astolfo
San Cromazio – Il vescovo di
Aquileia fra 300 e 400, forse originario di Spagna, amico di san Gerolamo,
impegnato contro l’arianesimo, è all’origine di riti “asiatici” (ebrei, egiziani)
entrati nel cerimoniale della chiesa di Roma. Il rito pre-battesimale della
lavanda dei piedi, ora rito del Giovedì Santo. La Pasqua come rito di Passione
e di Liberazione, come nella Pesah ebraica. Il simbolismo animale dei quattro
evangelisti. La croce di san Cromazio, adottata come logo di Cristo, era il simbolo
egiziano della vita: è l’ “albero della vita” di cui in san Giovanni nell’“Apocalisse”:
“Da una parte e dall’altra del fiume si trova l’albero della vita che dà dodici
frutti per ogni mese, e le foglie dell’albero per la guarigione delle nazioni”.
Egeo - La Turchia che vuole le acque
territoriali fin dentro la Grecia ripete la vecchia politica dell’impero persiano,
che portò a un’ostilità di secoli con Atene, Sparta e gli altri potentati ellenici.
Longitudine – È stata a lungo
discussa come problema dirimente delle sfere di influenza coloniale. Il
problema che sarà detto, dopo che a metà Ottocento verrà adottato come
riferimento orario nel mondo il meridiano di Greenwich, dell’antimeridiano di
Greenwich.
Wikipedia lo sintetizza
credibilmente: “In passato la latitudine in
mare poteva essere calcolata abbastanza facilmente; ma la longitudine sembrava
impraticabile. Il problema era assai grave per la navigazione d’altura, allora
del tutto incerta e rischiosa e, come è facile aspettarsi, questa situazione di
incertezza e di pericolosità era particolarmente sofferta dagli inglesi che
allora dominavano i mari. Nel 1714 il Parlamento inglese con il Longitude
Act diede vita ad un’apposita Commissione per la Longitudine con il compito di assegnare
un enorme premio a chiunque fosse stato in grado di inventare un metodo sicuro
ed affidabile per calcolare la misura della longitudine”.
In precedenza, tra i tanti metodi
tentati ci fu quello della “polvere di simpatia”: “Il metodo per la misurazione
che si rifaceva alle proprietà della polvere di simpatia consisteva nel
prendere un cane, procurargli una piaga in modo che rimanesse sempre aperta e
imbarcarlo su una nave. Ad un’ora concordata, per esempio a mezzanotte, nel
porto da dove era salpata la nave si spargeva una sostanza irritante sulla lama
insanguinata che aveva ferito l’animale con l’effetto di provocare dolore al
cane che avrebbe guaito segnalando in questo modo che in quel momento era
mezzanotte sul meridiano di partenza e, conoscendo lora locale, si poteva
dedurre la longitudine”.
Sulla
questione, “polvere di simpatia” o “unguentm
armarium” (v. sotto) Umberto Eco ha impiantato il lungo romanzo “L’isola
che non c’è”. Il protagonista Roberto de la Rive, naufragato su … una nave abbandonata,
riacquistando la memoria ricorda a sprazzi un suo precedente viaggio su una
nave, “Amarilli”, probabilmente in missione per cercare il punto fijo, per ragioni di spartizione delle sfere d’influenza
coloniale, e di questo viaggio ricorda di avere trovato sulla nave un cane, nascosto
ai passeggeri, un cane ferito, ferito in Inghilterra, e ora torturato: qualcuno
sulla nave aveva cura che rimanesse sempre piagato. Ci riusciva con la “polvere
di simpatia”: qualcuno a Londra, ogni giorno, a un’ora fissa, potava alla luce
l’arma della ferita, o il panno imbevuto del sangue del cane, e la ferita si
riapriva.
Occupazione italiana – In vacanza sulla
“costa anatolica”, la Turchia ex greca, il Mephisto della “Domenica” del “Sole
24 Ore” dell’altra domenica rivede “nelle vie del Dodecaneso, lì di fronte, a
Rodi, strade magnifiche e palazzi costruiti quando era il «Possedimento»
(1912-1943), vanto del Bel Paese. Qui oggi gli anziani parlano la lingua di Dante”.
