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Siena non si tocca, anche se costa
Si
è arrivati alla rottura, improvvisa, tra Uncredit e Tesoro su Mps all’indomani
del voto a Siena per una ragione precisa: gli accordi già conclusi prevedevano
la chiusura del centro direzionale del Monte, cioè della “senesità” del Monte.
E questo non si concilia con la rappresentanza politica che della città ha
assunto Letta, il segretario del Pd.
La
rottura non è tecnica, ma politica: il Tesoro ha agito su impulso e d’accordo
con palazzo Chigi. Sulla ricapitalizzazione di Mps, sotto forma di beneficio
fiscale, l’accordo era già delineato, ma così pure il piano industriale, con la
riduzione di sportelli e personale. A partire appunto dalle strutture centrali.
Punto, questo, irrinunciabile per Unicredit. Ma, dopo il voto, anche per il governo,
in senso contrario: Mps deve avere testa a Siena.
Il
presidente del consiglio Draghi ha di fatto più esperienza di tutti in fatto di
“privatizzazioni mitigate”, maturata da direttore generale del Tesoro nel
decennio 1991-2001, quando furono vendute le banche pubbliche.
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