Graham Greene si confessa – o dell’Europa masochista in Africa
Il
racconto di due viaggi in Africa, nel Congo ex Belga a gennaio del 1959, e in
Africa Occidentale nel 1\941, il secondo nella regione, il primo era stato nel
1934. Del Congo Greene ha tenuto il diario (“di solito non tengo diari, questa
è un’eccezione”) , dell’Africa Occidentale, da Lagos a Monrovia no, per ragioni
di sicurezza.
La
breve introduzione, anche questa un’eccezione, dà buone indicazioni su Greene
stesso, sulle sue opere. Dal primo viaggio nasce “Il cuore della questione”, e
nello scriverlo molto ha risentito la mancanza di un diario: “Sono stato a Freetown
troppo a lungo, finendo per dare troppe cose per scontate”, mente tenere un
diario avrebbe aiutato la composizione del romanzo, “perché ho poca
immaginazione visiva e solo una corta memoria”. Non solo, “con l’età la memoria
peggiora” – “ho dovuto fare quattro visite di tre mesi ciascuna in Indocina
per «Il tranquillo americano”.
In
Sierra Leone la lettura di una detective
story del genere fantastico di Michael Innes “mi ha messo in moto nella
direzione del “Ministero della paura”, “un divertimento che ho scritto nel
tempo libero dal lavoro che potevo permettermi a Freetown”.
Nel
diario del Congo il 22 febbraio spiega il problema di limitare i personaggi
alla scelta dell’iniziale invece del nome - bisogna cercare il carattere, il
senso, di quella scelta. “Ci sono poche lettere che si possono usare invece di
un nome: K appartiene a Kafka, D l’ho già usato, X è di disagio. Rimane la
C…”.Qua e là molte perle. “L’economia del romanziere è un po’ come quella di
una attenta padrona di casa, che non vuole buttare nulla”. I bambini piangono a
messa, in chiesa un ordine fra i più ascoltati è: “Metti il. bambino al
seno”. Col “tragico spreco delle piccole vite eroiche”. Contro Julien Green,
autore peraltro presto dimenticato, allora in auge, e le sue giaculatorie
contro Dio: “Dio non preferirebbe una bestemmia - ma da Villon?” L’Africa, la
rivoluzione, incomprensibili – a proposito di lebbrosi (all’epoca c’era la
lebbra): “Un uomo che L. ha curato ha scritto una lettera alla sorela ancora
nel lebbrosario augurandosi la morte di L.e vantandosi di quello che aveva
fatto a Leopoldville nei tumulti” contro gli europei. I viaggi: “Quando si viaggia lontano
si viaggia anche in tempo”. La suora bellissima ma freddissima, senza
sentimento. I missionari: né ingenuità, né durezza né tensione: “Persone che
hanno troppo da fare per occuparsi dei motivi”.
E
una veduta sicuramente anticonformista del colonialismo, dell’imperialismo: “Il
masochismo dell’Europa”, che si attribuisce tutte le colpe - siamo nel diario
del Congo, quindi nel 1955: “La discriminazione è girata dall’altra parte. Il
bianco paga più del nero per la licenza radio; nei tribunali, se non ci sono testimoni,
la parola di un nero, che dica per esempio che un bianco lo ha colpito, è
sempre presa per buona, il che porta a una sorta di ricatto. Il masochismo
dell’Europa (nel Congo già preda delle guerre civili, n.d.r.): “Lo abbiamo
provocato noi.
Nessuna comprensione del lavoro disinteressatamente fatto per gli africani”.
Con la constatazione delle “stragi indiscriminate, che succedono ai tropici”. E
quando qualcuno, il vice-governatore con vent’anni di Africa, agli inizi del
diario del Congo dice che bisogna rompere il quadro tribale e dare a questo
scopo anche incentivi materiali, Greene obietta: “Ma questo non porta dritti al
mondo a premi degli Stati Uniti? Parla della necessità di una mistica, ma c’è
una qualche mistica in America oggi, anche dentro la chiesa cattolica?”.
Graham
Greene, In search of a character
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