astolfo
Appennini – Nome di
origine incerta, come si sa, ma più probabilmente celta, ritrovandosi anche
nella non montuosa Inghilterra, i Pennini. In celtico, come in ligure, pen o ben è montagna, cima. Nome quindi rimasto nel Nord Italia
dall’epoca dei Celti. Non registrato nella geografia antica, di Strabone et al., riemerso in epoca tardo-moderna,
tra Sei e Settecento.
Lo
scrittore Graham Greene, nell’autobiografia “Una specie di vita”, i Pennini
vede “grigi, con un po’ di pecore vaganti su colline desolate deserte. abbozzi
di mura di pietra e sparse capanne con un’aria irlandese di fatiscenza”.
Awoke-woke – Risveglio,
nella pronuncia afroamericana del corretto “awake”. Detto dei movimenti periodici
di rivendicazione delle minoranze “rivoluzionarie”, che si ritengono per
qualche motivo danneggiate o coartate. Con significato ora, però, curiosamente
sia elogiativo che spregiativo. Apprezzativo da parte dei movimenti di
rivendicazione, radicali (liberal),
nel senso di “svegliati!”. Spregiativo
da parte di chi contesta la contestazione, anche solo per il suo radicalismo –
che politicamente si direbbe di destra, ma è ora anche di centro. Possono così
essere woke sia i movimenti Black Lives Matter e #metoo, che i critici degli stessi – sia
gli oppositori frontali che i critici degli eccessi rivendicativi. Come già per
le contestazioni precedenti del politicamente
corretto e della cancel culture.
L’ambivalenza
in particolare si produce per i prodotti culturali di massa, film, fumetti,
serie tv, videogiochi, che abbiano tentato di cavalcare l’onda dei movimenti di
rivendicazione, ma, prodotti di massa, inevitabilmente risultano indigesti al
pubblico generalista – da qui il detto ora popolare, “get woke, go broke”, risvegliati e fallisci.
Discussa
è l’origine del termine, se non che proviene dalla parlata afroamericana. I
vocabolari la fanno risalire alla
canzone Master Teacher”, di Erykah Badu, una cantautrice, che reca
l’espressione rimata “I stay woke’e”, sto in guardia. La canzone è del 2008. Ma
era woke già il movimento dei diritti
civili degli anni 1960, inizialmente nero poi misto.
Von Bernstorff – Un “conte von Bernstorff,
primo segretario all’ambasciata tedesca a Londra”, arruola Graham Greene
ventenne, nel 1924, come spia. Il futuro scrittore se lo trova seduto sulla sua
poltrona nella sua stanza al college Balliol, “la mia sola bottiglia di brandy
quasi finita”. Era successo che Greene, indignato dalla lettura di un libro di
racconti, “Defeat”, di Geoffrey Moss, sui tentativi di creare un Palatinato
indipendente, dentro o fuori della Germania, e forse dentro la Francia, subito
dopo la guerra, aveva scritto all’ambasciata tedesca a Londra per offrire i
suoi servizi come propagandista, accampando entrature in numerosi giornali.
Pronta era arrivata la risposta, portata dal conte. Seguito da altri importanti
e strani personaggi: una bellissima contessa von Bernstorff, cugina del conte.
Un giovanotto dal lungo complicato tiolo, che vantava una più nobile e lunga
discendenza dagli Hohenzollern, e uno strano Capitano P. Fino al giorno in cui,
convocato all’ambasciata, il futuro scrittore ebbe dal conte un pacchetto, con
l’istruzione di bruciare la busta – “che naturalmente ho conservato come
ricordo”, scrive Greene. Dentro c’erano 25 sterline, “più che sufficienti in
quegli anni per un lungo viaggio tra Reno e Mosella”, dove la repubblica del
Palatinato doveva sorgere.
Col
viaggio pagato dall’ambasciata tedesca, finì la collaborazione di Greene. Che
però ricorda del conte: “Un uomo che amava il lusso e i ragazzi, e frequentava
uno club equivoco chiamato L’Abissino a
Soho, Archer Street. Nessuno avrebbe previsto che, dentro quelle pieghe di
carne si nascondeva un eroe che avrebbe gestito una via di fuga per gli ebrei
dalla Germania alla Svizzera nell’ultima guerra, per poi essere giustiziato nella
prigione di Moabit”.
Il
Benrstorff di Graham Greenme, di una famiglia che contava molti diplomatici e
anche un ministrod egli Esteri della Prussia, era Albrecht. Che era familiare di Oxford preché ci aveva
studiato, e prima di tornare a Londra all’ambasciata,
era sto all’Alta Commissione Interalleata per la Renania. Dopo Londra, nel
1933 fu espulso dal servizio diplomatico per non aver prestato giuramento a
Hitlwer. Con la banca Wassermann, lavorò
a trasferire capitali ebrei all’estero. Fino al 1940, quando fu per questo imprigionato
a Dachau. Presto liberato, entrò in contatto con alcuni circolik di opposizione,
il circolo Solf e il circolo Kreisau. Con i quali collaborò al tentativo di
colpo di Stato del 20 luglio 1944. Arrestato, fu destinato in un primo momento
a una pena leggera, la detenzione nel lager di Ravensbrück. Ma a fine 1944 fu
trasferito alla prigione berlinese di Lehrter Strasse, nel distretto di Moabit,
sotto il controllo delle SS, che lo torturarono. Fu una delle ultime vittime di
Hitler rinchiuso nel bunker, giustiziato il 24 aprile 1945 - otto giorni prima
della capitolazione della capitale in mano ai russi.
