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Fanciulle in fiore, a Torino, nel 1940
“Il
tempo passava adagio” per Ginia, la ragazza di cui il racconto segue il
passaggio alla vita adulta. Ma dopo un attacco promettente. Folgorante, fa
storia a sé: “A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare
la strada…”. Ai tempi della beata incertezza. Il racconto della maturazione,
senza adulti, senza maestri. Una maturazione come scoperta, e come perdita dell’innocenza.
“La
storia di una verginità che si difende”, così è registrata da Pavese nel
diario. Anche “una storia di ragazze lesbiche”, cosa che non è – forse riferito
a una prima redazione, “La tenda”, la tenda nella camera-studio del pittore
dietro cui si sta in intimità. O più giusto, “storia di artisti e di modelle”.
Un
racconto di Pavese femminista, benché misogino: molto dialogato tra ragazze,
cioè agito da ragazze. Di un autore anzi al femminile, di quella che si diceva “scrittura
al femminile”: amicizie, dubbi, ansie, conversazioni spinte e incerte, della e
sulla vita delle “fanciulle in fiore”. Vita pratica, non poetica. Scritto curiosamente con molto toscano,
ma ancora misurato, scorrevole. Nella forma sempre della “nuova oggettività” o
pavesiana, realista, del linguaggio che dice, senza sottolineare, commentare,
spiegare, giudicare (a meno che la lingua non sia, qui come altrove in Pavese, la trascrizione di modi di dire dialettali, spontanei) - racconto “naturalista”, così Pavese lo classifica nel
diario il 26 novembre 1949.
La
“bella estate” sono i mesi dell’amicizia e delle avventure di una
sedici-diciasettenne, Ginia, modista la mattina dalla signora Bice, grande sarta,
cuoca la sera per il fratello che lavora di notte, con amiche navigate, dapprima
Rosa, operaia, poi Amelia, “modella” di pittori. Nei luoghi quotidiani, gli
alloggi modesti, i portici, il caffè, il cinema, il parco, il ballo. L’uscita
dall’adolescenza, e lo scontro con la “dura realtà”, di artisti, giovani e
vecchi, fino alla malattia, al rifiuto.
Bizzarra
lettura, sembra di oggi: con le ninfette, l’adolescenza sola, malgrado tanta, perfino eccessiva, solerzia
Bizzarra
lettura, sembra di oggi: con le ninfette, l’adolescenza sola, malgrado tanta, perfino eccessiva, solerzia genitoriale, il girovagare fra i luoghi, il bar e la balera-discoteca, il rapporto
sessuale e l’atto stesso indifferente, benché sempre decisivo. In ambiente
anch’esso si direbbe contemporaneo, anche senza gli auricolari, i tatuaggi, gli
sneakers. Di una persistente vecchia bohème,
poiché si tratta di pittori marginali, falliti o incerti, a fronte delle belle
speranze, dell’improntitudine o superficialità.
Una
riedizione corredata da una introduzione di Claudia Durastanti, dall’introduzione
concettosa di Furio Diaz all’edizione 1966 del racconto, e dalla nota editoriale
di Laura Nay e Giuseppe Zaccaria a “Tutti i romanzi” nell’edizione della Pléiade
Einaudi, 2000. Che riporta un tratto significativo della presentazione dei tre racconti della silloge “La bella
estate” (“La bella estate”, “Il diavolo sulle colline”, “Tra donne sole”) fatta
dallo stesso Pavese: “Si tratta di un clima morale, di una presentazione di temi,
una temperie ricorrente in un libero gioo di fantasia…Tema ricorrente… è quello
della tentazione, dell’ascendente che i giovani sono tutti condannati a
subire. Un altro è la ricerca affannata del vizio, il bisogno baldanzoso di
violare la norma, di toccare il limite. Un altro, l’abbattersi della naturale sanzione sul più colpevole e
inerme, sul più «giovane»”.
Cesare
Pavese, La bella estate, Einaudi,
pp. 119 € 10
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