Giuseppe Leuzzi
È pieno il Sud di nomi genovesi, Spinelli, Perrone, Grimaldi, eccetera. Erano prestatori di denaro ai re di Napoli, che non furono rimborsati, ma ripagati con feudi – con nomi di feudi. È una traccia visibile, che Braudel, il grande storico del Mediterraneo, ha documentato (da ultimo in “Civiltà e imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II”), di cui Carlo Cipolla fa ottima sintesi nella “Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi”, 66: “Furono genovesi coloro che, a partire dal 1521, acquistarono i feudi napoletani che Carlo V, esaurita ogni altra risorsa, dovette porre in vendita”.
Esemplare
l’intervista del dottor Permunian a “la Repubblica” - il dottore è il giudice che, nei suoi cinque anni di
servizio in prima nomina nella delicata sede di Locri, si è dedicato al grande
mafioso
Lucano, con una inchiesta
che lo ha assorbito tutto – l’arringa finale è durata dieci ore: “Sono dispiaciuto”, dice il giudice
infine sincero, “risalirò in Veneto, o in Friuli”. Lo dice non da salviniano (“Sono
stato in Africa”), da chierichetto: contro il ladro di elemosine. È sceso al
Sud, ha fatto sporco
anche il pulito, se ne risale.
Si potrebbe anche chiedere - si sarebbe potuto chiedere - al dottor Permunian, tanto buono, come mai non ha visto i migranti che a frotte sbarcano nella Locride - una (non piccola) Lampedusa di terraferma, preferita perché si può sbarcare sottraendosi ai controlli. Ma, certo, intrappolare Lucano è stato una grande fatica.
Un
quinto dei disoccupati di lunga durata nella Ue si trova in Italia, 1,13 milioni
di persone in cerca di lavoro da oltre dodici mesi in Italia, su un totale di
5,23 milioni nell’Unione Europea. Del totale italiano due terzi, 695 mila, sono
al Sud.
Un
numero in calo rispetto alla precedente rilevazione (2019), 834 mila, ma per
effetto di un maggior numero di persone (donne) che hanno rinunciato a cercare
lavoro. Ma un numero, su una popolazione al Sud e nelle isole di 20 milioni, superiore
a tutti i disoccupati di lunga durata della Germania, 489 mila, su una
popolazione di 83 milioni.
Il Nord finirà
prima del Sud
Sulla
base degli indici di natalità, o meglio di denatalità (la popolazione diminuisce),
degli ultimi tre anni (esattamente, dall’1 gennaio 2018 al 30 maggio 2021), Roberto Volpi su “La
Lettura” si diverte a prevedere quando le maggiori città italiane saranno
scomparse. Ai primi posti vengono Firenze, scomparsa fra 61 anni, e Catania,
fra 60 anni. Volpi si diverte a scegliere Catania per simulare l’estinzione.
Firenze
non sarebbe stata meglio? Una città che ha fatto l’Italia, nota nel mondo. E, a
differenza di Catania, in crollo di popolazione verticale, non da ora (per gli
abbandoni, molti fiorentini preferendo risiedere in aree circostanti, Mugello, Valdarno
eccetera): dai 458 mila abitanti del 1971 a 360 mila. Mentre la serie storica
della popolazione a Catania è un po’ al dì sopra e un po’ sotto i 300 mila abitanti,
come ora (nel Millennio è passata da 312 mila a 294 mila abitanti).
Il
demografo (nessun legame con l’omologo fiorentino specialista dei 3000 siepi?),
se pensa a una fine la pensa naturalmente al Sud. Ma il Nord, si potrebbe dire
con lo stesso spirito, finirà (demograficamente) prima del Sud.
Sudismi\sadismi
Due
mesi fa, per gli incendi in Aspromonte, il
“Corriere della sera” e il suo specialista per il Sud Gian Antonio Stella
sghignazzavano prospettando catastrofi anche con le piogge, “La Calabria che brucia d’estate e poi frana
d’inverno”
https://www.corriere.it/opinioni/21_agosto_17/calabria-che-brucia-d-estate-poi-frana-d-inverno-d4459fd8-ff76-11eb-afac-f8935f82f718.shtml.
Le
piogge sono venute, e i disastri li ha provocati in Lombardia, Liguria e
Piemonte. Ancora non siamo in inverno, e poi l’acqua, capricciosa come si sa,
prima o poi colpirà anche la Calabria. Ma Stella è preciso nei suoi anatemi.
Specialmente documentato sulla Calabria. Su questioni anche minime. Informatori
locali gli sollevano evidentemente i sassi. Per odio-di-sé? Per provincialismo
(collaborare col Grande Inviato)? Per stupidità?
Nessuno tocchi i soldi della Chiesa
Mai si era
visto una sentenza difesa immediatamente, prima ancora di essere pubblicata, a
lungo, su tutti i media possibili, dal Procuratore che l’aveva chiesta e dal Procuratore
Capo che sull’ex sindaco di Riace ha concentrato gli ultimi cinque anni di
attività della Procura di Locri, con tre dei suoi sostituti. Di Locri, al
centro della Locride, altrimenti nota alle cronache criminali - e agli sbarchi dei clandestini. È la sentenza a
carico di Lucano e dei suoi collaboratori – tutti complici. Scandalosa, ma non
nel senso evangelico.
