domenica 31 ottobre 2021

Il mondo com'è (434)

astolfo

Bombardamenti – La notte dell’11 giugno 1940, la notte dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia e alla Gran Bretagna, Genova è bombardata. Dal mare, dalla flotta francese. Senza effetti visibili. Ma il 9 febbraio 1941, sette mesi dopo la dichiarazione di guerra, Genova è semidistrutta dal mare, dal cannoneggiamento di una squadra britannica partita da Gibilterra, la H Force, con la portaerei Ark Royal, tre incrociatori da battaglia, e una vasta flottiglia di cacciatorpediniere. Che giunse indisturbata davanti a Genova, la Marina italiana essendosi disposta a coprire, chissà perché, la Sardegna. E indisturbata si allontanò. L’obiettivo dell’attacco navale inglese era d’infiacchire il vertice che Mussolini doveva avere con Franco tre giorni dopo alla Spezia per venire a capo delle titubanze del Caudillo, di indebolire la posizione italiana. L’efeftto fu la semi-distruzione die Genova, cantieri navali e città.
Quella dei bombardamenti è una storia documentabile, nella cronologia e negli effetti, che però non si fa: l’Italia vi è stata soggetta dal primo giorno di guerra - la Germania ne soffrirà di più, ma a guerra ormai sostanzialmente perduta.
Wikipedia ricorda tra i più pesanti il bombardamento su Roma di Nord-Est, specie sul quartiere San Lorenzo, del 19 luglio 1943, con  mille bombe d’aereo, circa 1.060 tonnellate, che fecero tremila morti e undicimila feriti (1.550 morti e 4 mila feriti nel solo, piccolo, quartiere di San Lorenzo), e quello di un mese dopo esatto su Foggia, con “oltre 9.000 vittime”. Tantissimi furono anche per tutto il 1943 i bombardamenti su Reggio Calabria e dintorni, con 24 incursioni solo sulla città.
I bombardamenti si fecero più pesanti a partire appunto da 1943, dopo che gli Alleati presero il controllo del Nord Africa, da dove potevano operare con i bombardieri pesanti. Quado gli inglesi entrarono in città, il 9 settembre 1943, Reggio era per il 70 per cento distrutta o gravemente danneggiata – 3.986 morti si erano contati sotto le bombe e 12.043 feriti.
Più colpito dai bombardamenti alleati fu il Centro-Sud, nel 1943-44, da Ancona e Livorno fino a Palermo – e sul versante Adriatico Treviso e Zara.
 
Costituente – Alle elezioni per l’Assemblea Costituente, 1946, il primo voto popolare dopo il fascismo, il 2-3 giugno, la Democrazia Cristiana vinse col 35 per cento dei voti, oltre 8 milioni. Secondo venne il Partito Socialista (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) con poco meno del 21 per cento, 4,8 milioni di voti, il Pci terzo con poco meno del 19 per cento, 4,4 milioni di voti. Erano presenti anche i Liberali, i qualunquisti, i monarchici, il partito Repubblicano e il Partito d’Azione. A Roma il Pci venne in terza posizione, dietro la Dc e i Repubblicani.
Prima di fissarsi sui blocchi politici, il voto era molto fluido. Come è stato successivamente, dopo la fine del patriti tradizionali della Repubblica, negli anni 1990.
 
Defenestrazione di Praga – Si ricorda Praga per la “Primavera” del 1968, con l’invasione poi sovietica. Ma l’effetto Praga forse più incisivo, che decise nella guerra fredda le frontiere della cortina di ferro, si ebbe nel 1948, e influì non poco sull’esito che si conosce al primo voto per il Parlamento della Repubblica. Il voto fu vinto non dalla Dc, che ancora non aveva un’organizzazione capillare, ma dal Vaticano, che mobilitò le parrocchie – e le Madonne, con le processioni propiziatrici, il turismo delle statue miracolose, i “pianti” della Madonna  – “pianse” per prima la Vergine di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, poi la Madonna di Rocca San Felice in Irpinia, e altre Madonne  in Garfagnana e a Cagliari. Ma il colpo principale all’ambizione del Fronte Popolare di proporsi come forza politica dominante, forte del successo ala Costituente del 1946, quasi il 40 per cento dei suffragi, lo diede la “defenestarzione di Praga”: a fine febbraio Stalin aveva voluto un colpo di Stato violento contro il governo Masaryk, peraltro dominato dal partito Comunista Cecoslovacco, per mettere fine ai negoziati sul piano Marshall, Masaryk fu cooptato nel nuovo governo, nominato in pratica da Gottwald, il segretario del partito Comuniata, su indicazioni precise di Stalin, come ministro degli Esteri, e due settimane dopo morì “suicida” dalla finestra, quaranta giorni prima del voto del 18 aprile. Il Pci di Togliatti era programmaticamente fuori dalla linea staliniana, ma non per l’elettorato – la “defenestrazione di Praga” alla vigilia del voto in Italia fu risentita dentro lo stesso Pci come un colpo inferto da Stalin alla sua autonomia.
 
