sabato 23 ottobre 2021

Combattenti tedeschi per l'Italia

Anche nelle guerre tedesche c’è un aspetto umano. Nella prima, 1914-18, non  dissimile da quello dei milioni di altri fanti, italiani o francesi, impantanati nelle trincee. Nella seconda alla Linea Gotica, per esempio. Che fu teatro di guerra, oltre che di rappresaglie – al passo della Futa il cimitero tedesco ospita 30.683  salme.
Nella Resistenza tedesca al nazismo, che fu forse numericamente la più ampia in tutta Europa, dal 1933 al 1945, anche se la meno efficace, c’era pure la Wehrmacht. Non l’istituzione Esercito, ma numerosi soldati. Che nel 1943 in Italia, e prima ancora in Francia, in Belgio e in Olanda, anche in Polonia, avevano scelto di disertare. “Disertori tedeschi nella Resistenza italiana” è il sottotitolo di questa raccolta.
Al conteggio, per quanto di malavoglia, circa 300 mila tedeschi hanno disertato sui vari fronti tra il 1939 e il 1945. Non era una scelta di furbizia: rischiavano la pena capitale. Un decimo sono stati processati per Fahnenflug , fuga dalla bandiera, reato punibile in guerra con la fucilazione, e successivamente con pene comunque rilevanti. In Italia, tra fine 19543 e primi 1945, un migliaio di soldati tedeschi della Wehrmacht, qualcheduno della Kriegsmarine o della Luftwaffe, scelsero di disertare. Nascondendosi oppure, in maggioranza, unendosi ai partigiani italiani. Erano slavi per lo più, ma anche tedeschi e austriaci. Il capitano di vascello Rudolf Jacobs guidò numerose azioni di Resistenza, finendo morto in combattimento in Lunigiana. Un gruppo di marconisti,  “i cinque di Albinea”, operarono per la Resistenza nella zona di Reggio Emilia – catturati nell’agosto del 1944, furono fucilati. Sulle Alpi, in Carnia e in Val Passiria, si formarono distaccamenti di disertori, nell’ambito della Resistenza. Coinvolti nella Liberazione furono anche alcuni civili tedeschi in Italia – fra tutti si ricorda il futuro traduttore di Primo Levi, Heinz Riedt.
Qualcuno è poi rimasto in Italia, integrandosi nella comunità locale dove aveva disertato. Molti sono morti. Altri hanno affrontato un difficile dopoguerra in patria: la diserzione, quale che sia il motivo, è causa di disonore, nella psicosi della “pugnalata alla schiena”, il teorema complottistico tedesco – la Germania non perde le guerre, se non perché è tradita, da generali, comunisti, disfattisti, da chiunque. Ed è punita di diritto, anche a distanza di tempo: le pene per i disertori sono state ridotte solo una ventina d’anni fa, il processo di riabilitazione per i disertori politici si è concluso solo ne 1917, quando tutti erano morti, o quasi.
Resta questa così, dopo tre quarti di secolo, “una storia insolita” per Luz Klinkhammer, lo storico italianista che dirige a Roma l’Istituto storico germanico, pioniere anche di questi studi (“L’occupazione tedesca in Italia” e “Stragi naziste. La guerra contro i civili 1943-1944”). Carrattieri e Meloni, storici contemporaneisti a Bologna, raggruppano e presentano una dozzina di ricerche locali, di personaggi e situazioni particolari, a Sarzana, Cuneo, Genova, in Maremma, Carnia, Alto Friuli, Parmense, Oltrepò pavese. Con un paio di saggi fuor tema, sulla diserzione “intellettuale”, dello scrittore Alfred Andersch e del pittore Walter Fischer. Una serie di microstorie, perché ogni situazione, si può dire, fu diversa, specifica, È una storia difficile da recuperare, per lunghi anni non è stata semplice anche per la diffidenza verso “il tedesco”: molta Resistenza non era organizzata politicamente, si faceva per reazione, d’istinto, contro l’occupazione – e contro “il tedesco” - anche prima dell’8 settembre.
Manca il caso più celebre, anche più significativo: quello del figlio primogenito di Ernst Jünger, Ernstel, confinato in una compagnia di disciplina, con i delinquenti cioè, a 18 anni, dopo un processo per disfattismo e una condanna a sei mesi, per non aver professato il nazismo, trovato morto sempre diciottenne durante un rastrellamento partigiano sulle alture di Codena, sopra Carrara. I partigiani, che cercavano chi aveva dato il colpo di grazia a uno dei loro, dentro un cespuglio trovarono due morti tedeschi. Uno era Ernstel Jünger. Un oppositore del nazismo combattente per una guerra di occupazione, quella tedesca in Italia dopo l’8 settembre. Ma ucciso da un colpo alle spalle: erano stati i partigiani, nel precedente scontro a fuoco, o un “fuoco amico”?
Mirco Carrattieri-Iara Meloni (a cura di), Partigiani della Wehrmacht, Le Piccole Pagine, pp. 359, ill. € 20

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