Cronache dell’altro mondo globali (146)
“Preoccuparsi del declino americano è la
cometa di Halley della riflessione politica, sempre in orbita e ritornante” –
così l’“Economist”, presentando l’edizione speciale in edicola sul futuro della
pax americana, del potere americano.
Oggi è diverso? “Le domande sul potere americano nei confronti dell’Unione Sovietica o dell’economia giapponese sono evolute a sfide più amorfe: la Cina, il
cambiamento climatico, il sovradimensionamento imperiale, e la polarizzazione
interna”.
A ridosso del ritiro dall’Afghanistan il
settimanale ha sentito alcuni commentatori variamente illustri. Anche avversi.
La risposta è che l’America è sempre “forte abbastanza per progettare il potere
globalmente”. Ma deve superare le divisioni interne. Questa è precisamente la
risposta di Francis Fukuyama. E più o meno degli antipatizzanti Arundhati Roy,
la scrittrice anglo-indiana, e Noam Chomsky.
Il linguista emerito Chomsky, da sempre
ostile alla politica imperiale americana, dice gli Stati Uniti senza rivali per
forza economica e politica, “con conseguenze terribili per il mondo”.
John Bolton, l’ex consulente della
National Security Agency, spiega che nuove alleanze sono in corso per contrastare
la minaccia cinese.
Il cino-americano Minxin Pei, scienziato
politico di Shangai, ora allo Hudson Institute, spiega che la Cina continuerà a
crescere per qualche tempo, ma affronta ostacoli indilazionabili: l’invecchiamento
della popolazione e l’assetto politico, che non potrà essere il duro regime attuale.
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