La traduzione è un’avventura, linguistica
Un
estratto della nota al testo che Jhumpa Lahiri pospone alla sua traduzione di “Confidenza”,
l’ultimo (ora penultimo, prima di “Vita mortale e immortale della bambina di Milano”)
romanzo di Starnone – il terzo Starnone che la scrittrice
indo-americana-italiana traduce. Una spassosa, ma molto interessante, divagazione
su “invece”, “anzi”, “amare” e “voler bene”. Con i riferimenti classici,
soprattutto al latino, per “invece”, a Ovidio e Catullo, e a Shakespeare, con i latini, per
amare - ma anche a Omero per la multiformità d’ingegno, che Odisseso presenta
come “polytropos”, di ingegno versatile, o meglio di molte pieghe e
trasformazioni.
Divagazioni
d’autore sulla traduzione. Che, poi, di fatto è un mestiere, ma può prestarsi a
utili viaggi. Questo è molto immaginativo, e insieme dotto, considerato. Con questa
perla, a proposito del non dire tutto, lasciare intendere, che sarebbe al
centro del romanzo di Starnone – arrischiata, Lahiri, che insegna a Princeton
oltre che scrivere, è diretta nelle sue “scoperte”, ma tutto sommato vera: “Possiamo
tracciare una costellazione da Dante a Manzoni a Hemingway a Starnone che fa
luce su come gli scrittori usano il linguaggio per parlare del silenzio e
l’importanza del discorso ritentivo”, del detto non detto.
Ma,
a proposito: “Il libro che mi ha insegnato che cosa era la traduzione” o non
“che cosa è la traduzione”?
Jhumpa
Lahiri, The book that taught me what
translation was, “The New Yorker”, free online
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