L’Europa comincia a pagare la transizione energetica
Il
caro energia è qui per restare, luce, benzina e gas, e anzi si accentuerà, via
via col passaggio accelerato alle fonti non fossili. Con effetti gravosi sul
caro-bolletta, e di più sulla competitività economica.
Le
aree come l’Italia e l’Europa, impegnate per un passaggio accelerato alle fonti
di energia rinnovabili, perderanno ulteriore terreno, nell’ambito della
globalizzazione, a favore delle produzioni asiatiche, che si sono riservate una
transizione molto più a lungo respiro – a un orizzonte di quaranta e anche
cinquant’anni, e non di dieci, come l’Europa.
Il
conto è semplice. La produzione di idrocarburi, petrolio e gas (la fonte
prevalente dei combustibili fossili, insieme col carbone) era stata incentivata
fino alla metà degli anni 2010 da
investimenti robusti, nell’ordine di 800-900 miliardi di dollari l’anno.
Effetto della domanda in crescita abnorme, specie in Asia, e di prezzi elevati. Quando
il mercato ha trovato un nuovo equilibrio tra domanda e offerta, gli
investimenti si sono più che dimezzati, a 300-400 miliardi di dollari l’anno.
La saturazione della domanda, con la compressione dei prezzi, e le politiche di
decarbonizzazione, con gli accordi di Parigi sul clima, hanno indirizzato gli
investimenti verso le fonti alternative. Che però sono di sviluppo lento.
Il
blocco dell’attività produttiva per quasi un anno e mezzo a causa del covid ha
ulteriormente compresso gli investimenti. La ripresa della domanda, sia
domestica che industriale, resta quindi parzialmenrte scoperta. E più lo sarà
nel futuro prossimo – gli anni della transizione accelerata alla neutralità
delle emissioni zero di anidride carbonica.
Si
può dire solo iniziato, con le nuove bollette, il salasso che il ministro della
Transizione Ecologica Cingolani ha spiegato, in conseguenza del piano europeo
di arrivare alle emissioni zero nel 2030.
Ne
resteranno esclusi i grandi paesi industriali asiatici, Cina e India sopra
tutti, che si sono riservati di ampliare il ricorso al carbone di cui
abbondano. E in questo modo anche – non dichiaratamente – l’Australia e il Nord
America, il Canada e gli stessi Stati Uniti. E la Germania, in parte. I paesi
del carbone, l’inquinatore per eccellenza.
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