Giuseppe Leuzzi
A colloquio
con Martini sulla “Stampa”, l’ex ministro socialista Rino Fornica ricorda. “Nel
1944 conobbi Benedetto Croce nella villa dell’ingegner Laterza. A un certo punto,
parlando di violenza politica, Croce disse: “Vi siete mai chiesti come mai in
Italia non c’è stato un corpo spietato come le SS? Rispose: da noi poliziotti e
carabinieri sono tutti ragazzi del Sud, ragazzi di buon cuore. Pensate invece
se fossero stati tutti toscani…”.
Il V Congresso
del Pci, “il primo legale”, tenuto a Roma a fine 1945, propose l’affido temporaneo
dei bambini poveri dei quartieri disastrati di Roma, Napoli, Cassino, a causa
dei bombardamenti, presso famiglie dell’Emilia-Romagna. “L’accoglienza fu al di
sopra di ogni aspettativa”, racconta Miriam Mafai in “Una vita, quasi due: “Migliaia
di bambini affamati, storditi e irrequieti vennero nutriti, rivestiti, mandati
a scuola, curati”.
Poi, negli anni
1970, in Romagna i casolari abbandonati furono murati perché non li occupassero
immigrati dal Sud. La politica ha un ruolo.
Maurizio
Costanzo, omaggiato con una pagina da Cazzullo sul “Corriere della sera”, si
supera. “Intervistai Trump a New York, dopo l’11 settembre. Gran paraculo”,
dice: “Poi andai al Madison Square Garden a parlare con gli italoamericani. Lì
ho capito cos’è la ‘ndrangheta”. Cioè? “Tutti tenevano in casa la foto di
Mussolini. Una volta, nel New Jersey, chiesi del bagno: aveva rubinetti d’oro”.
Quelli ce li aveva anche De Mita a Nusco, li vendono negli (ex) “smorzi”, i negozi di sanitari.
Nordici e latini
Sul
piroscafo tedesco su cui fa ritorno in Europa nel 1938, dal Messico dove si è
recato per il reportage “Le vie senza
legge”, Graham Greene trova la
segregazione: “Sembrava vi fosse a bordo una quantità di spagnoli - si poteva
riconoscerli all’accento – ma i camerieri li segregavano accuratamente per i pasti,
un servizio per i latini ed uno per i nordici”.
Quando uno dei
cuochi “balza”, o cade, “fuori bordo” e il piroscafo blocca la marcia - “più di
quattro ore navigammo in cerchio, cercandolo” – “qualche segno di irritazione
si fece manifesto tra i nordici: una specie di leggero odio rabbioso per l’uomo
che aveva causato loro un contrattempo. Quanto ai latini, non se ne curarono
per nulla”.
Nord e Sud “pari
sono”, si potrebbe dire col Duca di “Rigoletto”.
“Vi è
qualcosa di spaventosamente mondiale”, commenta poi Greene, “in una nave quando
si è liberata dalle acque territoriali. Ogni nazione ha la propria privata
violenza”. Succede perfino, pare, sulle navi da crociera. E dunque è meglio non
provarci con gli ammassamenti in aree circoscritte, con le unificazioni?
Il reddito del Sud
Fa senso, al netto
del “colore” della comunicazione oggi d’obbligo anche per le forze dell’ordine,
il numero delle truffe sul reddito di cittadinanza, e la “qualità” delle stesse,
accertate dai Carabinieri nei quattro mesi estivi in mezzo Sud, Campania, Puglia,
Basilicata, Molise, Abruzzi. I tanti con carichi penali, perfino capimafia in
attività, quelli con la Porsche o la barca, imprenditori di vario genere,
gestori o proprietari di appartamenti, garage, scuole di ballo, 9.247 abusivi
tra le (poche) decine di migliaia di
casi analizzati - “c’è persino chi si è inventato di avere dei figli”.
Poi ci sarebbero
– qui non c’entrano i Carabinieri, ma ognuno lo può vedere - tutti i percettori
del reddito di cittadinanza per i quali “è sempre meglio che lavorare”. E
questi sono soprattutto giovani, che tardano a farsi un mestiere – i mestieri vano scomparendo al
Sud, trovarvi un idraulico, un falegname, un elettricista è più difficile che a
Roma.
