Combattenti tedeschi per l'Italia
Anche
nelle guerre tedesche c’è un aspetto umano. Nella prima, 1914-18, non dissimile da quello dei milioni di altri
fanti, italiani o francesi, impantanati nelle trincee. Nella seconda alla Linea
Gotica, per esempio. Che fu teatro di guerra, oltre che di rappresaglie – al passo
della Futa il cimitero tedesco ospita 30.683 salme.
Nella
Resistenza tedesca al nazismo, che fu forse numericamente la più ampia in tutta
Europa, dal 1933 al 1945, anche se la meno efficace, c’era pure la Wehrmacht.
Non l’istituzione Esercito, ma numerosi soldati. Che nel 1943 in Italia, e
prima ancora in Francia, in Belgio e in Olanda, anche in Polonia, avevano scelto
di disertare. “Disertori tedeschi nella Resistenza italiana” è il sottotitolo di questa
raccolta.
Al conteggio, per
quanto di malavoglia, circa 300 mila tedeschi hanno disertato sui vari fronti tra
il 1939 e il 1945. Non era una scelta di furbizia: rischiavano la pena
capitale. Un decimo sono stati processati per Fahnenflug , fuga dalla bandiera, reato punibile in guerra con la fucilazione,
e successivamente con pene comunque rilevanti. In Italia, tra fine 19543 e primi
1945, un migliaio di soldati tedeschi della Wehrmacht, qualcheduno
della Kriegsmarine o della Luftwaffe, scelsero di disertare. Nascondendosi
oppure, in maggioranza, unendosi ai partigiani italiani. Erano slavi per lo più, ma
anche tedeschi e austriaci. Il capitano di vascello Rudolf Jacobs guidò
numerose azioni di Resistenza, finendo morto in combattimento in Lunigiana. Un
gruppo di marconisti, “i cinque di Albinea”,
operarono per la Resistenza nella zona di Reggio Emilia – catturati nell’agosto
del 1944, furono fucilati. Sulle Alpi, in Carnia e in Val Passiria, si
formarono distaccamenti di disertori, nell’ambito della Resistenza. Coinvolti
nella Liberazione furono anche alcuni civili tedeschi in Italia – fra tutti si
ricorda il futuro traduttore di Primo Levi, Heinz Riedt.
Qualcuno è poi rimasto in Italia, integrandosi
nella comunità locale dove aveva disertato. Molti sono morti. Altri hanno affrontato un
difficile dopoguerra in patria: la diserzione, quale che sia il motivo, è causa
di disonore, nella psicosi della “pugnalata alla schiena”, il teorema
complottistico tedesco – la Germania non perde le guerre, se non perché è tradita,
da generali, comunisti, disfattisti, da chiunque. Ed è punita di diritto,
anche a distanza di tempo: le pene per i disertori sono state ridotte solo una
ventina d’anni fa, il processo di riabilitazione per i disertori politici si è
concluso solo ne 1917, quando tutti erano morti, o quasi.
Resta questa così, dopo tre quarti di secolo, “una
storia insolita” per Luz Klinkhammer, lo storico italianista che
dirige a Roma l’Istituto storico germanico, pioniere anche di questi studi (“L’occupazione
tedesca in Italia” e “Stragi naziste. La guerra contro i civili 1943-1944”). Carrattieri e Meloni, storici
contemporaneisti a Bologna, raggruppano e presentano una dozzina di ricerche
locali, di personaggi e situazioni particolari, a Sarzana, Cuneo,
Genova, in Maremma, Carnia, Alto Friuli, Parmense, Oltrepò pavese. Con un paio di saggi fuor tema, sulla
diserzione “intellettuale”, dello scrittore Alfred Andersch e del pittore
Walter Fischer. Una serie di microstorie, perché ogni situazione, si può dire,
fu diversa, specifica, È una storia difficile da recuperare, per lunghi anni
non è stata semplice anche per la diffidenza verso “il tedesco”: molta
Resistenza non era organizzata politicamente, si faceva per reazione, d’istinto,
contro l’occupazione – e contro “il tedesco” - anche prima dell’8 settembre.
Manca
il caso più celebre, anche più significativo: quello del figlio primogenito di
Ernst Jünger, Ernstel, confinato in una compagnia di disciplina, con i
delinquenti cioè, a 18 anni, dopo un processo per disfattismo e una condanna a
sei mesi, per non aver professato il nazismo, trovato morto sempre diciottenne
durante un rastrellamento partigiano sulle alture di Codena, sopra Carrara. I
partigiani, che cercavano chi aveva dato il colpo di grazia a uno dei loro,
dentro un cespuglio trovarono due morti tedeschi. Uno era Ernstel Jünger. Un
oppositore del nazismo combattente per
una guerra di occupazione, quella tedesca in Italia dopo l’8 settembre. Ma
ucciso da un colpo alle spalle: erano stati i partigiani, nel precedente
scontro a fuoco, o un “fuoco amico”?
Mirco
Carrattieri-Iara Meloni (a cura di), Partigiani della Wehrmacht, Le Piccole Pagine, pp. 359, ill. €
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