Elenca poi i misfatti dell’occupazione italiana, in Grecia e in Albania, che
sono rimossi – si studia l’imperialismo italiano solo in Africa, e quello
tardo, di Graziani e Badoglio. Un’occupazione che così sintetizza: “L’odio
selvaggio di militari regi contro gli albanesi delle colonie del Protettorato
italiano (19339-1943), passato alla storia per stragi analoghe a quello del
Vietnam. Poco importa la reggia di Tirana per Vittorio Emanuele III (che mai vi
pernottò), capolavoro di Gio Ponti, boiserie strepitose tuttora intatte, a
fronte della storia infamante di giustizia sommaria contro civili greci,
comunità ebraiche (Darmytha e Igoumenitsa) e slave (Kosovo e Macedonia). Il
tentativo scellerato di conquistare la Grecia si risolse con villaggi messi a
fuoco, impiccagioni pubbliche (1942), torture di prigionieri catturati da fascisti
italo-albanesi. A Mallakasha fu una Marzabotto (1944), col seguito di
ritorsioni dei partigiani albanesi contro soldati e carabinieri dopo l’8
settembre”.
Stregoni – Ce ne sono, ce
ne sono stati fino a recente, in Toscana. Lo stregone di Poppi nel Casentino, che pretendeva di sollevarsi
nottetempo su un carro di fuoco e di volare per il cielo, riuscendo nella sessa
notte ad assistere contemporaneamente a tre messe, a Costantinopoli, a
Gerusalemme e a Roma. Uomo pio e non venale, benvoluto dalla popolazione, e dal
parroco. C’era del resto nell’aretino, così si dice, una chiesa della Madonna
delle streghe.
Presso
un altro castello, in Valdarno, tra Valdarno e Valdarno e Valdambra, a
Galatrona, hanno alloggiato per secoli generazioni di maghi e stregoni.
Capostipite, quello di cui si sa dagli annali, Nepo da Galatrona, medico
personale a Firenze di Giovanni dei Medici e poi mago al servizio di Lorenzo il
Magnifico, noto per curare anche gli animali e per praticare incantesimi. La sua
farmacopea era segreta, ma si sapeva di un “unguento armario”, composto da ingredienti esotici: polvere di
mummia, muschio prelevato dal teschio di un morto assassinato, grasso di orsa,
lombrichi. Descritto di statura grande, capelli neri, barba tagliata a
spazzola, carnagione bruna, vestito all’orientale o alla turca, con pantaloni
larghi, cappello a punta, mantello.
Unguento
armario – Quella propriamente detto è
una polvere miracolosa in grado di risanare una ferita se applicata non sulla
ferita stessa ma sull’arma o oggetto che l’ha provocata. L’inventore, negli
anni 1620, ne fu l’inglese Kenelm Digby, cortigiano, “filosofo”, corsaro,
diplomatico, cattolico, viaggiatore e residente anche in Italia, a Firenze, dai
Medici scientisti, e a Roma, che lo chiamò Unguentum
armarium vel Weapon Salve, salvezza dalle armi, e ne pubblicò la
composizione in una pubblicazione che intitolava “Discours sur la poudre de la
simpathie”, sulla polvere di simpatia. Un composto di vetriolo polverizzato e
gomma. Da applicare su un panno insanguinato dalla ferita, oppure sull’arma che
l’aveva provocata.
Il principio era che il composto, se applicato sulla
ferita l’avrebbe naturalmente ustionata. Ma applicato sul panno insanguinato o
sull’arma avrebbe risanato (seccato) la ferita, per un procedimento di
“simpatia”, favorito dai raggi del sole: la luce del sole, trasportando gli
atomi, avrebbe catturato quelli della ferita e quelli del sangue sul panno o
sull’arma, combinandoli per simpatia nella forma della guarigione. Per questo
Digby divenne baronetto, oltre che famoso – ufficialmente Giacomo I lo insignì
del titolo in ricompensa per i servizi da Digby offerti al figlio Carlo a
Madrid, dove l’erede al trono inglese cercava moglie.
Ne
“L’isola che non c’è” Eco fa rientrare anche l’unguentum armarium.
Yiddish - L’adattamento del tedesco parlato, semplificato nella
pronuncia, nella sintassi e nella trascrizione, si è sviluppato a partire attorno al Mille nella
Germani centrale come tedesco più semplice, anzi elementare, a uso delle donne,
come meno alfabetizzate. Specie le donne ebree - gli ebrei figuravano ai tempi
come più ignoranti, poveri e quindi ignoranti.
Questa etimologia
è ritenuta di fantasia, ma non ce n’è una migliore. Le altre sono presuntive, di
una comunità ebraica rispetto a un’altra.
Derivata dal gotico, che dal IV al XVII secolo sopravvisse in Crimea, e quindi
sarebbe la parlata dei cazari convertiti all’ebraismo. La parlata degli slavi e
baltici in area polacca, che si dicevano ebrei per non venire rapiti e venduti
come schiavi.
astolfo@antiit.eu
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