Una goccia,
un’elemosina. Un abito mentale? Il bisogno c’è, e si diffonde in Italia, in tutta
l’Italia, la povertà è in aumento, il sussidio è sempre più necessario. Ma fra
i giovani?
Il “santino” di Giuditta Levato
Nel movimento
contadino per l’occupazione delle terre, dagli Abruzzi alla Sicilia, nel dopoguerra,
si distingue quello delle province calabresi di Catanzaro e Cosenza – oggi di
Crotone - sul versante jonico. Avviato per primo a fine 1944 grazie alla legge Gullo, così denominata dal
ministro dell’Agricoltura, socialista di Cosenza, che riconosceva a cooperative
di contadini il diritto di coltivazione di terre abbandonate o incolte, seppure
di proprietà – il racconto, romanzato solo un poco, è di Mario La Cava, “I
fatti di Casignana”. Nei contasti tra i contadini e i proprietari, che risposero
alla legge Gullo avviando in varie prefetture pratiche per la restituzione dei
terreni, si ebbe un incidente mortale, il 28 novembre 1946, a Calabricata, nel
comune di Albi, poi denominato Sellia Marina, in provincia di Catanzaro. Nel corso
di una contestazione fra i contadini coltivatori e il proprietario Pietro Mazza,
un colpo partito, non si sa quanto accidentalmente, dal fucile di un guardiano
del Mazza ferì una giovane donna, Maria Levato, 31 anni, madre di due figli e
in attesa del terzo. Ferita all’addome, Maria Levato fu trasportata dapprima a
casa, e poi all’ospedale, ma non resse alla ferita.
Miriam Mafai
ne fece il “santino” per conto del partito Comunista – come racconta nell’autobiografia,
“Una vita, quasi due”, p.97: “Giuditta Levato, già madre di due figli e incinta,
viene uccisa dalla pallottola di un agrario, e diventa rapidamente il simbolo
di queste battaglie (per l’occupazione delle terre, n.d.r.). Il Pci preparò in
suo onore quel che chiamavamo un «santino», con la sua immagine e, sul retro,
poche parole che ne ricordavano il sacrificio. Fu Luigi Longo a volere che
preparassimo questa sorta di immagine sacra, fui io a scriverla anche se a
distanza di tanti anni non ne ricordo il testo. Ma è possibile che abbia
inserito le parole che la giovane donna pare avesse pronunciato, prima di
morire, a chi le stava accanto: «Ai miei figli dirai che sono partita per un
lungo viaggio, ma che tornerò…»”.
Calabria
Si dice gli
Abruzzi e le Puglie, ma la Calabria. Mentre è, da tutti i punti di vista,
linguistico, mentale, economico, ambientale, anche naturale – sono diversi i mari,
seppure con lo stesso nome, le montagne, le campagne - le Calabrie, come lo era
nel Regno borbonico. Le differenze sono enormi, storiche e culturali, l’unità è
solo geografica, il “piede”, la lunga penisola appesa al troncone appenninico.
La varietà può essere un asset. Oppure un handicap: la politica è in
Calabria sezionata, localistica, e quindi inefficiente – inutile quando non è
dannosa.
Nello
scandalo Monte dei Paschi di Siena, il più grave scandalo bancario dopo quello
della Banca Romana degli anni 1890, l’unico colpevole accertato è Giuseppe
Mussari, di Catanzaro. Uno dei calabresi che saranno ferali a Massimo D’Alema –
l’altro è il calzolaio che gli forniva le scarpe milionarie. D’Alema dunque
come un piccolo Giolitti senza un (quasi calabrese) Salvemini . che lo accusi,
ma affossato da due calabresi?
Vanta 180
vitigni antichi, “autoctoni”, un record,
tra cui i rossi gaglioppo e magliocco, e i bianchi greco, mantonico e
pecorella, e non produce quasi vino. Giusto 90 mila ettolitri l’anno, poco più
della Basilicata - ultima regione in Italia per la produzione di vino, se si
eccettua la valle d’Aosta. Il Molise, con una superficie di un quarto, poco
meno, e altrettanto montuoso, ne produce due volte e mezzo.