Poor Laws – Il reddito di
cittadinanza ha avuto illustri secolari antenati nelle Poor Laws inglesi –
applicate anche al Galles, meno all’Irlanda e alla Scozia. Varie norme per il
sostegno dei poveri risalgono all’epoca Tudor. Ma la prima Poor Law si fa
risaalire al 1572, durante il regno di Elisabetta. Con riferimento soprattutto
ai mendicanti e ai vagabondi. Nel 1834 una nuova Poor Law tentò una soluzione
radicale del problema povertà. Oggetto presto però di ripulsa radicale.
La
legge, promossa dal Parlamento, aveva il triplice obiettivo di ridurre i costi
dell’assistenza ai poveri, i costi locali, di parrocchie e comuni, di eliminare
dalle strade i mendicanti, e di spingere reg i poveri a lavorare in qualche
modo per mantenersi. Sottraeva l’assistenza alle parrocchie, e creava della workhouses , case lavoro, una sorta di
carcerazione benevola, senza sbarre, dove i poveri e le loro famiglie dovevano
essere rivestisti, sfamati, e avviati al lavoro, anche se poco retribuito. Ai
bambini veniva assicurata una formazione scolastica di base. Ma la legge durò
poco, contestata da destra e da sinistra. La “workhouse” fu criticata come una
“prigione dei poveri”. Ci furono anche rivolte degli assistiti –non a Londra ma
nelle città del Nord dell’Inghilterra sì. I precetti della Poor Law 1834 non
furono aboliti (si procederà all’abolizione solo nel1948, sostituendole con una
legge di assistenza (sociale) nazionale, National Assistance Act. Ma le workhouses restarono sulla carta. Mentre
si formavano nuove forme di assistenza, mutualistica fra lavoratori, e di
volontariato, privato, delle parrocchie e laico.
Repubblica Palatina – O del
Palatinato. È un progetto della Francia, tra il 1919 e il 1923, da potenza
vincitrice, di creare uno Stato indipendente dalla Baviera, cioè dalla Germania,
tra la Mosella e il Reno. Ne parla lo scrittore inglese Geoffrey Moss nel
volume di racconti “Defeat”, 1924. Criminali ted schi detenuti in prigioni francesi,
ladri, violenti, magnaccia furono liberati e deportati nel Palatinato per
aizzar e alla collaborazione. La polizia tedesca comandata di intervenire dal
Land di Monaco era stata brutalizzata. Il progetto non andò in porto per l’opposizione
della Gran Bretagna e degli Stati Uniti – dove il progetto francese veniva labellato
“Revolver Republic”. Ma in Germania gli elementi nazionalisti restarono a lungo
allarmati dal progetto. L’occupazione militare francese del’area, e nel 1923
anche del bacino della Ruhr a Nord, confortava questi timori.
Nei
fatti,. un primo tentativo separatista avvenne subito con l’occupazione
francese a fine 1918: d’accordo col generale francese Gérard, un Eberhard Haas,
di professione chimico, creò una Lega (Bund) del Libero Palatinato. A maggio
del 1919 Haas intimò al presidente del Palatinato, Theodor von Winterstein, di
pendere la guida del movimento separatista. Al rifiuto di Winterstein proclamò
l’1 giugno la “Repubblica del Palatinato”, con capitale Spira. Proprio la città
dove erano all’erta e protestavano gli unionisti, per il mantenimento dell’unione
con la Baviera. Subito dopo Haas perdeva pure l’appoggio del generale Gérard, e
il suo Bund finì nel nulla.
La
Baviera corse ai ripari contro il separatismo del Palatinato creando degli
uffici decentrati, a Mannheim e Heidelberg. E un apposito Commissariato per il
Palatinato, di cui fu a capo per periodo
Winterstein.
Nel
1923, in connessione con l’occupazione franco-belga in primavera della Ruhr,
con i conseguenti problemi d’inflazione e disoccupazione, la questione
Palatinato ebbe una nuova insorgenza. A opera di alcuni socialdemocratici, che
facevano capo a Johannes Hoffman, ex ministro del governo della Baviera, in rotta
col partito su posizioni paracomuniste, ma d’intesa col comandante francese de
Metz. Questa volta per un Palatinato indipendente confederato col Reich tedesco.
Il tentativo socialista finì nel nulla. Mentre prendeva piede, in parallelo con
l’iniziativa autonomista di Hoffman, un progetto di separazione totale del Palatinato
dalla Germania, e per l’adesione alla Francia, promosso da un Josef Heinz,
detto anche Heinz-Orbis dal suo luogo d’origine, che aveva formato in Corpo
paramilitare del Palatinato. Heinz prese per cinque giorni, tra il 6 e il 10
ottobre del 1923, il controllo delle città palatine Kaiserslautern, Landau e
Neustadt an der Haardt. Il governo legittimo
si arrese e il 12 novembre, a Spira, Heinz proclamò il Palatinato autonomo, in
unione con una Repubblica renana, filofrancese, a occidente del Reno. Mentre
Heins continuava a occupare nuovi territori nel Palatinato. Finché, con l’approvazione
del governo bavarese, Heinz e i suoi prossimi collaboratori il 9 gennaio 1924,
non furono trucidati, nel ristorante dell’albergo di Spira Wittelsbacher Hof,
da un kommando di una ventina di uomini della lega Bundes Wiking, al comando di
Edgar Julius Jung – “Tyll”, un pubblicista nazista antemarcia, che sarà
liquidato nel 1934 con le Sa. La repubblica del
Palatinato sopravvisse ancora alcuni giorni, ma non era più nell’interesse
francese – opponendosi Gran Bretagna e Stati Uniti.
astolfo@antiit.eu
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