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martedì 9 novembre 2021

La prima memoria di uno schiavo americano

Una primizia, poi restata solitaria, della voga di scrittori americani neri a metà Novecento, tradotta nel 1962, cioè 125 anni dopo la sua pubblicazione, dal Saggiatore - una delle vecchie considerate Silerchie, presto nuovamente dimenticata. La “Narrativa” è stata materia, cento anni dopo, di Toni Morrison, “Beloved”, sulla vita impossibile degli schiavi fuggiaschi, “cacciati” come delinquenti - tanto che gli stessi non rifuggivano dalla peggiore violenza. Ma neanche il successo della Nobel le ha giovato. Ritorna con la polemica aperta negli Stati Uniti contro la Critical Race Theory, la revisione della storia americana come una storia di oppressione, e il movimento woke, o wokeness, le periodiche insorgenze delle minoranze, ora attorno alla questione nera e a quella femminista, dei movimenti black lives matter e #metoo.
Douglass è personaggio polytropos  direbbe Omero, multiforme: scrittore, editore, riformatore, abolizionista naturalmente, femminista (per il diritto di voto alle donne), candidato nel 1872 alla vice-presidenza degli Stati Uniti, candidata alla presidenza Victoria Woodhull, la prima e per un secolo e mezzo la sola candidata donna, di 34 anni, più giovane di una generazione del suo vice, per un Partito dell’Uguaglianza dei Diritti. Schiavo, in condizioni di durezza, fino ai vent’anni, che finirà colto educatore, ammiratore della Costituzione, “glorioso documento di libertà” – una difesa dei marginali, neri, schiavi.  
Ma l’abolizionismo era ancora  un movimento “bianco”, spiegava Bruno Maffi alla prima edizione: Douglass “apre il moto di riscatto delle popolazioni di colore”, in America e altrove. La New England Anti-Slavery Society di Boston (1832) e un anno dopo l’American National Anti-Slavery Society raccoglieva un gruppo di politici di base, non in carriera, beneducati che si ponevano il problema di cosa farsene dei neri schiavi. Un passo precedente, che le due nuove leghe sostituivano, era stato nel 1816 l’American Colonization Society, che aveva come obiettivo di favorire il rimpatrio dei neri in Africa, il progetto che nel 1847 porterà alla creazione della Liberia, un colonialismo di ritorno non fortunato. Douglass avvia un movimento afroamericano di resistenza – che arriverà fino a John Brown, alla resistenza armata. o, uno stato di tensione perenne. Tale che i fuggiaschi non rifuggivano dalla peggiore violenza, la violeza della disperazione.
La memoria si apre col ricordo di un padrone sadico, “un uomo crudele inasprito da una lunga esistenza di negriero”, alla cui frusta Douglass bambino si svegliava – “ero apena un bimbo, me lo ricordo bene”: “Mi è spesso accaduto di essete svegliato, all’alba, dalle urla strazianti di una mia zia ch’egli soleva legare a un palo, e menare con lo staffile sulla schiena nuda finché non era letteralmente coperta di sangue… Più lei gridava, più lui menava la frusta”, finiva solo quando era stanco. Dal padrone dipendeva la razione giornaliera di cibo. Si mangiava per terra. Non c’era diritto a un letto. Nell’ignoranza: la colpa peggiore era imparare a leggere.
Si formerà politicamente leggendo testi a favore dell’emancipazione, di cattolici irlandesi e dei cattolici irlandesi. I metodisti, invece, pastori e fedeli, erano i più feroci.  Lo stesso gli operai bianchi, fra i più duri. Nei tanti cambi di padrone – gli schiavi erano comprati e venduti, l’esperienza più dura fu con un Mr.Covey, che era povero, cui Douglass era stato affittato: “Un povero diavolo di affittuario, che noleggiava sia la terra sulla quale viveva sia le braccia con le quali la coltivava, ma si era fatto una grande nomea come «raddrizzatore» di schiavi”. Un sola schiava Mr. Covey si era potuto comprare, “perché figliasse”, e a questo fine la faceva accoppiare ogni sera a un altro schiavo noleggiato, sposato con figli” – dopodiché, dopo il parto, “nulla di quanto lui e sua moglie poterono fare per Caroline (la schiava, n.d.r.) risultava troppo buono o troppo costoso”. Mr. Covey sfruttò Douglass fino a tramutarlo, in sei mesi di affitto, in un bruto, una piccola macchina. 
Nato schiavo, figlio forse del padrone della madre, e passato da vari padroni, a dodici anni Douglass imparò a leggere e scrivere grazie alla moglie dell’ultimo padrone, e forse di più, racconta, guardando e imparando come i ragazzi bianchi imparavano. Sull’istruzione si giocava lo statuto della schiavitù:  i padroni perseguivano con la maggiore violenza ogni tentativo, personale, familiare, parrocchiale, di imparare a leggere, sia pure soltanto la Bibbia. La sola via d’uscita era la fuga, per quanto pericolosa, verso gli Stati dove la schiavitù non era la regola, e a Douglass questo riuscì al terzo tentativo, nel 1838, quando aveva vant’anni: riuscì a sbarcare a Filadelfia, e da qui a recarsi a New York e poi nel Massachusetts. Dove riuscì a integrarsi nel movimento abolizionista, della American Anti-Slavery Society.
La pubblicazione della “Narrativa” nel 1845 fece scandalo, non si pensava che uno schiavo fosse capace di scrivere. Fu anche un successo di vendite, con traduzioni in francese e olandese. Se non che il successo lo mise a rischio di tornare schiavo, se il suo ultimo padrone avesse chiesto in giudizio di riprendersi “la sua proprietà”. Si mise in salvo in Irlanda per un periodo, grazie ai contatti con gli ambienti irlandesi americani che lo avevano fromato culturalmente: era il Ferragosto del 1845, l’inizio della Grande Carestia. Ma in Irlanda e in Inghilterra ebbe occasione di scrivere e parlare, anche in conferenze, diventando un personaggio pubblico. Riprenderà un paio di volte la “Narrativa”, ampliandola. Ma soprattutto farà della sua condizione di ex schiavo un laboratorio politico.
Col testo originale a fronte.
Frederick Douglass, Narrazione della vita di Frederick Douglass, Marsilio, pp. 313 € 18




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