Napoli, in attesa della Pasqua di Resurrezione
Il
Giovedì Santo è di Napoli, in attesa di una domenica di Resurrezione. Non un
vero intreccio si svolge, ma la riproposizione di ritmi, miti, storie, tradizioni,
illusioni: una sorta di identikit della città, illusoria sullo sfondo,
sorniona. Un magazzino di robivecchi, vivificato da una lingua ora furbesca,
ora colta, anche barocca, e popolare, anche molto – un po’ come ora ci ha (non)
abituato la serie “Gomorra”, per suoni più che per parole distinte. Anche i
personaggi sono misti – come era un tempo l’uso a teatro: sono un po’ questo e un
po’ quello, si travestono, cambiano identità, trasformisti e ambigui. Come
Napoli, che attende la sua Pasqua – ma tra il giovedì dei Sepolcri e la domenica
di Resurrezione non c’è la Passione?
Non
c’è trama, non c’è una storia. Sono lacerti storici, mitici, rituali, e linguistici.
Sui toni, più che drammatici, dell’elegia, dolenti. Sullo sfondo della
tradizione, sempre comunque spessa e viva, a fronte della piattezza
contemporanea, della vita senza memoria.
Un
teatro che si vuole in musica, un melodramma. Anche se non risulta ancora mai
rappresentata – musiche di De Simone? Doppio insomma l’omaggio a Napoli, città “dai
quattro conservatori di Muisca, per la frequente committenza di composizioni
musicali per la camera, per il teatro e per la chiesa” – “La città”, spiega De
Simone nell’introduzione, “fin dalla seconda metà del Cinquecento, era
contrassegnata da un altissimo tasso di consumo musicale, determinato dalla
politica dei viceré spagnoli, che con manifestazioni musicali e teatrali
stabilivano un rapporto rappresentativo tra il Potere e le varie classi sociali”.
Roberto
De Simone, L’opera buffa del Giovedì Santo, Einaudi, pp. XIII-107 € 9,30
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