Massisti - Prima che “marinai della Xma Mas” del principe Borghese, la definizione che resiste nel vocabolario, furono i ribelli alla levée en masse napoleonica, introdotta da Giuseppe Bonaparte re di Napoli all’inizio del 1806. Dei calabresi, che rifiutavano il servizio militare obbligatorio e subito si costituirono in corpo armato con gli inglesi, che intanto confrontavano militarmente la Francia anche nel Sud Italia. “Nel 1806 scapparono i generali e scappò il re; restò in Calabria don G.B.de Micheli con gruppi di disperati «massisti» a far guerra all’armata di Massena: e di questa guerra egli, con lettere, relazionò la Corte di Napoli. rifugiatasi in Sicilia”, come recita il racconto di quegli eventi, l’unico che si ricordi, “I massisti e l
’armata di Massena in Calabria (prefazione di Luigi Filosa). Lettere-relazioni del v.Preside G.B.Demicheli e Lettere-quasi petizioni del sac. don Antonio Presta”.

Un movimento analogo, anch’esso singolarmente taciuto dalla storiografia, nacque spontaneamente in Sicilia nel 1943, dopo l’8 settembre, quando i giovani furono richiamati alle armi per combattere con gli Alleati contro i tedeschi nel continente. Animato da Maria Occhipinti, fu un movimento di donne prevalentemente, madri, mogli, familiari dei richiamati, che protestarono a lungo nelle piazze, al grido “non si parte”. Ma non pacifico, non per i prefetti e i questori. A Palermo furono schierati, contri quelli del “non si parte”, carabinieri e altri militi in assetto da guerra, che fecero ventisette morti e “centinaia” di feriti. A Catania, dopo Palermo, i manifestanti assaltarono e devastarono il Municipio. A Piana degli Albanesi, fuori Palermo, e a Comiso du proclamata la Repubblica.  
 
C. K. Scott Moncrieff – Charles Kenneth Scott Moncrieff, scozzese di nome e di spirito, il traduttore e divulgatore di Pirandello nelle librerie e i teatri di Londra e di New York, è il Proust dei lettori della “Ricerca” in inglese. La traduzione della “Ricerca”, che intraprese dopo la guerra, mentre altri traduttori per altri editori si cimentavano nella stessa impresa, fa da allora testo. E viene letta come un Proust temperato dal gusto di Moncrieff, più jamesiano che proustiano, più al gusto di Henry James Con un titolo generale che fa ancora testo, molto famoso, ma è derivato da Shakespeare, “Remembance of Things Past”, invece del letterale “In Search of Lost Time”.
Fu un personaggio stravagante, ma che molto operò in campo culturale, pur avendo vissuto quarant’anni o poco più. Lasciò dopo la guerra Londra per l’Italia – dove morirà, a Venezia, nel 1930. Perché, scrisse a un amico, voleva “fare sesso senza avere la polizia addosso”. Uranista senza complessi, come si dicevano allora gli omosessuali (Gide per esempio), ma come molti scrittori inglesi suoi contemporanei e amici o corrispondenti, Noël Coward, Edward Marsh (il segretario di Churchill) Compton Mackenzie, Reggie Turner (il politburo dell’accolita che W.H.Auden chiamava Homintern, l’Internazionale omosessuale), non professo, l’omosessualità essendo perseguita per legge. In Italia disi divertirà a fare la spia, e a fare sesso occasionale nei vicoli di Firenze, Pisa e Venezia – così scriveva agli amici invidiosi. Ma le sue traduzioni di Pirandello, che lui poneva sopra Proust, e di Proust fanno ancora testo.
Cominciò a tradurre Proust nel 1919, reduce di guerra azzoppato a una gamba. Aveva cominciato a scriver e in ospedale, per la rivista di Chesterston “New Witness”, da neo catecumeno cattolico. Subito poi si era legato al poeta Wilfred Owen – incontrato al matrimonio di Robert Graves. La morte di Owen, a novembre del 1918, lo mise in urto con Osbert Sitwell, che gliene fece rimprovero, del potente trio familiare dei Sitwell (con la sorella Edith e il fratello Sacherell), con una polemica in cui non mancarono allusioni maligne alla sua omosessualità. Scambiò con Proust vari suggerimenti sulla traduzioni, senza tenere conto in generale dei suggerimenti di Proust.  Accentuando anzi nella traduzione, secondo la critica, le velature jamesiane di Proust. Rendendo Proust nel complesso, scrive Adam Gopnik, “più elusivo e enigmatico” di quanto Proust non sia. Degno di nota, sempre in questa aura di allusione, il rifiuto di intitolare “Sodoma e Gomorra”, così diretto, il racconto esplicito dell’omosessualità maschile, preferendo un anonimo “Cities of the Plain”.

astolfo@antiit.eu

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