Gli africani sono troppo buoni per non essere mangiati
“Nero\Bianco”, n. 0.
Condorcet, il rivoluzionario, sostenne che, se gli africani sono
cattivi, la colpa è degli europei, che hanno insegnato loro a bere l’alcol. Ma
non c’era il buon selvaggio, e non c’è il povero buono. La decolonizzazione è
l’ultimo regalo avvelenato dell’imperialismo, nelle forme della solidarietà. I
popoli al Sud potranno a lungo nascondersi sotto le colpe dell’Europa.
Uccidersi, distruggersi senza rimorsi. Fino ad aver consumato i doni che
l’Europa ha lasciato,
le scale connesse, gli intonaci, l’acqua potabile.
Non discendiamo dalla scimmia, dice Gobineau, ma lo vorremmo. L’Egitto
andrà pure consegnato agli africani, ma quando? I tempi sono importanti. Se
l’Africa disponesse oggi dell’antica civiltà egizia non ne sapremmo nulla.
Soprattutto infatti scompaiono i bambini, anche se le statistiche non ne rilevano un
numero sufficiente a far decrescere la popolazione, non mancando in Africa
chi ne fa. E un progetto, benché perverso, d’igiene mentale emerge,
risuscitando l’antica questione discussa a Valladolid se i neri hanno l’anima.
Ora che i bianchi, s’intende, non ce l’hanno più.
Il povero Dio, se c’è, arranca, per Auschwitz e la stupidità: non
si sa più chi combattere. L’imperialismo è ora di massa. È la nazionale di
calcio, un collante sociale, per un volgare “mettiamoglielo in quel posto” con
la sua supposta negazione, l’antimperialismo. La decolonizzazione è la
continuazione dell’imperialismo con altri mezzi, i furbi, i lenoni, i ladri con
socio locale, il Potere Elusivo, inclusa la bontà. Mentre le vie della rivoluzione
restano impervie. Solo la rivoluzione culturale che la Cina ha ripudiato si fa
strada in Africa, col machete: gli
africani fanno pulizia di se stessi. Al suo ritmo presto si parlerà dei neri in
Africa come di razza favolosa.
Negli anni Cinquanta Albert Bruce Sabin e Hilary Koprowski ricercavano
insieme un vaccino antipolio. Poi litigarono. Sabin, immigrato povero dalla
Bielorussia, provincia dell’impero sovietico, si rifiutò per ragioni morali di
brevettare l’antidoto. Si trattava di soppiantare il vaccino Salk, brevettato
dall’industria farmaceutica, dagli effetti limitati. Sabin ci mise alcuni anni
a sperimentare il suo vaccino con le autorizzazioni dei governi del Messico e
dell’Urss. Koprowski ne poté invece fare sperimentazione estensiva tra le
popolazioni del Congo Belga nel 1957, senza il permesso e il controllo di
nessuno, col sostegno del governo americano. Non avendo cavie a sufficienza,
Koprowski contaminò il suo vaccino con ceppi sanguigni di scimmie locali, con
grave rischio d’infezione. Sabin denunciò questa pratica inutilmente, finché,
nel 1960, il suo vaccino di libera produzione non sconfisse la polio. C’è
spazio per la libertà. Ma c’è di peggio che assumersi il fardello dell’uomo bianco:
c’è il vezzo dei nuovi ricchi di buttare i rifiuti sui poveri. È qui il senso
della loro fuga, e la sostanza dell’imperialismo, che oggi si camuffa con l’aiuto
allo sviluppo.
Il vezzo è dei germanici, gli scandinavi
in particolare e gli americani, cioè i più ricchi di tutti. Che terrorizzano il
mondo con le loro crisi periodiche, la droga, l’alcol, l’obesità, l’economia.
Si salvano la coscienza con problemi che loro stessi creano, le mine antiuomo,
il colesterolo, l’eugenetica, l’effetto serra, e anche questi ributtano sul
resto del mondo. Sempre i ricchi si sono lamentati, ma ora esagerano. È ruttare
sul mondo la sazietà, non c’è povertà nichilista. L’imperialismo vero resta
dell’Occidente sull’Occidente, una guerricciola endemica interna, magari per
scongiuri. Gli altri non sono abbastanza ricchi da stimolare l’avidità. Ecco
perché l’antimperialismo è brutto. Se è qualcosa, dovrebbe essere la libertà.
Non può dare più case, più strade, più ospedali, più scuole, perché è meno
ricco dell’imperialismo. Può e dovrebbe dare onestà e rispetto degli altri,
della legge.
Ci sono dei criteri: non ci può essere
antimperialismo contro antimperialismo. Né socialismo contro socialismo: hanno
ragione quelli che, scampati alla forca del comunismo, sono restati comunisti,
c’è un solo comunismo. È diverso per le vie nazionali, eurocomunista, latina,
lusitana, africana, afroshirazi, animista, panaraba, confuciana - e scintoista
no, anche buddista, e yoga? Basta la parola, direbbe la pubblicità, socialismo è un abito, un profumo. Il senso del Terzo mondo è - era
quando c’era un Terzo mondo, ma vale anche per gli epigoni sparsi - un
platonico terzo regno di Frege: un mondo di petizioni di principio, per salvare
l’anima nostra, non gli africani (Frege, barba bianca, modi semplici, non era
preso sul serio a Iena nel 1917 all’università). L’Occidente, volendogli dare
una colpa, ha prevenuto la decolonizzazione catturando gli animi: li ha
sintonizzati sul possesso, furberia, sopruso, avidità, prima che sull’alcol e
li gestisce con la crisi. L’Occidente è furbo, per questo Ulisse vi è popolare.
Ma nessun indio, nessun africano, nessun arabo, nessun asiatico ha bisogno di
lezioni in questo campo.
E c’è chi dice l’Africa priva di storia. Mentre non è piena che di
rovine. L’Angola, il paese più ricco al mondo, è il più povero. E il Gabon, grande
quanto l’Italia per un milione di abitanti, coi tanti minerali e l’okumé, con
cui si fa il compensato? Il compagno Nkrumah, l’Osagyefo, redentore, è morto
nella vergogna, aveva trecento statue. Il maestro Nyerere applicava l’Ujamaa,
la fratellanza del socialismo di villaggio, per ridare un ruolo ai capi, il legittimismo
è l’ideologia africana. Obote invece è svanito con tutto il socialismo, e
l’ottima università di Makerere, per lasciare l’eterna primavera a un caporale,
Amin. Il problema vero è che gli africani sono troppo buoni per non essere
mangiati.
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