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Balzac – Non era un buon scrittore per Flaubert: “Che uomo sarebbe stato Balzac, se avesse saputo scrivere”.
Biblioteche - Emmanuel Le
Roy Ladurie, l’ultimo animatore della Êcole des Annales, promotore della
microstoria, nel periodo in cui fu direttore della Bibliothèque Nationale a
Parigi, fece fare una ricerca statistica sull’utilizzo dei libri in dotazione.
È risultato che dal post-Rivoluzione a fine Novecento, in due secoli, oltre due
milioni di titoli non erano stati mai consultati.
Borges – Filosofo? È
l’idea di Tabucchi (“Di tutto resta un poco”):”Non so se Borges sia un ‘vero’
scrittore o non piuttosto un filosofo che ha usato la letteratura”.
Dialetto – Nessun
linguista conosce questa differenza”, tra la lingua e il dialetto – Umberto
Eco, “Non sperate di sbarazzarvi dei libri”: “Pertanto potremmo illustrarla
dicendo che il dialetto è una lingua senza esercito e senza flotta. È il motivo
per cui consideriamo che il veneziano è una lingua, per esempio, perché il
veneziano era utilizzato negli atti diplomatici e commerciali. Ciò che non è
stato mai il caso, al contrario, del dialetto piemontese”.
Gadda – Lo scrittore più “scritto”, simpateticamente, da conoscenti, amici e critici: Arbasino, Citati, Parise, Lucia Morpurgo Rodocanachi (“Lettere
a una gentile signora”), da ultimo il carteggio con Bonsanti (“Sono il pero e
la zucca di me stesso”), Ugo Betti (“L’ingegner fantasia”), Bonaventura Tecchi
(“A un amico fraterno”, “Ritratto di Gadda, prigioniero a Cellelager”), Leone Piccoli (“Identikit per Carlo Emilio”), Andrea
Marcenaro (“Un’amica di Gadda”, ancora Lucia Rodocanachi), e prima di tutti
Giulio Cattaneo (“Il gran lombardo”). Un “personaggio”, di gran mole, benché si protestasse e fosse di abitudini riservate (le lettere
alla sorella Clara sono qualche migliaio), e volentieri ipocondriache.
Citati,
che ha pubblicato le 44 lettere a lui indirizzata da Gadda in quanto suo editor, con adeguata presentazione, le
cose più succose le ha dette a Cinzia Romani su “Il Giornale”,
https://www.ilgiornale.it/news/cultura/paure-mio-gadda-tasse-matrimonio-sinistra-949258.html
“Non
era misogino, né omosessuale. Ma temeva sempre che qualche dona lo volesse
intrappolare e prenderlo come marito. Temeva soprattutto Gianna Manzini e Maria
Luisa Spaziani, quest’ultima gande cacciatrice di vecchi come Ungaretti e
Cecchi (Citati dimentica Montale). Per le donne nutrì grande affetto, ma temeva
la famiglia come istituzione”. Per l’omosessualità aveva “un interesse psicologico”.
Se ne “faceva raccontare da Goffredo Parise, sposato ma con un lato
omosessuale”. Con Pasolini, invece, “non parlava di tali questioni: con lui si
seccava, perché era un suo imitatore. E
lui detestava gli imitatori. Aveva più simpatia per Arbasino, omosessuale
elegante che non cacciava proletari, ma signori”.
Sospettoso
e spesso a disagio con gli intellettuali, “aveva un’inclinazione per i giovani”,
continua Citati; peraltro “furono loro, i poco meno che trentenni Arbasino,
Parise, Testori, a decretare il successo del Pasticciaccio”.
Letteratura – È morta nel
Millennio? Il “New Yorker” può così sintetizzare lo stato dell’arte: “Nel nuovo
panorama letterario, i lettori sono clienti, gli scrittori fornitori di
servizi, e i libri si aspetta che diano gratificazione immediata”, che siano
commestibili.
Nostalgia – La parola, se non il senso, che più caratterizza la contemporaneità secondo i sociologi? Tabucchi,
analista della saudade, ne traccia
una genealogia precisa (in “L’araba fenice”, ora “in “Di tutto resta un poco”):
“Com’ noto la parola ‘nostalgia’ fu coniata a fine Seicento da Johannes Hofer.
