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Del Novecento, del disagio
Una
raccolta cui Tabucchi lavorò a lungo nei suoi ultimi anni (l’ultimo di una serie
di volumi-spazzini, sistematori: “Racconti con figure”, “Viaggi e altri viaggi”),
poi completata dalla sua studiosa Anna Dolfi, che la correda di una nota sui
criteri della compilazione e i riferimenti bibliografici dei testi. Articoli e
qualche saggio o conferenza che Tabucchi non aveva incluso in precedenti raccolte,
di letteratura, di cinema, e di amicizia, apparsi per lo più su “la Repubblica”
e il “Corriere della sera”. La vis
polemica quale ancora usava ai suoi tempi (ma Tabucchi è morto nove anni fa,
il tempo ha accelerato?): “Anni fa”, è l’avvio, “mi capitò di avere una
polemica con un semiologo italiano che scrive anche romanzi”, che sarebbe
Umberto Eco. Ma senza l’acredine politica che lo ha afflitto negli ultimi
“interventi” – fece “fascista” pure il presidente Ciampi.
Più
a suo agio, disteso, in materia di lettere e arti. Con “un poco” di molti, il
suo Pessoa, ma anche Kipling, e perfino Céline, Borges e Cortázar e Guimarães
Rosa ma anche Petroni (il dimenticato “Il mondo è una prigione” - con i
“livellatori degli ideali”) e Primo Levi, Drummond de Andrade naturalmente,
Mercé Rogoreda, Manuel Puig, e “gli amici”Vargas Llosa, Vila-Matas, Del Giudice,
Norman Manea, Montalbàn. C on un ricordo lirico di Marylin Monroe, e una sorprendente
analisi, vent’anni fa, di Pedro Almodovar. Con quattro necrologi, genere poco
praticato che gli riesce, di Elvira Sellerio, Luciana Stegagno Picchio,
Zanzotto e Antonio Cassese, con cui condivise le battaglie giuridiche,
pacifiste. Con un gusto forse meno esercitato sui più giovani: di una mezza
dozzina si leggono recensioni e prefazioni non più affidabili.
I
quattro saggi iniziali, qua e là utilizzati in articoli di giornale e
interventi vari, in continuazione rimpolpati e riscritti. sono di grande lettura.
Nell’“Elogio della letteratura”, quello che comincia con la polemica contro Eco
“maestro di scuola”, e nei due saggi che fanno un bilancio del Novecento,
“Controtempo” e “L’araba fenice”, fa del Novecento il secolo del disagio.
Dell’autore, dell’autore nel secolo. E dell’inevitabile deriva,
nell’inquietudine di Pessoa, il “rimorso” di Gadda, la “rabbia” di Pasolini –
il Novecento è molto altro, ma Tabucchi è persuasivo: la malinconia,
l’incertezza - anche nella forma attenuata dela mancanza, della saudade , del desìo, dello spleen,
dell’ansia di Auden (“The Age of Anxiety”) – domina il secolo.
Di
Gadda e Pasolini in “Controsenso” delinea perspicui riferimenti alla classicità
greca: “Pasolini e Gadda sono Prometeo ed Epimeteo, i gemeli con la faccia
rivolta verso la comprensione del futuro e la comprensione del passato. Ma in
realtà sono un’unica medaglia le cui facce sono indistinguibili”. Difficile
coniugare insieme Pasolini e Gadda ma Tabucchi ci riesce.
“Chiardiluna”
è un itinerario impertinente sulle tracce in letteratura del sole e della luna.
A partire da Leopardi, “colui che con la luna ha dialogato (direi addirittura
che con lei ha intrattenuto una corrispondenza postale) eleggendola al contempo
a innamorata, confidente, sorella, madre putativa e a testimone impassibile
della propria malinconia e delle disgrazie degli uomini”.
L’elogio
di De André è da iperuranio. Il cantautore è il primo aedo. La poesia nasce e
rinasce, in ogni epoca e luogo, con la musica.
Antonio
Tabucchi, Di tutto resta un poco,
Feltrinelli, pp. 303 € 12
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