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Foucault affascinato dal potere religioso
Foucault
reporter per il “Corriere della sera”, negli eventi tra fine 1978 e primi 1979
che portarono l’Iran dallo scià a Khomeiny, da baluardo americano e occidentale
a nemico acerrimo dell’America e dell’Occidente, bacino di coltura del
radicalismo o fondamentalismo religioso che infetterà presto l’Algeria e poi tutto
il mondo islamico, e colpirà col terrorismo gli Stati Uniti e l’Europa tutta,
Russia compresa. Un osservatore d’eccezione. Che prova, da teorico del potere,
un’analisi sul campo, a Teheran, seguendo e commentando gli eventi. Un lavoro
da cronista e insieme da analista. Entusiasta come tutti dapprima, poi
perplesso, ma su qualcosa che non afferra.
Una
lezione indiretta, a rileggerlo a distanza, sull’autonomia del politico. In
questo caso sulla prevalenza netta dell’agente, Khomeiny, persona di limiti
culturali dichiarati, voluti, sul filosofo – una riedizione in piccolo della
disavventura di Platone, il teorico della Repubblica intelligente che finisce
preda del dittatore, l’uomo d’azione.
Renzo Guolo e Pierluigi Panza,
che hanno qui raccolto, vent’anni dopo la pubblicazione, le corrispondenze dell’inviato
specialissimo del “Corriere della sera”, sono critici fin dalla breve introduzione.
In due saggi in appendice, ne analizzano poi in dettaglio le deficienze, di
acume critico e anche di impianto di pensiero. Partendo dalla proposizione
errata dello sciismo come movimento degli esclusi che mettono a nudo le deficienze
del potere. Quando si sapeva bene, qui in Italia dall’iranologo e islamologo Bausani
per esempio, che il vittimismo sciita non è affatto sorgente di un potere
democratico.
Foucault per la verità non
seguì gli eventi da vicino. Fu in Iran nel settembre e nel novembre del 1978,
poi continuò a occuparsene da Parigi. A fine ottobre, di ritorno da Teheran e
Qom, la capitale religiosa, ha già chiaro di che si tratta. “Che cosa volete?”,
ha chiesto ai suoi intgerlocutori, per lo più ayatollah. “Per tutto il tempo
del mio soggiorno a Teheran non ho sentito pronunciare una sola volta la parola
«rivoluzione»”, si risponde: “Ma, quattro volte su cinque, mi è stato risposto:
«Il governo islamico»”. Foucault sa anche di che si tratta: “Provo imbarazzo a
parlare di governo islamico come idea o anche come ideale”. Prima, altrove,
“Poteri e strategie”, 1977, si era e aveva spiegato: “Significativo è il modo
in cui la rivoluzione fa spettacolo, il modo in cui viene accolta da chi le sta
intorno da spettatore, da chi non vi partecipa ma la osserva, da chi assiste e
che, bene o male, da essa si lascia trascinare. Non è il sovvertimento rivoluzionario
a costituire la prova del progresso”. Ma qui fa finta di
nulla: “Un fatto dev’essere chiarito. Per «governo islamico» nessuno in Iran intende
un regime politico nel quale il clero svolga un ruolo di guida o di
inquadramento”. Ciò che contrasta con tutto quello che si vedeva, si ascoltava,
si sapeva a Teheran.
Nello stesso articolo
Foucault fa gran conto di Ali Shariati, il sociologo iraniano di formazione religiosa,
che a Parigi aveva seguito i corsi di Gurvitch (socialismo non marxista), letto
Fanon e Massignon, allacciato rapporti con i rivoluzionari algerini (ma negli
anni 1970 ce n’erano ancora?) e i movimenti cristiani di sinistra, e a Mashad
aveva poi insegnato uno sciismo socialista, il cui nome circolava come
“ideologo della rivoluzione iraniana”. L’influsso se ne vede nel prosieguo del
suo “imbarazzo a parlare di governo islamico”: “Ma come ‘volontà politica’ mi
ha impressionato. Mi ha impressionato per il suo sforzo di politicizzare, in
risposta ai problemi attuali, strutture indissolubilmente sociali e religiose;
mi ha impressionato per il suo tentativo di aprire nella politica anche una
dimensione spirituale”. Solo che Shariati era morto da due anni, non aveva
seguito, il suo nome era tabù nelle moschee. E la “volontà politica” si articolava
unicamente nel fanatismo, già visibile, per esempio nelle donne in piazza il
venerdì, nei giovani barbuti, i pasdaran,
nei mullah meno accomodanti dei cardinalizi ayatollah.