Alsaziano, completando gli studi di medicina all’università di Strasburgo, si
può leggere in wikipedia, dedicò al fenomeno la sua tesi, discussa nel 1688,
presentandola col titolo “Dissertazione medica sulla nostalgia”. Nello
specifico, la nostalgia era la malattia di cui soffrivano i mercenari svizzeri
al servizio del re di Francia Luigi XIV, costretti per lunghi periodi lontano
da case, e dall’ambiente svizzero. Il termine e il suo significato non si
riscontrano nel mondo greco. Hofer lo coniò come equivalente dell’espressione
francese “mal du pays” e del tedesco “Heimweh”, dolore per la casa, tuttora in
uso. Si affermerà in letteratura con Baudelaire, senza più riferimenti alla
casa di origine, all’infanzia, al paese, dopo una lenta macerazione nel
romanticismo - il rimpianto, vago e acuto insieme, di un eden perduto.
Pavese – Ancora, a
proposito del “Diario segreto”, dei tentennamenti, nel 1943, tra Salò e la
Resistenza, Domenico Scarpa ricorda, nella prefazione a Berto, “Guerra in camicia
nera”, che nella primavera del 1950, l’anno ferale, era per la pubblicazione di
Giose Rimanelli, “Tiro al piccione”, un racconto autobiografico sui “ragazzi di
Salò”, scrivendone in questi termini, l’11 maggio 1950, a Carlo Muscetta a
Roma, che assisteva Rimanelli nell’editing
del racconto: “Non è un libro politico – non vi è il caso del politico che si
disgusta o converte; bensì il giovane traviato, preso nel gorgo del sangue,
senza un’idea, che esce per miracolo, e allora comincia ad ascoltare altre
voci. È una tesi notevole”. Il libro non sarà pubblicato da Einaudi, nel 1953
uscirà da Mondadori - “e sulla sovraccoperta
sarà riprodotto il giudizio di Pavese”.
Rilke - “Certi
scrittori sono meglio nelle lettere che nei romanzi. Come Rilke, per dire”:
Rosellina Archinto, editrice degli epistolari, a Roberta Scorranese, “Corriere
della sera”, 25 luglio 2021
Roma – Soldati, romano di adozione ma
di necessità?, la vede confusa, informe. Al confronto con Parigi, che ha un
disegno urbanistico, geometrico: “Nessuna è così informe, disordinata, casual, … nata e crescita sviluppandosi
continuamente a macchia d’olio”. Non
cresciuta sempre su se stessa? Non la sola, Istanbul è cresciuta alla stessa
maniera. Così vede Roma “dall’alto, mostruosa come un’eruzione patologica su
una pelle umana”.
Ma
dice anche vero che “tutte le grandi città, viste da un aereo, fano questa
impressione: che cosa sono, infatti, le città, se non particolari eruzioni
prodotte dal genere umano sulla pelle della terra?”.
Sbarchi – Dalla Tunisia si tentava negli ultimi mesi della guerra, con mezzi di fortuna, da parte di soldati tedeschi e italiani, la traversata da Capo Bon sotto Tunisi a Pantelleria. Lo racconta Berto in “Guerra in camicia nera”, scritto nel 1954. A Kélibia, l’estremità del Capo Bon, “il punto più vicino all’Italia”, dove “col tempo buono si scorge l’isola di Pantelleria”, lo scrittore trova “dappertutto, sulla spiaggia, gruppi di militari, in maggioranza tedeschi”, che si costruiscono “zattere di fortuna per tentare la traversata. Adoperano bidoni vuoti di benzina e motori recuperati”. Con poche prospettive di successo, anche allora: “Ogni giorno partono, in media, una decina di zattere. Si dice che qualcuna sia giunta a Pantelleria, addirittura in Sicilia, ma è una voce che ha molte probabilità di essere fantastica”.
Ulisse – Tabucchi (“Di tutto resta un poco”) lo vuole “un artefice, nel senso etimologico del termine”, e un “artista, o la sua metafora”. Di pensiero “anfibio”: “Sta nel qui ma già anche in avanti, (e) sta anche indietro, in una atemporalità che coniuga futuro e passato. Il suo multiforme ‘ingegno’ è soprattutto questo”.
Umorismo – “L’unica via
per sfuggire alla paralisi della nevrosi”, Giuseppe Berto (“Domande a Giuseppe
Berto”, in “L’Europa letteraria”, marzo 1964)..
letterautore@antiit.eu
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