più ricche e abbienti, geograficamente anche localizzate in aree ristrette e ben precise, Europa (soprattutto Europa occidentale) Senza  impoverirle, solo limitandone la crescita e la ricchezza, e le ragioni di scambio – là dove ancora se ne possono individuare, fra sistemi economici diversi pur in un’opera mondiale di libero scambio. I termini di confronto con la altre aree produttive, che registrano valori di crescita doppi e tripli - in un’area cioè di sviluppo generale per tutti, beneficiando comunque della globalizzazione – è il problema, e il nodo, dei tentativi americani da una decina d’anni a questa parte di limitarne gli automatismi.
 
Mito – È una funzione della realtà, altra che una figurazione “classica”, cioè remota, per lo più inspiegata - se non simbolicamente o per visioni proprie, individuali. Si può dire quotidiano, la figurazione che fa da filo conduttore alle esistenze che si vogliono vissute – ci sono esistenze inconsapevoli, che vanno avanti per inerzia (fino a morte), ed esistenze vissute – pensate, immaginate, argomentate.
È caratteristica creazione dei “viaggi”, di fantasia ma pure di persona (che comunque molto sono di fantasia). Caratteristica l’idealizzazione-immaginazione del ragazzo meridionale nella fantasia omosessuale, di Pasolini o Wilde o Peyrefitte o ean-Noël Schifano a Napoli, di Gide e Wilde a Algeri. “Attis, Ganimede, Endimione,. Antinoo”, ci trova nei “Diari” (“ Tagebücher”, 244 e 320) lo scrittore svizzero Kuno Raeber quando, divorziato dalla moglie dopo due figli perché omosessuale, passa un mese in Calabria nel 1862, a Tropea e Crotone. Aperto al mito peraltro non solo su questo aspetto ma anche, di più, sulla religiosità, sul culto della donna-Madonna, pure tanto trascurata e sempre  “a casa”. Per una religiosità “più complessa e nello stesso tempo più terrena, più semplice, più carnale, più primitiva di quella cristiana” – non “come costruzione dogmatica o regola di vita ma come arca di esperienze mistiche, fortezza dove rifugiarsi per sfuggire alla steppificazione dell’era glaciale prossima ventura”.
 
Natura – “Erbe, fiori, piante non sono realistici. Sono la prova indubitabile che la natura, come ovvio, è estremamente innaturale”: lo scrittore Giorgio Manganelli, recensendo, 1979, il paesaggista Ippolito Pizzetti. Di che natura parliamo?
Non è solo la confusione del parlare comune. Lo scrittore fa un doppio scivolamento-travisamento di “natura” e di “innaturale”. Per natura intendendo un mondo (insieme? processo? materia?)  sempre e solo anarcoide (e improduttivo?). Nonché tra reale e …che cosa, irreale? Ma non è solo improprio o confuso, lo scrittore pone un problema: per questo, per essere “naturale”, la natura è incapace di produrre alcunché? Ma se è (solo) produzione, e inesauribile.


zeulig@antiit.eu 

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