Pavese tragico e trasparente
“Ginia
attraversa la sua prima estate di ragazza nel piacere e i guai senza misurare
la portata dei suoi desideri, delle sue frequentazioni”. “L’ammirabile di Pavese
è in questa sospensione del senso e
in questa reclusione in un presente senza scampo”. Pavese è scrittore tragico,
di scrittura essenziale.
In
“Se perdre”, il racconto di un amore folle per uno sconosciuto russo, la
narratrice s’immagina “quella festa in cui io non ci sarò. O Pavese…”. Pavese
ritorna spesso in Annie Ernaux, pur non avendo un posto speciale oltralpe. Per
la sua scrittura di “assoluta necessità”. Partendo dall’incipit famoso della
“Bella estate”: “A quei tempi era sempre festa”. Che Ernaux vuole antifrastico:
la festa non ha luogo, oppure finisce male. Come del resto nel racconto di
Pavese. Il saggio inizia annotando, dopo apposita ricerca, che il 27 agosto
1950, quando Pavese decide di morire, è “giorno di festa”, una domenica.
Due
i nodi pavesiani che Ernaux enuclea. “La festa è la forma del tragico di
Pavese, forma dichiarata d’anticipo”. Un tragico che “sembra nascere dal
funzionamento naturale della vita”. E la “scrittura trasparente, intesa, come
Pavese dice, a «presentare senza descrivere»”, una scrittura che “mostra senza
analizzare né giudicare”. Sospensione del senso e presente-prigione sono forse
artifici tecnici, “ma si può bene impiegare questo termine, che è una impossibilità
di raggiungere mai l’Altro (vedi il Diario:
«La donna è un popolo nemico come il popolo tedesco»)”.
Questo
è un breve saggio che la scrittrice ha ripreso, unico o quasi fra i tanti suoi
scritti d’occasione, in “Écrire la vie” nella collezione Quarto Gallimard – le
opere scelte di un autore. Ernaux apprezza Pavese - al contrario di Asor Rosa, che vuole Pavese scrittore manierista e datato.
Annie
Ernaux, Cesare Pavese, “Roman”, IV
trim. 1986
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