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Come (non) essere Flaubert
Il
racconto, distrattamente repertoriato sul sito come “Mr Flaubert, c’est moi”, è
invece al contrario. Barnes, sempre riconoscente a Flaubert per essere arrivato
al mainstream con lui, col romanzo “Il pappagallo di Flaubert”, fa il
giro attorno al monumento, come un bambino sempre curioso, ma anche mordace. Sorride
dell’idolo, e anche degli idolatri, come lui stesso.
Sorride
dell’assoluta mancanza di erotismo, di uno che scrisse anche una “Educazione
sentimentale”, oltre che di Adulteri, e “scopava (nei bordelli) come un
gendarme”, a detta del suo intimo amico Louis Bouilhet, il poeta. Della scarsa
memoria, malgrado la puntigliosa accuratezza verbale. Perfino di cosa aveva
scritto in “Madame Bovry”, che lo aveva trascinato in tribunale. A Hyppolite
Taine, che glia chiedeva un contributo per il suo studio “De l’Intelligence”,
spiegò che le immagini e i personaggi erano veri per lui come delle realtà
oggettive, a volte più complesse di quella che scriveva: “Ci sono molti particolari
che non trascrivo”, spiega a Taine: “Il signor Homais, come lo vedo io, è leggermente
butterato dal vaiolo”. Ma questo è quello che ha scritto in “Madame Bovary”,
Homais è proprio “leggermente butterato”. Anche se è vero che a volte ometteva
dei particolari. Barnes fa il caso del rapporto di Emma con Rodolphe: “Negli appunti
di Flaubert per il romanzo in un’occasione la fa tornare a casa passando dai
campi, «le foutre dans les cheveux», lo sperma nei capelli. È un dettaglio che
ai lettori del libro viene risparmiato”. Ma non cambia la figura di Emma?
“Una
singola parola cambia tutto”, Barnes d’altronde concorda con Flaubert. Il
processo per “Bovary” gli fu fatto nel 1857 per una parola, “le piattezze del
matrimonio”, come contrapposte, argomentava il pubblico ministero, alle gioie
dell’adulterio. Flaubert rimediò suo a del, in “le piattezze del suo
matrimonio” – per una quindicina d’anni, nel 1873 ripristinò il generico del.
Un’altra
parola decisiva. Flaubert è famoso tra i letterati anche per una massima o
consiglio di scrittura – Styron e poi Philip Roth se l’appesero sopra la
scrivania: “Sii ordinato e regolare nella tua vita, come un borghese, così
potrai essere sfrenato e originale nel tuo lavoro”. Ma Flauber lo scrittore
voleva “ordinaire”, ordinario e non ordinato. Un piccolo borghese, imperspicuo.
Fra
gli idolatri ce n’è per tutti. “Sartre, quando scrisse ‘L’idiota della
famiglia’”, la sua trilogia su Flaubert, “la sua analisi-più
-tentato-omicidio
teoretico-psicoanalitico-politica”, tremila e più pagine, “non citò quasi mai
direttamente da Flaubert”. Per evitare di “scrivere bene”. Ce n’è naturalmente
per lo stesso devotissimo Barnes. E per le “mamme degli scrittori (scrittori
maschi, beninteso)”. La sua e quella di Simenon – anche se purtroppo il salto
di una parola, o di una riga, non consente di apprezzare per intero
l’aneddotica.
C’è
l’amicizia con Turgenev, “La sua anima gemella letteraria”. C’è il mancato,
dopo ponderazione sempre attenta e partecipata, engagement politico, da “arrabbiato”
ma “liberale”. “Ritengo Flaubert e Goncourt responsabili della repressione seguita
alla Comune, perché non scrissero neppure una riga per impedirla”, Barnes dice “una
delle affermazioni più monumentalmente fatue di Sartre”, nel 1948, prima dell’“Idiota”.
C’è
la vecchiaia incombente, già in gioventù. Al banchetto che gli amici gli
organizzarono nel 1850, già autore di grande successo, nel giorno del suo
prediletto san Policarpo “(un vescovo di Smirne del II s ecolo famnoso per il
suo lamentoso motto: «Oh Signore, in che mondo mi hai fatto nascere»)”, si
scopre “un monumento”, anzi “in via di liquefazione come un vecchio Camembert”. “Morì di vecchiaia ad appena cinquantotto anni”, può concludere Barnes.
Prima
della fine c’è la questione della stupidità. Col progetto trentennale di
“Bouvard e Pécuchet”. Ma questo è un capitolo ancora da scrivere.
Julian
Barnes, Gustave, l’educatore sentimentale, “Robinson” € 0,50
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