Quanto bisogna temere la Cina
Un libro informato, finalmente uno, e
di allarme: la Cina sta diventando egemone, e la prospettiva non è buona. È l’evidenza.
Ma non sul presupposto Oriente vs. Occidente, scontato nell’argomentazione di
Rampini - “Capire la Cina per salvare l’Occidente” è il
sottotitolo. Di questo scontro a
non molti, all’improvviso in questo Millennio, frega più tanto. No, fa
paura proprio per quello che Rampini dice, di questa Cina del presidente Xi: invadente
e imperiale, anzi minacciosa. Nella pandemia, nella finanza, nel commercio. Oltre
che totalitaria, senza maschere, per i cinesi, delle tre Cine.
La Cina ha da qualche tempo un complesso di
superiorità, spiega Rampini. Cioè, lo nutre: la leadership di Xi è cresciuta e
si è consolidata su questo aspetto, che c’è una sfida con l’“Occidente” e che
la Cina è nella migliore posizione, cioè vincente. Questo dalla crisi del 2008,
cioè ormai da dodici anni. La Via della Seta è una sfida mondiale, il reticolo
di interessi commerciali e finanziari steso da Pechino sull’Asia, l’Africa e l’Europa.
Così come l’assoggettamento di fatto di Hong Kong. Ed è in ballo Taiwan. Qui con
risvolti anche militari, dai quali finora Pechino ha rifuggito.
La cosa c’è. Ma quanto bisogna temerla? La
Cina è un gigante, ma quanto temibile, posto che punti a una sfida? Non va
sottovalutata la poca coesione nazionale. Che il Partito Comunista copre, con l’organizzazione
occhiuta e manesca, ma quanto può durare? E l’urbanizzazione. Città di dieci,
venti e trenta milioni, come e fino a quando saranno governabili, con la
museruola stretta? Facevano già sgomento negli anni 1980 i
parcheggi degli stadi, con decine di migliaia di bici, tutte nere, ammassate. A
un’automobile per abitante, anche per due abitanti, ammesso che i cinesi
sopravvivano allo smog, producano anticorpi specifici, dove le metteranno? Lo
smog non c’è, non ci sarà, perché la Cina andrà tutta elettrica. Ma a Shangai e
Pechino si procede, due giorni su tre, nella nebbia fitta, e per fare l’elettricità
lo smog si moltiplica, col carbone, con l’olio combustibile. E si dà troppo per
scontato che la Cina sia avanti nella tecnologia: nelle attività di massa la
qualità dei prodotti e dei servizi resta scadente. A partire dalla
“cucina cinese”, col solito menù di centinaia di portate, in scatola. E ora sui
servizi – la telefonia fissa e mobile, Huawei compresa.
Il maggiore handicap resta politico: il disegno di Xi è avventuroso. Pechino è ingombrante e temuta, per i motivi più diversi, in quello che era il Terzo mondo, in Asia e in Africa. Non ci sono già più le tre Cine di Kissinger, è vero, ma la replica Hong Kong a
Taiwan non ci sarà. E non bisogna dimenticare Tienanmen. Ora ce n’è per tutti,
sono stati trent’anni di Bengodi, ma durerà sempre? Il mezzo allentamento concesso
da Deng portò alla mobilitazione di piazza. Xi è un autocrate, ma fino a
quando? Il popolo cinese è confuciano ma up
to a point.
Il Pcc già non ha più nulla di comunista, è
un comitato d’affari. Che governa occhiuto le campagne e l’immigrazione interna
per il boom. Molto esperto anche, sulle
tematiche più incisive dell’economia politica, i monopoli, la moneta, la
distribuzione, il reddito, ma è pur sempre e solo una organizzazione di potere. Radicata nei poteri (giustizia,
polizia, militari) più che nel “popolo”, nel paese profondo. Con una architettura statale che sembra solida e immutabile ma solo per il dominio di un partito che si regola come una casta, non ci sono poteri legali, checks abd balances, alternative, ricambi. Rampini lo sa e
lo dice, ma forse sottovaluta i due nodi sociali già emergenti: l’urbanizzazione
accelerata, con la difficoltà o impossibilità di coagulo di una classe media, stabilizzante (le disuguaglianze restano maggiori nella comunista Cina che negli Usa patria del capitalismo più sfrenato), e la divisione etnica, quasi tribale, e sociale. Impensabile che
quest’ultima venga tenuta celata (compressa) da
partito Comunista. Impensabile anche che un partito Comunista, cioè totalitario,
possa durare indefinitamente: la storia della Cina è lunga, ma di fulgori e
scomparse, lunghe.
La
Cina è troppo vicina anche per un motivo “occidentale”. Perché è (troppo) conveniente,
e l’Occidente degli affari ci prospera. Ma al coperto di un’ideologia del mercato
un po’ stressata: troppe fregature, e non costano più nemmeno tanto poco.
Federico Rampini, Fermare
Pechino, Mondadori, pp. 324 € 20
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