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lunedì 6 dicembre 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto 476)

Giuseppe Leuzzi

Fu Scelba, un presidente del consiglio che più siciliano non si può, a impegnarsi con  determinazione e ottenere il ritorno di Trieste in Italia. Questo è anche il maggior merito che Scelba si faceva nel 1990, un anno prima della morte, nel libro di memorie “Per l’Italia e per l’Europa”, “il mantenimento dei confini orientali contro la prepotenza di Tito”.
 
“Il successo per Andrea Camilleri è arrivato prima al Nord”, spiegano le figlie  a Lucio Luca sul “Robinson”, malgrado la difficoltà del suo “siciliano”: “Al Sud è stato scoperto solo più tardi”. Perché al Nord si legge di più? Ma anche perché il Sud è quello del Nord.
 
I Borboni erano di due specie
I Borboni – se n’è fatto un’idea precisa Álvaro Mutis, “Amirbar”, 119-120 – erano di due specie: lasciavano governare o governavano. Gli eredi del figlio minore di Luigi il Santo manifestano “una curiosa particolarità del carattere”: esercitare direttamente il potere, per il gusto dell’intrigo, con scarso rispetto della realtà. Grazie “alla abilità di maneggiare le debolezze e le ambizioni dei sudditi e di sapersi sempre mantenere al margine , o meglio al di sopra, degli accidenti immediati che scatenavano gli intrighi dei loro accoliti”.
Alcuni Mutis li vuole bravi a questo gioco: Enrico IV, Luigi XIV, Luigi XV, Luigi XVIII. Altri no: Luigi XVII e Carlo X. O in Spagna Carlo IV e Ferdinando VII.
I Borboni sono tutti qui.
 
Se Mani Pulite non è mafia
Non c’è mafia se non esibita.
L’esibizionismo è stato il marchio di Mani Pulite, la Procura milanese di Borrelli e Di Pietro, non il contrasto del delitto, l’esibizione del potere: era una banda mafiosa?
Troppe le tecniche mafiose che ha usato: il discredito (le “voci” perfezionando in “indiscrezioni”, di fonte cioè certa), pe isolare l’obiettivo, le false voci, la selettività (Gardini e non Prodi, Berlusconi e non De Benedetti, alcuni Dc e non altri, i socialisti e non i comunisti, liberali e repubblicani in massa, anche se pochi, nessun fascista, neanche per caso), il palese trattamento di favore per gli amici, giornali, politici, giurisperiti (esibire il potere), la rudezza, la violenza illimitata. E l’esibizionismo, appunto.
Mafiosa, purtroppo, anche l’impunità. C’era un primario giudice di Mani Pulite che pretendeva dalle banche alloggi di favore gratis per i congiunti. E prestiti di cento milioni di lire da un indagato, cui li avrebbe restituiti, a suo dire, in contanti, in una scatola da scarpe.
Sciascia aveva ragione anche sul “professionismo dell’antimafia”, il famoso articolo pubblicato il 10 gennaio 1987 sul “Corriere della sera”. Sbagliava nell’obiettivo singolo, individuando in Paolo Borsellino uno che aveva avuto uno scatto in carriera, a detrimento di altro giudice, per il fatto di occuparsi di mafia. Ma aveva ragione nel fatto, della mafia usata come terreno carrieristico. Con metodi, va aggiunto, mafiosi: il sospetto, la denuncia anonima benché autorevole (l’indiscrezione, la fuga di notizie, l’anticipazione). C’è curiosamente in ogni azione giudiziaria antimafia, per esempio nella Commissione parlamentare, specialmente la prima, spesso un sostrato mafioso. La giustizia è tutto l’opposto: è costituzione, leggi, apparati repressivi con l’imprint del bene. Giudici e commissari invece, senza saperlo?, più spesso copiano i metodi mafiosi, della violenza sfrontata. Accusando cioè, e spesso anche condannando, per il proprio interesse, senza colpa delle loro vittime. I lavori della prima Antimafia parlamentare, che il giornalista “Straccio”, Paolo Liguori, pubblicò sul “Giornale” di Montanelli, sono cattivissimi su Michele Pantaleone, il socialista di Villalba, sociologo e parlamentare, che documentò la mafia degli anni 1960  (“Mafia e politica”, 1962,  “Mafia e droga” 1966, “) i primi intrecci della Repubblica tra mafia e politica, rivangando  tutte le voci che lo davano intrigante in paese, borsanerista in guerra, incettatore di grano nel dopoguerra, adultero eccetera.
Già nel 1969 Pantaleone poteva pubblicare, sempre da Einaudi, “Antimafia: un’occasione mancata”. Ma le voci di cui si nutriva la prima Commissione erano le Note di servizio dei Carabinieri di Villalba, notorio centro di mafia, controllato fin dal primo dopoguerra da Calogero Vizzini – le Note di servizio raccolgono le voci degli informatori, che a giudizio del maresciallo comandante la stazione, o brigadiere, hanno qualche fondamento. Oppure sono utili allo “Stato” - al ministro, al potere.
 
