La pacca sul sedere del papa
Una scelta delle lettere che
Rodari scrisse alla casa editrice, “la Ditta”, in trent’anni di rapporto, dal
1952 al 1980. “Scrivendo e contemporaneamente giocando a scrivere”, può notare Bartezzaghi
nella presentazione. Con un progetto per coincidenza attuale, di giornata, la
pacca sul sedere – “la pacca sul sedere del papa”, nientemeno, “la storia di
uno di Maccagno che parte dal suo paese per andare a dare una pacca sul sedere
al Papa… e torna a casa soddisfatto”: “un libro umoristico” che oggi non si
potrebbe, il rispetto per la donna (c’era anche la pacca peccaminosa, sul
sedere femminile – e tra i gay su quello maschile) estendendosi a ogni
contatto, ma una volta usava per correggere i bambini, anche fuori della
scuola. Maccagno sul lago Maggiore dietro Varese, che poi però non risulta che il
varesino Rodari abbia onorato con la pacca al papa.
Uno dei tanti progetti che formicolano
in queste lettere. Scelte perché scherzi linguistici per lo più, sugli interlocutori,
sull’editrice, sui pagamenti in ritardo.
L’immagine che danno è di un Rodari privato uguale alle sue filastrocche,
leggero e acuto. Ma anche molto dentro la pedagogia scolastica, nei progetti
editoriali cui è chiamato a partecipate (Andersen, la matematica, la fonetica, i
testi scolastici, le letture consigliate).Atttento anche alla grafica dei libri,
alle illustrazioni. Con gustosi profili dei corrispondenti. Non di quelli consueti,
stranamente, Bollati, Ponchiroli, ma di quelli occasionali, Arpino, Cerati,
Davico Bonino – Davico Bonino inviato da Einaudi a Prato a circuire i giurati
del premio Prato in favore di Rodari è una fulminante “cosa mai vista: un torinese
disinvolto e dei toscani intimiditi”. Spesso toscaneggia, con qualche lombardismo
- “culo e camicia”, varesotto.
La scelta dà anche un curioso ritratto di come si era (poco) comunisti già negli anni 1960-1970. Rodari, già direttore del “Pioniere”, il
giornalino dei piccoli del partito Comunista, poi fondatore di “Avanguardia”,
il giornale della Fgci, la federazione giovanile comunista, continua a viaggiare
a Mosca, e scrive alla casa editrice come comune corpo politico, ma usa “amici”
e non “compagni”, e in una delle lettere della scelta, dopo l’uscita del “Libro degli errori” nel
1964, lamenta ripetutamente la nessuna attenzione dell’“Unità”, il giornale del
Pci, consigliando di coinvolgere per le recensioni Camilla Cederna, Eco, Guareschi, Pestelli,
Emilio Servadio, Flora Antonioni, tutti fuori del Pci e qualcuno nemico. Mentre
l’esperienza quotidiana a “Paese sera”, con la rubrica firmata Benelux, liquida, in una sola delle lettere qui raccolte
, a Ponchiroli: “Mi pagano per scrivere un pezzettino di pagina tutti i giorni:
ti sembra una cosa seria, da dedicarci la vita?” Torna sempre entusiasta dell’italianistica
oltrecortina. E sa del “monumento equestre o pressappoco” che gli viene “quotidianamente
innalzato nell’Unione Sovietica”. Ma avrebbe anche gradito ricevere un centesimo,
ha lamentato in precedenza , ogni volta che in Unione Sovietica aprono un suo
libro. Si complimenta con Cerati per la “Storia del marxismo”, fine 1978, immaginandola
di successo commerciale, ma gli ricorda che a Roma i cardinali hanno tirato
fuori dal cilindro papa Woytiła: “Luciani era una «passeretta» patetica,
Voitijjiila è un falcone, deve avere le scarpe del Quarantotto, potrebbe fare
il sollevamento pesi con il Cupolone” – decisamente in palla con i papi.
Non manca solo la pacca sul
sedere del papa, un progetto ancora più fantastico Rodari non realizzò, con
Leopardi bambino: “Prendere Leopardi bambino, a Recanati: scrivere un «manuale
dei giochi» che facevano lui, Carlo e la Paolina vestita da prete (pensa! le messe
nere!), intitolare il tutto «I giochi di Recanati»”, e farcirlo con le parole
del «Sabato del villaggio» e della «Ginestra»”. Peccato.
Gianni Rodari, Lettere a Don Julio Einaudi Hidalgo
Editorial, Einaudi, pp. 126 € 10,50
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