Giovanni
Visconti Venosta, sedici anni, di famiglia nobile, scende a fare la rivoluzione
a Milano a marzo del ’48 contro l’Austria, armato” di “un distintivo di protesta”,
una coccarda tricolore, e “con il suo bravo cappello alla calabrese, indossato
in quei giorni da chi volesse ostentare i suoi sentimenti di italianità”
(Luciano Bianciardi, “Il Risorgimento allegro”, 9). Nei giorni delle Cinque Gornate di Milano che accesero il Risorgimento.
Maurizio Fiorino,
dopo Peppe Smorto, sente il bisogno di raccontare tipi simpatici incontrati
quale e là per la Calabria, giovani soprattutto. Storie volutamente non singolari, giusto normali – lo fa la settimana del 18
settembre su “D\Lui” di “Repubblica”, il supplemento generato dalla vulcanica
Palermi. La Calabria non sa – non riesce, non le è consentito – trovare una normalità,
di fare, di pensarsi. Sempre di fretta, sempre in fuga, irriflessiva.
La Camera di
Commercio di Cosenza fa un concorso giornalistico per chi presenta al meglio la
Calabria. Non necessariamente per apprezzare, ma fuori dai cliché. È un
tema che questa rubrica ha agitato fin dall’inizio, quindici anni fa, dell’immagine,
del “discorso su”. Compresa, come dice il presidente della Camera di Commercio
di Cosenza Klaus Algieri, l’immagine che se ne fanno “gli stessi calabresi” –
l’odio-di-sé è il peggior veleno.
Il freddo
s’addice ai calabresi? “C’è tanta espressività nella faccia dei calabresi”,
annota la giovanissima viaggiatrice inglese Emily Lowe nel 1855 nel suo “Donne indifese in Calabria”, “che vi
si può leggere tutto quello che hanno in mente, per cui non c’è motivo di
considerarli con sospetto. Erano di gran lunga gli uomini più belli che
avessimo visto, in quanto il freddo degli inverni calabresi conferisce loro una
freschezza quasi inglese”.
“Tutto
all’estremo, come i loro fiumi”, ancora la giovanissima Lowe trova “i
calabresi”: “Che o precipitano in torrenti impetuosi , o si seccano lasciando
un alveo arido e duro, ma non scorrono mai abbastanza lentamente per
riflettere”.
Fu
“L’Arlesiana” di Francesco Cilea, il compositore di Palmi, a lanciare la
carriera di Enrico Caruso. Fu con “I pagliacci”, opera ambientata in Calabria, dove
Leoncavallo aveva vissuto da bambino, con l’aria “Vesti la giubba”, che Caruso
ebbe il suo maggior successo, al Metropolitan di New York.
“Quantum
(poco) mutatus ab ille”, mutata nel caso della Calabria. A sfogliare lo
speciale che “Il Ponte”, la rivista fiorentina, dedicò alla Calabria nel 1950,
un numero doppio che diventò quadruplo. Nel reprint organizzato da Gianfranco
Manfredi e Pantaleone Sergi presso la Bios di Lamezia “La Calabria quale era e
qual è” viene dato come il titolo dello speciale. Ed è come la regione si fosse
fermata a settant’anni fa, con meno energie – idee, personalità, progetti,
voglia.
Molti i
titoli, di autori calabresi, del tipo “Calabria sconosciuta”, “Terra
incognita”. “Storia segreta”. Di fatto la Calabria è sconosciuta ai calabresi.
Proiettati, dalla scuola, dalla storiografia (quella locale è solitamente dilettantesca),
dalla letteratura, fuori di sé. Salvo per tristi eventi e personaggi, più
spesso per i cliché di eventi e personaggi, impositivi e ripetitivi, immutabili
nei decenni. Senza la grandiosità o il fascino del gotico, del noir -
protervia e basta.
“Le parole di un
grande scrittore” ritornano alla memoria della protagonista di “Dove mi trovo”,
il racconto italiano della scrittrice indo-americana Jhumpa Lahiri, quando dalla terrazza di
case osserva il sorgere del sole: “Io, dopo un poco, fuggo interrorito all’ombra…”,
il sole riducendolo “un elemento ancora più piccolo di questa terra, un verme o
una pianta…”. È Corrado Alvaro, un racconto de “Il mare”.
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