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Dio avido, del Male
La
cena delle bombe c’è, ma non finisce lì. Il ricchissimo dottor Fischer riunisce
periodicamente una banda di persone alle quali infligge una cena disgustosa,
godendosene l’avidità: tutti fanno finta di nulla perché sanno che saranno premiati
con un regalo di gran valore. Un’idea di commedia realizzata poi in racconto.
Un
racconto iterativo, ma non senza sorprese. Il dottor Fischer è un ricco
misantropo, spregiatore del genere umano. Nel quale ha però incluso la moglie,
per una piccola passione che lei aveva, da lui non condivisa, per Mozart, per
la musica: un astio che l’ha uccisa. È dunque persona astiosa, ma ha generato, con la moglie, una figlia. Che
è in tutto uguale alla moglie, e in più decide ora di sposare un inglese
spiantato, con un piccolo lavoro di traduttore a Ginevra, ha più del doppio della
sua, ed è monco di una mano. E non c’è salvezza – questo si può dire, anche se
della bomba all’ultima cena non è opportuno. Se una felicità si schiude, una
morte sopraggiunge quasi annunciata – una offesa al lettore, un suo lutto personale.
Una
storia di fatto di sadismo e masochismo, volendo chiamare le cose col loro
nome. Anche nei personaggi buoni e bene intenzionati. Ma una proposta al solito
penetrante del fatto religioso, del Dio soprannumerario. Fino al Dio malato di
avidità: “Mi piace pensare che la mia avidità è un po’ come quella di Dio”, può
argomentare il dr. Fischer: “I credenti e i sentimentalisti dicono che è avido
del nostro amore. Preferisco penasare che, a giudicare dal mondo che è supposto
avere creato, può essere avido solo della nostra umiliazione, e quella avidità come si può mai esaudire?
È senza fondo”.
Uno
dei racconti di Greene inflessibile: il Male c’è. Ma una storia di fede,
malgrado tutto, la preghiera è ancora
salvifica, benché disperata.
Graham
Greene, Il dottor Fischer a Ginevra,
ovvero la cena delle bombe
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