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martedì 26 ottobre 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (472)

Giuseppe Leuzzi

Giuseppe Berto, volontario in camicia nera in Libia nel 1942,  nelle settimane di Alamein, trova nel suo battaglione molti “complementi”, militi cioè arruolati: “Si trovano in Africa da appena un anno, sono brava gente, tutt’altro che bellicosi, e volontari per modo di dire. Sono in gran parte braccianti siciliani e calabresi, con moglie e figli a casa, arruolati con un trucco”: disoccupati, che il federale ha convinto ad arruolarsi con la promessa di un lavoro – per magnificare la fede fascista nel suo distretto.
 
Questi “complementi”, aggiunge Berto, “non è detto che siano dei cattivi soldati”, anzi, sono migliori degli anziani, “antemarcia” convinti. “Certo, desidererebbero tornarsene a casa, magari a mangiare pane e peperoni”, ma questo non essendo possibile si adattano: “Appena ricevuta la paga spediscono il vaglia a casa”. La paga, cioè il “soldo” militare, pochi centesimi al giorno.    
 
Anche Berto trova in questi “complementi” siciliani e calabresi al fronte in Africa un’attitudine alla celia, malgrado il rischio di morte improvvisa, o di sfacelo fisico, tra granate e schegge, da terra e dall’aria. Allo scherzo, alla divagazione – quello che in calabrese si dice “zannella”. Ne ricava la lezione, che validerà ancora vent’anni dopo, autore di successo in tempo di pace, che è “l’unica via per sfuggire alla paralisi della nevrosi”.

In un’intemerata contro Roma sul  “Corriere della sera”, la solita solfa di quant’è bella Milano, il giornalista Segantini può permettersi di dire: “In alcune Regioni del Sud ci sono più discariche che Comuni”. Tutto si può dire?

Si fa il quadro a fine settimana e si dà l’Italia in ritardo sull’obbiettivo di almeno una prima vaccinazione al 90 per cento entro novembre – la media è all’86 per cento. Dando la colpa a tre regioni meridionali, Sicilia, Calabria e Campania, ferme attorno all’80 per cento. Senza dire che hanno i vaccini contati e in ritardo.
 
Più indietro di tutti sui vaccini sono Trieste e Bolzano. Dove le dosi ce le hanno ma non le usano. E questa sì che sarebbe una notizia. Ma la Mitteleuropa non “fa notizia” in negativo, solo il Sud può “farla”. Anche se “basta la parola”, ed è detto tutto.
 
Vissi d’aria
Nord e Sud, la tecnica e la cultura? La ricchezza e la povertà? Nella profusa conversazione con Umberto Eco in difesa del libro, “Non sperate di sbarazzarvi del libro”, lo sceneggiatore francese Jean-Claude Carrière, storico della stupidaggine, arrivati a “Cuneo”, la Cuneo delle vecchie barzellette, osserva: “Cuneo è al nord dell’Italia. Ho l’impressione che per ogni popolo le persone molto stupide sono sempre al Nord”. Eco spiega così l’impressione: “Beninteso, perché è al Nord che si trovano più persone che soffrono di gozzo, è al Nord che ci sono le montagne che simboleggiano l’isolamento, è ancora dal Nord che si presentavano i barbari per irrompere sulle nostre città. È la vendetta della gente del Sud che ha meno denaro, che è tecnicamente meno sviluppata”.
Poi Eco aggiunge: “La gente del Sud ha sempre rimproverato a quella del Nord di mancare di cultura. La cutura è talvolta l’ultimo baluardo della frustrazione tecnologica.”. 
È sempre Otello Profazio, “ ‘cca ‘ndavimu l’aria” – sia pure musicale. Cultura è un po’ troppo: vuole studio, applicazione, e fiducia, o rispetto degli altri. Senza, resta l’aria – finché sarà respirabile.   
 
