La buona morte
Le strade si
aprono dunque alla buona morte, come voleva l’eugenetica, degli inutili e incompetenti,
ora anche degli svogliati, e Abbie Hoffman e Jerry Rubin proponevano, di
uccidere i padri e cancellare all’anagrafe chi compie trent’anni. Un governo
volevano, nel paradiso di Lucy in
the Sky, di Roboam, dove, dice la Bibbia, i giovani comandano sui vecchi. Un limbus
patrum. La vecchia pratica degli svedesi trogloditi, i nomadi
dell’antico Egitto, i sardi, di uccidere gli anziani a colpi di clava o pietra.
Gli indiani del Brasile uccidevano
così gli infermi. I massageti e i derbicciani uccidevano gli ultrasettantenni.
E i càtari pii di Monforte d’Alba o Asti, che le endura abbreviavano alla fine, i suicidi dei saggi anziani per digiuno,
per evitare loro i patimenti dell’agonia. Gli abitanti dell’isola di Choa, dove
l’aria pura dà lunga vita, ci pensavano invece da soli: prima dell’ebetudine o la
malattia i vecchi prendevano la papaverina o la cicuta. Analogamente
l’eschimese che, prossimo alla fine, inutile alla famiglia, esce dall’iglù e si
perde nel pack. Fra i batak di Raffles,
esploratore fede-degno, che sarebbero i dagroian di Marco Polo, i vecchi erano mangiati:
“Un uomo che sia stanco di vivere invita i figli a divorarlo nel momento in cui
il sale e i limoni sono a buon mercato”.
Una ragione per eliminare i vecchi
c’è, spiega Propp, l’analista delle fiabe: “Tra l’antichissima popolazione di
Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di uccidere i vecchi. E mentre
uccidevano i vecchi, ridevano sonori”. Serviva per ridere.
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