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Mistero e felicità a teatro
Mistero
e commedia dell’arte, come recita il sottotitolo. Mistero laico, dell’attore,
uno, nessuno e centomila. E dell’arte teatrale, che s’inscena alla morte, o meglio
prolungata agonia, del capocomico. L’Attore nn muore, non può morire, e De
Simone lo fa rivivere in molti ruoli, anche sdoppiandosi – riesce a essere insieme
Otello e Desdemona.
Una
scorribanda, promette De Simone in avvertenza, “tra il tirso del riso atellano e il coturno letterario di Pirandello, il conflitto
tra Prospero e la magia di Medea, tra il Commendatore e Don Giovanni”, con “gli
insopprimibili servi padroni”. Ma il testo fila liscio, dopo questi fieri
propositi. Evocando personaggi e memorie di testi, ma soprattuto inventando,
grazie alla lingua. Che suona tutte le corde, alte, basse, madrigalesche, in
castigliano anche, o con l’inglese di Keats, scurrilità, ferocia (verbale):
un’inventiva lessicale trascinante. In napoletano naturalmente, ma anche in inglese
(finto) d’accatto, in bolognese (il Dottore), in fiorentino (il Pittore). E in napoletano
con dialoghi, invettive e elenchi, specie tra le donne “corifee” che faranno
testo, oltre a concludere la commedia.
Il
miracolo della “Gatta Cenerentola” di Spoleto 1977 si ripete: inventiva,
forza, musicalità. Ma non con la stessa forza, restando confinato al testo. De
Simone si è voluto fare un regalo per i suoi 86 anni due anni fa, e si può
dire, come il testo vuole, che è morto il capocomico. Non si fa più teatro, se
non al modo dei podcast, monologhi e primi piani, e comunque nessuno ci ha finora
provato al posto di De Simone. Che pure provvede questa sua summa di felicità
delle musiche.
Roberto
De Simone, L’oca d’oro, Einaudi, pp.
137 € 12,50
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