Il luogo della  creazione
Il Sud come luogo della creatività prospetta Rilke nella corrispondenza intima con la pianista Magda von Hattingberg, il Sud Italia e il Sud Europa: la Sicilia, Genova, Firenze, Verona, Roma, Capri, Duino, le traduzioni da Michelangelo, l’Andalusia (Ronda, Siviglia, Condoba), Toledo, l’Egitto. La Sfinge al Cairo, la sera al tramonto e alla luce lunare, in solitudine, astraendo dalla massa turistica, è esperienza decisiva per sbloccarne la vena inaridita – l’effetto saranno le “Elegie di Duino”. O: “Quando mi ricordo della violenza immediata scatenata da qualche frammento di musica antica, come ne ho potuto ascoltare in Italia, in Spagna, o al Sud della Russia”.
Violenza, certo, di poeta. Di musiche che ora si rubricano, alle università del Sud Italia, come ballo dei mafiosi - i mafiosi ballano, come i topi? Come tutto del resto si rubrica mafioso, il ballo come il cibo, il ghiro dopo la capra, o l’abbacchio, e l’amore filiale. E se il male del Sud fossero i Carabinieri e i Procuratori della Repubblica, che invece di arrestare i malviventi indulgono al sociologismo? La rete sottile, vieta ma salda, di una sorta di “male istituzionale”?
La primavera è a Sud: “La primavera che più sento è quella conosciuta nel Sud dell’Italia, e quella davanti a cui mi sono trovato, giusto un anno fa, nelle montagne a sud della Spagna, immerso in sensazioni indicibili”. Oppure, in città, solo a Roma: “La primavera in campagna è leggiadra, ma la primavera in città!”, come a dire che disgrazia. Eccetto che a Roma: la primavera “Roma se la serra al petto, Roma è emozionata, Roma ne fa una festa, Roma, quando essa arriva attraverso la campagna già stanca per il turbinio di sensazioni, Roma l’accoglie come il padre il figliuol prodigo” – non una grande similitudine, ma l’intento è esornativo. Ma pure l’inverno è memorabile: a Capri, dove ha trascorso alcuni mesi tra 1906 e 1907, ha “accumulato immagini” di cui ha “vissuto per molti anni”.
Il Sud ha anche un effetto terapeutico sulle nevrosi del poeta: “Negli ultimi difficili anni sono stato due o tre volte sul punto di sottopormi ad analisi, presso questo mio amico (Victor Emil von Gelbshattel, n.d.r.), o presso lo stesso Freud; infine, nell’autunno del 1912, ero di fronte ad un bivio: analisi o viaggio in Spagna. Sai che ho scelto il viaggio”. Che si è rivelato un paradiso: a Ronda, “una piccola cittadina spagnola, non lontana da Gibilterra”, che ricorda “incomparabile, era l’Antico Testamento dipinto con tutta la ricchezza dell’immaginazione”, ha trascorso “notti d’una intensità inaudita”, sotto un cielo che di continuo si apre - “il cielo aveva qualcosa di grandioso, e grandiosa era l’espressione che l’essenza della terra riceveva dalle ombre delle nuvole…”.
Sud è stato per molto tempo un riferimento spendibile, e anzi un blasone, quasi snobistico - la primavera nelle montagne in Spagna Rilke non aveva bisogno di specificare “a sud della Spagna”. Il Sud è servito a mezza Germania per raffinarsi, in poesia e in prosa, nel primo Novecento: Rilke, Hofmannstahl, George,  Trakl, Benjamin, Jünger, fino a Ingeborg Bachmann.
 
Sicilia
Si fa meraviglie di Manlio Messina, assessore regionale al Turismo, Sport e Spettacoli, settore clientelare per eccellenza, dove anche si spende molto, che ha denunciato chi intendeva corromperlo. Come un’eccezione, una rara avis. Mentre è normale, l’incorruttibilità dell’uomo di diritto, nella pratica isolana. La mafia non è corruzione, è minaccia.
 
Raccontando di Pippinu ‘u Lombarduu, nelle sue cronache di Sicilia, “Le parole sono pietre”, Carlo Levi dice che il maestro mlanese diventato capo brigante in Sicilia al processo nel 1860 si vendicò rivelando i suoi contatti con la Polizia e le autorità. Parlò, dice, perché non essendo isolano non si sentiva obbligato dall’omertà.
 
Ma non c’è di più facondi – Sciascia è un’eccezione – dei siciliani. Di cui si vogliono le labbra murate dall’omertà. Mentre sono chiacchieroni e facili accusatori, non solo dei potenti, come usa in tutta Italia, anche della povera gente, nonché dei parenti e degli stessi amici. Per non dire delle lettere anonime – lo stesso Sciascia non poté non rilevarle.
 
È bizzarro, guardando l’isola da remoto, notarne tante caratteristiche contrarie alla fama corrente. Malgrado il tanto, perfino eccessivo, sicilianismo, parlare di e sulla Sicilia come di un mondo a parte, e la imperdibile sicilutidine. Che non scalfiscono gli stereotipi. Sono costruiti anch’essi, sicilianismo e sicilutidine, sugli stereotipi?
 
Oscar Farinetti è entusiasta, imprenditore del cibo, del Sud – “vendendo la polenta non si va da nessuna parte”. Ma non sopporto più, dice, “di sentirmi dire che la colpa dei loro guai è dei piemontesi”. E mette a segno due ganci. “Con le colpe degli altri non si va da nessuna parte” è uno. L’altro: “In Sicilia ci sono più di 1.500 chilometri di costa, tra le più belle del mondo. Quella, Garibaldi non l’ha portata via. In Romagna la costa non è lunga più di cento chilometri e non è la più bella del mondo”.
 
Calabro Cheese, la recente acquisizione americana di Granarolo, ha dietro la vicenda di una diversa emigrazione. Come Commisso, il patron della Fiorentina (dopo averci provato con il Milan), emigrato dalla Calabria per creare Mediacom, quinto operatore tv via cavo negli Usa, Giuseppe Calabrò, americanizzato Joseph Calabro, è partito da Graniti, sopra Taormina, nel 1948, laureato in Matematica e Fisica, dopo aver fatto la guerra come sottotenente, e ha creato un piccolo impero con la semplice idea di importare formaggi italiani. L’emigrazione come ricerca di spazi, di mercati.

leuzzi@antiit.eu

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