skip to main |
skip to sidebar
Il sogno americano annegato nell’alcol
Una
scrittura barocca dapprima, poi rabdomantica. Con molta chiesa e profumo d’incenso,
le stagioni e le cose da fare scandite col calendario liturgico. Le storie del
signor Nailles dapprima, considerato e uomo di fede, e poi del cattivissimo Hammer
- chiodo e martello. Insomma, storie disinvolte. Nate e nutrite. E dalla condizione borghese,
alienante, come usava dire. Uno di quegli esercizi in media borghesia
suburbana, che lega questo Cheever al filone allora dominante, anni 1960-970, Richard
Yates, con code nei 1980: il primo Styron, Richard Yates, anche Philip Roth, Ellroy,
lo stesso Bukowski, perfino Dick, e poi Franzen.
Una
storia disinvolta, attorno al nucleo critico, sociologico. Con molta Italia.
Roma, dove il fglio del signor Nailles nasce, senza ragione specifica,
all’American Hospital, e Orvieto, dove il giovane ricco Hammer ha infine trovato
il nido, le due stanze dipinte di giallo che ha cercato in mezzo mondo, se non
che il padrone non gliele cede, si sposa e vuole abitarci. Nailles è buon
marito e buon padre, amoroso e sollecito, sensibile - “riconosce i rumori che
fanno i vari alberi scossi dal vento: un acero, una betulla, una tulipifera,
una quercia”. Hammer si porta dietro Montale, che intende tradurre, e quando infine
l’ha tradotto, scopre che qualcuno lo ha già fatto, senza dolersene, prende e
lascia le donne, è qui e là e in ogni dove – è insensibile. Entrambi sono figli
di madri stravaganti, e di padri assenti.
Tutti
sono ubriachi, sempre, molto, a tutte le età, mentre i più giovani si fanno le
canne. E riflettono: “Mai, dico mai”, riflette una delle due mamme alcolizzate,
“nella storia di una civiltà si è visto una grande nazione così pervicacemente
votata a drogarsi” - o anche un “esempio di incuria suicida, corruzione amministrativa
e pervertimento delle risorse naturali”. Non sono personaggi, per quanto
strani, sono prototipi, dell’America urbanizzata, in condizione suburbana: “Bullet
Park” non è un luogo specifico, è il quartiere suburbano prototipo, ora fuori Chicago
ora fuori New York, dove si gioca a bridge, ci si dedica alle opere pie, si va
a messa la domenica, si danno feste per i vicini, le donne non sanno che fare,
e si beve – a ripensarci, l’alcol è la spina dorsale del Sogno Americano nel
Novecento. Dove tutte le derive della narrazione si possono raggrumare, anche il
delitto inconsulto, le armi non difettano.
John
Cheever, Bullet Park, Feltrinelli,
pp. 232 € 8,50
Nessun commento:
Posta un commento