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Brutta storia, essere donna e madre qualche anno fa
“Fino
all’adolescenza trovo normale che mio padre sia in cucina e mia madre ai
conti”. Un padre e una madre che ricorda con ammirazione, oltre che affetto –
“di Edipo me ne sbatto”: lui cucina, cura i fiori e la racconta le fiabe, lei
bada agli affari, la drogheria con annesso caffè, un perpetuo conteggio di
crediti e debiti, in un paese normano, presso Rouen. Una madre da cui però ha
saputo che “è bene avere immaginazione”. E che “il mondo è fatto perché ci si
butti dentro e se ne goda”.
Un’infanzia
felice, di figlia “voluta”, con zie improbabili – una galleria di eccezione
apre il racconto. La scuola dell’obbligo, dove Annie scopre il “dover essere”,
i ruoli, le differenze. Poi il liceo in città, e l’università. Dove scopre le
differenze sociali, e si scopre, perspicace, ora si sa, ma allora insolente, altra
da quello che viene narrando. Scontenta già del suo stato e dei ruoli cui è
confinata, dalle compagne di studi e, di più, dagli uomini, giovani studenti o
laureati. Ma passiva, comunque inattiva. Anche nel matrimonio, cui giunge come
tanti ai suoi anni, 1960-70, “per amore”, salvo ritrovarsi tra mille difficoltà
pratiche, acuite dalla presunzione di un ruolo femminile da parte del marito. E
poi, ancora di più, in quanto madre. Di uno. E poi di due figli.
“Detesto
Annecy”, l’incolpevole città è la testimone di questa vicenda amara: il
matrimonio, la domesticità, la maternità, la frustrazione, l’incomprensione, la
separazione. Inevitabile il seguito, il cambio di rotta: l’insegnante moglie e
madre diventerà la saggista femminista, anche su “Le Monde”, e la narratrice de
“Gli anni”, memorialista del secolo. Di
quando, “sembra un secolo”, si leggevano a grande diffusione “Intimità”, “Bolero”,
“Confidenze”, e i fotoromanzi. E la scuola diventa mista all’università.
Uno
storione personale, a mezza età – uno dei primi, Ernaux ne farà il suo genere personale.
Partendo dalla constatazione “tutte le donne hanno il cervello romanzesco, è
provato”. Della scrittrice da giovane, prima esilarato, “sono andata verso i ragazzi come si parte in
viaggio”, poi dolente, poi querulo,
da femminista anni 1970. Scritto bene, veloce, di vocabolario smisurato – grande
prova dev’essere stato per il suo traduttore di sempre, Lorenzo Flabbi. Ma
scontato, non poco. Sontuoso dapprima, con le zie e i genitori, non
convenzionali. Poi via via di maniera, nel ruolo della critica sociale dello
stesso passato. Un racconto noto, da Aleramo, “Una donna”, 1906 (il titolo di Aleramo curiosamente Ernaux darà nel 1987 allo storione della madre appena morta, ma non in chiave rivendicativa - in contemporanea dedicava un saggio a Pavese, autore che ritorna spesso nei suoi scritti, alla lettura di La bella estate, titolo che vuole antifrastico, la domenica della vita della giovane protagonista essendo segnato dal suo essere donna).
Annie
Ernaux, La donna gelata, L’Orma, pp.
192 € 17
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