Orgosolese, quindi delinquente
Chiudendo il saggio di Franco Cagnetta, “Inchiesta su Orgosolo”, pubblicato sulla rivista “Nuovi Argomenti” nel 1954 , a fine ottobre dello stesso anno Ranuccio Bianchi Bandinelli annota nel suo “Diario di un borghese”: “Finita la lettura ci resta in mente il ritornello: «Orgosolese, e quindi delinquente» che si ripete attraverso tutte le testimonianze raccolte, in bocca ai rappresentanti dell’autorità statale”. Il che portava Bianchi Bandinelli “a una riflessione e constatazione assai grave: che l’attuale governo sta applicando a poco a poco a tutta l’Italia la stessa mentalità rozzamente colonialistica con la quale aggrava il fenomeno del cosiddetto «banditismo» orgosolese”.
L’“attuale governo” era quello di Mario Scelba, il superministro siciliano ingrato alle sinistre politiche, a lungo all’Interno, con la nomea di ministro, o politico, di Polizia. Ma forse Scelba non c’entra, niente essendo cambiato settant’anni dopo, tra “i rappresentanti dell’autorità statale”.
Il saggio originario di Cagnetta, che nel 1975 sarà ampliato in una narrazione, “Banditi a Orgosolo”,  ancora recentemente, nella prefazione 2002 a “Banditi a Orgosolo”, era giudicato di grande valore dall’antropologo Luigi Lombardi Satriani: “L’inchiesta su Orgosolo ha acquisito da tempo il valore di classico, sia per i risultati da essa conseguiti, che per il valore dirompente che ebbe per gli studi antropologici italiani”. Per gli studi evidentemente, ma non per lo Stato e i suoi alfieri.
A Cagnetta Bianchi Bandinelli aggiunge un codicillo: “Alla documentazione storica raccolta dal Cagnetta, si possono aggiungere le lettere di papa Gregorio, contenute nel volume 77 della Patrologia del Migne; in una di queste si rimprovera aspramente il vescovo di Cagliari per il fatto che gli abitanti della Barbagia siano ancora idolatri, adoratori di pietre: e si indica come mezzo di conversione la prigione ai poveri e l’aumento dei balzelli per i benestanti”.
Papa Gregorio, cioè Gregorio Magno, siamo a fine VIImo secolo. Ma le cose non sono mutate – “l’inchiesta di Cagnetta”, poteva concludere Bianchi Bandinelli, dimostra quanto poca presa abbia fatto sui barbaricini una religione imposta con quei metodi di polizia”. O una legge.
 
Sicilia
Per candidare il loro sindaco a Palermo, si riuniscono i partiti del centro destra, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega e altri minori, una ventina di persone in circolo, e sono tutti uomini. Facce assorte, senza lampo, di burocrati. Di una certa età – una fotografia su “la Repubblica” li immortala. Si vuole l’isola fantasiosa, ma evidentemente no.
 
L’isola ha un ruolo trascurato negli eventi del 1943-45, anche dagli scrittori siciliani, anche di eventi drammatici. Uno è raccontato da Miriam Mafai, “Una vita, quasi due”, in quegli anni giovanissima impiegata ministeriale in conto Pci: le rivolte dei “non si parte”, di madri, mogli, famiglie intere contro la leva militare, per continuare la guerra con gli Alleati contro i tedeschi. Con ventisette morti e qualche centinaio di feriti a Palermo, l’assalto e la devastazione del Municipio a Catania, la proclamazione della Repubblica a Comiso e a Piana degli Albanesi.
 
Miriam ricorda Giuseppina Vittone, 21 anni, di Torino, attiva nella Resistenza, mandata a Palermo per le elezioni del 1948: “Mi mandarono subito a fare un comizio a Bisacquino, uno dei grossi centri contadini della provincia. Fu un incontro che ancora oggi ricordo con orrore: non capivo nulla di quello che dicevano quei compagni… Ricordo ancora questa piazza di Bisacquino, che le donne non traversavano mai: la piazza principale frequentata solo dagli uomini. Anche la spesa la facevano gli uomini, ai quali forse avrò parlato della Resistenza, della guerra di liberazione. Ma il comizio venne interrotto dal prete che fece suonare le campane”. L’incontro tra Piemonte e Sicilia deve sempre finire in disastro?
 
La Sicilia rimase staccata da Roma dopo lo sbarco Alleato: non se ne sapeva nulla, fino ancora nel 1945. A lungo, ricorda ancora Mafai nelle tarde memorie, della Sicilia al governo di Roma non si seppe nulla o quasi.
 
Prendiamo “la Repubblica-Palermo” di martedì 9 novembre, un giorno qualsiasi. “No Vax e contagi tra i piccoli, la Sicilia teme la quarta ondata”. “L’alta velocità resta ancora un miraggio”. “Nuovi nubifragi, la Palermo-Agrigento diventa un fiume”. “Mediterraneo, l’emergenza continua”.  Prima pagina. Seconda. “Covid, boom di casi tra i più piccoli. Colpiti da 6 a 10 anni”.  “Nella provincia di Siracusa il vaccino fa più paura del virus”. Terza pagina: “Maltempo, disastro in mezza Sicilia, oggi allerta fino a mezzanotte”. “Navi in attesa, hotspot strapieni, torna l’emergenza migranti”. Sesta: “Traffico, tanto smog e pochi alberi, la Sicilia non è una Regione verde”. Senza fiato, senza speranza.
 
“La Sicilia deserta”,  titola il giorno dopo lo stesso giornale, coscienza dell’isola illuminata: “23 mila emigrati negli ultimi due anni”. Su una popolazione di sei milioni sono molti o pochi? Sono, è vero, persone per lo più qualificate, studenti universitari o laureati, che studiano o lavorano fuori dall’isola. Ma questo è un male o un bene, la Sicilia che esporta persone intelligenti e qualificate? Comunque richieste?
 
A  commento della “fuga”, triste parola, Gianni Riotta esuma il detto: “Cu nesci, arrinesci”. Che vuole dire: “Chi s’impone, riesce”. Ma si può leggere in chiave geografica: chi esce dall’isola riesce, ha successo. Ma non sempre, perché? Alcune volte sì, altre no. L’isola si vuole pessimista?
Ma forse neanche questo è vero. L’isola gioca con le parole, cioè con se stessa – anche le isole  sono fatte di parole.

leuzzi@antiit.eu

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