I curatori concludono che
Foucault aveva la pretesa di sperimentare la sua metodologia unificatoria della storia sugli avvenimenti
dal vivo, e ha fallito - in realtà finisce per assoggettarla agli eventi, per organizarla.
Ma forse si è solo lasciato prendere dai “fiori nel cannone”. La metodologia dello
studioso assoggetta alle emozioni, in ambiente a lui esotico, e alla
complessità di un mondo che vede ma non conosce, denso, stratificato, nella
lingua, la storia, le forme religiose, e anche nell’organizzazione politica, al
coperto dell’impero, del partito che non c’è, della vita minuta, quotidiana,
attorno alla moschea e ai mollah.
Più da vicino Foucault
riflette, benché teorico esperto del potere, l’infatuazione khomeinista nel
senso rivoluzionario che si era prodotta in Francia. Dove Khomeiny era emerso, ospite
inatteso e sconosciuto, dopo l’esilio anonimo di molti anni a Kerbala n Iraq,
da un anno a Neauphle-le-Château, abbastanza vicino a Parigi per farne un
altoparlante sul mondo. Da cui gradualmente emerse, ayatollah non di prestigio
in patria, come il Grande Oppositore. Grazie a una diffusione artigianale ma
amplissima del suo proprio messaggio: invettive giornaliere pronunciate dal
balcone della villetta di campagna dove era ospite, riprodotte in milioni di
audiocassette, subito disponibili in Iran.
Khomeiny è stato esumato in
Francia da Giscard d’Estaing, presidente conservatore. Per motivi non noti: si
disse per interessi petroliferi, che però poi non si sono manifestati, oppure
per imponderabili orientamenti del cosiddetto Rito Francese, la centrale
massonica a indirizzo socio-politico. I fatti sono che Khomeiny era uno
sconosciuto. È stato introdotto in Francia dai servizi segreti francesi su
indirizzo della presidenza. Ai servizi segreti
quali si deve anche la scelta dell’immobile rustico sulla collinetta di
Neauphle-le-Château quale residenza di Khomeiny (“una residenza a malapena
clandestina alla periferia di Parigi”, nota forse perplesso lo stesso Foucault)
, il controllo dei visitatori, che sempre più numerosi affluivano, specie
giornalisti, e la diffusione immediata degli audiomessaggi. Ma fu recepito in
Francia come un Liberatore. Veniva anche a conclusione di un decennio in Europa
in cui la libertà si pensava si affermasse con le armi, col terrorismo in
Italia, Germania e Francia, ma anche, in Portogallo, con un intervento armato
pacificatore.
I fatti testimonieranno
presto in Iran in senso contrario alle attese. Il 16 gennaio lo scià si era
esiliato in Marocco. Il 31 gennaio Khomeiny ritornò, trionfalmente, dalla Francia.
L’1 febbraio prese il potere, forte di un partito della Repubblica Islamica, il partito
degli ayatollah. Che lo sanzionò Guida Suprema l’11 febbraio. Due giorni dopo
l’ayatollah Behesti, ministro della Giustizia in petto, avviava l’esecuzione sommaria dei prigionieri politici.
Qualche giorno dopo, il 26 febbraio, riprendendo le corrispondenze dopo tre
mesi, Foucault si limita a prospettare, senza impegno, “una polveriera chiamata
islam”. Anche se non è stupido: “11 febbraio 1979, rivoluzione in Iran”,
comincia col dire. Per poi chiedersi: “Siamo sicuri che sia così?”.
Foucault sa di che si tratta:
“Fino all’attuale dinastia”, ha scritto l’8 ottobre 1978, nella prima corrispondenza,
“i mollah nelle moschee predicavano col fucile al fianco”. Ma non se ne preoccupa,
si inebria. Ottima anche l’immagine plastica del santo in armi, “il re e il santo”,
il despota in armi e l’esule inerme, che lo sopraffà. Solo che Khomeiny non era
Francesco, e non è un santo – o
allora santi non sono inermi. Ma vede
poco, e male.
Molto peraltro Foucault non
vede. Non solo i barbuti col mitra. Ancora due mesi dopo si indirizza a
Bazargan, l’economista fatto presidente cache-sex,
sempre a nome del “Corriere della sera”, per spiegargli come fare la buona
rivoluzione. Del tutto ignora le donne, che pure, coperte di nero, donne
impavide che a viso aperto invece affrontano il matrimonio a tempo, affollano
le manifestazioni, fanno massa – le ignorano un po’ tutti, però, dopo Foucault,
che pure sono il tema sociologico di maggiore interesse, la donna nell’islam,
nello sciismo, in Iran.
Michel Foucault, Taccuino persiano, Guerini e
Asssociati, p. 128, ill. € 12
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