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La Farnesina allo sprofondo
È passata sotto silenzio, ma non al
ministero, la storia dell’ambasciatore italiano a Pristina (Kossovo) destituito
e processato per associazione a delinquere (traffico di immigrati), benché sia innocente, da sette
anni tenuto pervicacemente fuori ruolo dal ministero, malgrado due decisioni del Tar che ne impongono il reintegro. È la storia dell’ambasciatore
Michael Giffoni, che si può leggere online. Che la Farnesina gli ha fatto pagare per
intrallazzi di un Rugova figlio del padre della patria kossovara – governata
peraltro sempre sotto l’ombra di Hashim Thaci, il suo vero creatore (Rugova, il
“Gandhi del Kossovo”, è il cache-sex),
che era un capomafia, ora sotto accusa all’Aja per crimini di guerra.
Una storia personale, che accompagna
però il declassamento del ministero negli stessi anni. Da punta di diamante del
governo al niente. In particolare col “giro di walzer” assurdo con la Cina. E con
l’abbandono colposo della Libia, che pure era stata in qualche modo recuperata dopo la déroute del 2011 a
opera della Francia di Macron e degli Usa di Hillary Clinton, con la riapertura
dell’ambasciata. Più in generale con la fuoriuscita dal Mediterraneo. Qui le
contestazioni sono molte: l’inerzia con l’Egitto sui problemi giudiziari e penali,
l’immigrazione selvaggia, con la stessa Libia e con la Tunisia, la ricerca di
fonti di energia nelle aree marine.
Sotto accusa è la gestione del segretario
generale Elisabetta Belloni. Che ha avuto la gestione del ministero da Mogherini
e Gentiloni, cioè da Renzi, e ora è promossa a capo del Servizi di intelligence.
Successore di Belloni a capo della
Farnesina è stato nominato il capo di gabinetto di Di Maio, l’ambasciatore Sequi.
Di Maio è per molti, soprattutto a Washington dove non lo invitano, “l’uomo di
Pechino”. Sequi ha debuttato col ritiro precipitoso dell’ambasciatore e del personale
diplomatico da Teheran a Ferragosto – che in Italia non si sapesse?
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