Al
Procuratore, Michele Permunian, veneto, ha offerto una tribuna “la Repubblica”,
con Enrico Ferro, giornalista del “Mattino di Padova”, per ragioni tribali – il
dottor Permunian è di Cavarzere. Al suo
capo Luigi D’Alessio, calabrese, Rai News. In entrambe le interviste nessuna
contestazione dei giornalisti, i due giudici hanno potuto dire quello che
volevano. Che non si capisce bene eccetto che per uno spiraglio: sono buoni
credenti. Il dottor Permunian premette: “Durante gli anni dell’università collaboravo
con una comunità missionaria in Mozambico. Sono stato in Africa due volte, ho
toccato con mano la miserie e i flussi dei migranti”. D’Alessio si augura che
in Appello la condanna sia ridotta, anche lui è di buoni sentimenti. Ma dice
Lucano un malfattore perché potente, “uno degli uomini più potenti che io abbia
mai visto e io non sono uno che si spaventa”. E si capisce infine perché.
Perché a Locri per cinque anni non ci sia stato altro malfattore che Lucano:
Lucano è potente, lo era, perché intercettava i fondi dell’accoglienza.
I fondi del
terzo settore o volontariato, accoglienza compresa, sono di parrocchia, devono
essere gestiti dalla chiesa e le sue propaggini. Il processo a Lucano è come quello a Muccioli per i
fondi della droga: troppo potente, va bastonato, e poi, se si ridimensiona,
assolto - la chiesa è compassionevole, direbbe il papa.
Come si fa a
sapere questa verità? Beh, il dottor
Permunian lo dice chiaro, al sollecito Ferro. RaiNews è di parrocchia,
istituzionalmente – la Cnn della Rai ha solo fatto la difesa della requisitoria
e della Procura, non ha spiegato il processo. D’Alessio è difeso dai giudici di
Articolo 101 e di A&I, Autonomia&Indipendenza, le nuove formazioni sindacali
dei giudici paraconfessionali.
È il potere
del partito che non c’è. Fulvio Accurso, il presidente del Tribunale che ha
raddoppiato la condanna a Lucano chiesta dall’accusa, è di fresca nomina, fine
febbraio: il Csm aveva designato all’incarico la giudice Gabriella Reillo, all’unanimità,
nessun voto al concorrente Accurso. Ma presto la giudice Reillo, da Catanzaro,
dove lavora alla Corte d’Appello, ha rinunciato all’incarico, al quale aveva
concorso. Ha rinunciato non subito, dopo cinque giorni.
La vicenda è
iniziata ufficialmente con la querela di un negoziante di Riace, Francesco Ruga,
che vantava crediti da Città Futura, la ong di accoglienza di Lucano. Ma Ruga
risultò inattendibile. Subentrò allora la Prefettura di Reggio Calabria, che
cancellò il rapporto positivo sul sistema Riace di un suo ispettore, Francesco
Campolo, e lo sostituì con uno negativo.
Puglia
È
stata Bari, ancora fino a recente, con la Fiera del Mediterraneo, parte del
Levante – geograficamente dal Libano a Samarcanda. Una unità culturale che il
conflitto arabo-israeliano, sovrapponendovisi nel secondo dopoguerra, ha
spazzato via. Di una cultura diminutiva, anzi derisoria , il “levantinismo”, a
metà tra la cautela negli affari e l’imbroglio. Ma era anche una proiezione
solida negli affari, oltre che nel modo di vita. C’era, è durata a lungo nella
Urss del dopoguerra, una colonia pugliese a Kerç in Crimea. Ad Alessandria d’Egitto
non emigravano solo le balie, Vito Laterza cominciò lì la sua avventura.
Nella scorribanda poetico-linguistica “Il quaderno di Nerina”, la sua terza prova in italiano, la scrittrice americana Jumpha Lahiri resuscita Vito Domenico Palumbo, di Calimera. Lo studioso del grikò, storico e folklorista della Grecìa salentina. Poeta. Autodidatta, ma glottologo e dialettologo reputato.
Scandalo in
Puglia per il reciproco endorsement (scambio di favori, di
voti elettorali) tra il presidente della Regione Emiliano, Pd, e il sindaco
fasciocomunista di Nardò, Pippi Mellone. Scandalo per modo di dire, la politica
non è l’arte della dialettica, argomentano i due, eccetera. Ma un pizzico di
levantinismo c’è bene ancora.
“Fasciocomunista”
del resto Mellone si può dire solo perché vuole lo ius soli – anatema della destra: chi è nato in
Itala è italiano. Ma per il resto è fascista oltranzista.
Castel
Fiorentino non esiste più, solo come resti archeologici. Ma è bene nella
storia, per avere ospitato Federico II di Svevia negli ultimi suoi giorni. Vi
morì il 13 dicembre 1250, giorno di santa Lucia, in un palazzo che vi si era fatto
costruire - preferiva la Basilicata per la stagione estiva, e la Capitanata
per la caccia (fu a caccia che ebbe l’attacco mortale di dissenteria). Molto si
sa di Castel Fiorentino, ma nulla del nome. Pure esplicito. Ai primi tempi del
secondo Millennio molti artigiani, scalpellini, falegnami, decoratori,
emigravano da Nord a Sud.
leuzzi@antiit.eu
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