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Amore materno - Non è istinto naturale, ha spiegato
Elisabeth Badinter, “L’amore in più”, e anche come sentimento lo ha rilevato
non diffuso, forse anche raro. È stato inventato da Rousseau, spiegava ancora,
e fu adottato largamente a metà Settecento per frenare l’emorragia demografica,
la mortalità infantile. Mentre è vero che la natura di Rousseau una volta tanto
funziona: nelle specie animali i calori sessuali vanno con la riproduzione, e non
c’è specie in cui le femmina non si occupa dei figli, o casi di figli abbandonati
dalle madri (col capriolo e altre specie si arriva all’assurdo che il neonato
casualmente separato dalla madre dovrà vivere poi sempre accudito e isolato,
altrimenti indifeso dai predatori .....).
La maternità è anche
apprezzata in tutti i periodi e i luoghi storici. Eccetto l’epoca attuale, in
cui il complesso genitoriale si trasferisce di preferenza su un pet, per lo più canino, rispetto a un
figlio, anche se richiede più cure e più costi.
Per gli umani si può
ipotizzare una evoluzione inversa, dalla funzione naturale alla scelta deliberata.
Complotto – Si
può dire una falsa scienza – falsa in quanto fondata sul segreto, sull’indimostrabile.
O una sindrome: piace dirsi in mano a forze segrete. Per
negare la politica, che è la democrazia.
La
logica del complotto è imbattibile, poiché incita alla difesa, che sempre è
nobile. E poi la leggenda non mente.
Emerge come un dato di cultura politica
americana, in una società divisa nella storia recente, un momento storico che vede
un reppraisal del modo di esse e
della storia degli Stai Uniti. Ma fu in auge mezzo secolo fa in Italia, e per
un lungo periodo. Dopo il Sessantotto, a partire dall’Autunno Caldo del 1969 e
degli attentati di piazza Fontana a Milano, e di Roma all’Altare della Patria -
un attentato sottovalutato ma contemporaneo di piazza Fontana, una
contemporaneità non casuale. L’Italia visse successivamente un lungo periodo di
attentati e colpi di Stato, veri o presunti,
di terrorismo, di destra e di sinistra, fino alla stazione di Bologna e
ancora oltre, una dozzina d’anni. Non c’era si può dire settimana che un
progetto eversivo non venisse denunciato, solitamente attraverso i settimanali che
allora facevano opinione, “l’Espresso” e “Panorama”. Partendo dall’editore
Feltrinelli, da un opuscolo che le sue librerie
vendevano, “Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia”, a maggio o
giugno del 1970.
Il
golpe Feltrinelli voleva ad agosto: “L’estate sembra particolarmente adatta”.
Ma di più ad agosto: “Gli operai sono in ferie, le fabbriche semichiuse, uomini
politici, giornalisti, ecc. sono pure loro al mare o in montagna, grava sul
paese dalla metà di luglio un clima di «stanchezza» e di disinteresse generale:
sono le condizioni ideali per portare a compimento un colpo di Stato”. Anche
Cromwell fece il golpe ad agosto. Ma ad agosto a Londra piove.
Qualche
ano dopo i complotti si erano moltiplicati, rincorrendosi su “L’Espresso” e “Panorama”.
Prima a settimane alterne, poi in contemporanea. L’ingegner Francia vuole
avvelenare l’acqua. Delle Chiaie rapire ventitré notabili. Il principe Borghese
prendere Roma coi forestali di Gualdo Tadino. Gheddafi bombardare gli
aeroporti. La massoneria voleva rapire il presidente Saragat. Un golpe
preparano i militari. Un altro i capi della Resistenza Sogno e Pacciardi. E un
Fumagalli Carlo, eponimo lombardo. Carlo Cassola invece organizzava un gruppo
anti-complotto – lui era pacifista e complottava contro le Forze Armate. I
golpe contati tra gennaio e Pasqua 1974 furono venti o ventuno. Candelotti di
dinamite si scoprivano per tempo in posti impervi delle ferrovie, in galleria,
sotto i ponti, altri deflagrano talvolta senza vittime.
Borghese era il Principe Nero,
personaggio di Conan Doyle venuto utile in Libia prima che in Italia, nonché
figlio di Edoardo III, il re d’Inghilterra che si disse re di Francia, e per
lui scatenò la guerra dei Cent’Anni, vincendo a Poitiers. I reduci del Principe
si erano persi per strada. Il commando
che doveva rapire il capo della polizia Vicari aveav prima sbagliato numero
civico, poi era rimasto bloccato in ascensore tutta la notte, avendolo
sovraccaricato.
Non si può ridere del complotto, i
bolscevichi presero il Palazzo di Inverno entrando alla spicciolata da una
porta secondaria rimasta aperta. Ma impossibile non pensare queste denunce, con
i relativi piani, forniti da una “mano segreta”, un’organizzazione, per quanto
controvertibile. E dunque il complotto ha logica esponenziale: c’è sempre un
complotto del complotto.
Ma, poi, la sindrome è antica e
ricorrente. Per Rousseau, Voltaire e Diderot erano corrotti complottatori.
Epoca
–
Si può dire suicidaria. Della buona morte e della morte del mondo, dopo quella
della natura e degli altri. Della letteratura dell’io – diari, confessioni,
memoriali, blog. Inevitabilmente misantropica, di rifiuto del mondo. Nel mentre
che ne vive (esplora, consuma) tutti i recessi, i più alti e i più bassi, di
ogni angolo e di ogni persona. E, per contrasto, vive nel migliore storicamente
possibile di benessere (istruzione, comunicazione, reddito, sanità, abitazione,
tempo libero). E afferma e impone i diritti, in ogni loro singola frazione. Non
è un cupio dissolvi, o allora non
ragionato.
Si può ipotizzare il
complottismo come una reazione a questa ideologia suicidaria. Che sospetta e
denuncia come artefatta, gestita da interessi subdoli per sfruttare i più,
anche se per motivi reconditi, non vedendosene il vantaggio, e restringere le
libertà. Anche a opera dello Stato, che non si ha remora ad acculare agli
interessi reconditi, subdoli.
Felicità – È personale, precaria,
comunitaria (famiglia, scuola, ambiente), e intermittente. Niente di più occasionale
– o “complesso” per dirla col Nobel Parisi.
Le statistiche
danno per paese più felice al mondo la Finlandia. Perché no, anche se ha
l’indice di suicidi – scontenti della vita – fra i più alti in Europa, dopo i
baltici e gli slavi.
Libertà – Alcuni filosofi hanno preso
posizione contro gli obblighi imposti contro la pandemia da covid e le misure
restrittive che ad essa si collegano, nella fruizione del tempo e nella
socievolezza, anche quella obbligata (lavoro, svago, affetti). Li criticano come
un’estensione indebita, se non artefatta, dei poteri dello Stato sull’individuo
e la società.
La critica si è
portati a colorare (ridurre) politicamente: venendo da pensatori che professano
o hanno professato posizioni politiche di sinistra, Agamben Cacciari, Vattimo,
si vede in essi riduttivamente un’espressone tardiva di antindustrialismo (lo
Stato servo del Big Pharma, eccetera). Riduttivamente, perché la polemica
contro lo Stato è tipica topica, malgrado il bisticcio di parole, liberale. Ma
è anche vero che le critiche e riserve sono state piuttosto enunciate che spiegate,
e quindi è difficile collocarle – Agamben, che ne aveva scritto, ha sentito
subito il bisogno di riscriverle.
Si va verso la quarta ondata, con grave
sacrificio di tutti, perché i no vax vogliono propagare il virus, con le
manifestazioni di piazza, per lo più “selvagge”. Se è una battaglia di libertà,
perché non vaccinarsi e stare tranquilli? È libertà fare da untori? No, è un
“battaglia” politica. Con danni per tutti, no vax compresi, enormi (sanità,
lavoro, reddito).
L’opinione pubblica è debole e
manipolabile. Anche da pochi, incapaci. Ci vogliono leggi. Costituzionali ma
obbligatorie.
“La quarta ondata in Europa e in Usa:
nessun altro continente così colpito”. Nelle patrie della libertà? Insensato,
ma non inspiegabile: la libertà è concetto scivoloso, anche se l’Occidente
(Europa e Usa sono l’Occidente) ne vanta il brevetto. Libertà non è
individualismo.
Politica
–
È forma. Il presidente Mattarella, accompagnato dalla figlia, va in visita a
Madrid. La foto ufficiale lo mostra insieme con il re e la regina di Spagna. I
reali seduti compostamente, come di rito, per rispetto agli ospiti. Mattarella
e la figlia con le gambe accavallate. O della politica inutile – la politica è
istituzione e rispetto delle forme.
Stato - Burckhardt
diceva: “Lo Stato moderno ha un padre e una madre. La madre è la rivoluzione,
il padre è il cesarismo”. Tutto si legherebbe secondo la “legge ferrea
dell’oligarchia” michelsiana: “Nei popoli e le rivoluzioni l’aristocrazia è
durevole: eliminatela nella nobiltà, rispunterà nelle casate ricche del Terzo
Stato; eliminatela anche qui, riemerge nelle aristocrazie operaie”.
L’aristocrazia della legge sarebbe meglio, seppure imperiale. Meglio di quella
dei furbi. Gramsci ne ha avuto l’illuminazione. Quando legò la democrazia
all’impero, nella nota «Egemonia e democrazia» del “Quaderno 8”, quando è l’impero a introdurre i
primi diritti, con la legge.
Storia – “Ogni storiografia è
autobiografia”, voleva Ernesto De Martino. Dunque niente passato? E niente
etnografia, il mestiere di De Martino.
“Fa bene la storia ad affidarsi al caso”, dice Carlo Ginzburg intervistato lungamente su “La Lettura”, sulla sua ultima raccolta di saggi, “La lettera uccide”. Fa bene allo storico? Ai fini della scoperta? Ma poi va provata. O fa bene alla narrazione, ariosa. Ma con che verità? La storia, quale che sia, è una combinazione non casuale. Non solo per la metodologia - i precedenti, le “cause”, i contesti. Anche in quanto ricostruzione, e poi “narrazione”. Oppure lo è?
C’è determinazione nella storia. Anche nell’errore (sconfitta): la storia, quella vissuta e quella narrata, non procede a occhi chiusi ma per trials and errors – come la ricerca. La storia, nel suo farsi come nel suo racconto, è ricerca.
zeulig@antiit.eu
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