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La studentessa all'università era votata al suicidio
Nel
1964, sulla “Stampa”, ricorda Alessandra Gissi nel saggio che apre la parte
seconda della raccolta, un’inchiesta di Francesco Rosso, inviato di punta del
quotidiano, sulla presenza femminile all’università di Milano, nelle due
università private, quindi a pagamento, Bocconi e Cattolica, la trovava a
sorpresa poco apprezzata: “Non hanno interesse allo studio; civettano, e
intessono idilli coi loro compagni”, era il commento, professorale, più spesso raccolto.
A Milano, nel 1964 - è un peccato che la scuola abbia abbandonato la storia,
c’era molto da imparare (della storia politica e militare, anche, perché no, e
geografica – delle migrazioni per esempio, anche recenti, del V-VI secolo, del
XIImo, del XIX-XXmo, appena ieri, e dei popoli, delle religioni, delle culture,
di genere, non c’è futuro senza passato.
Il volume, arricchito da una folta e preziosa documentazione iconografica,
documenta
la storia spesso triste e solitaria, ma final, della parificazione del
genere femminile negli studi universitari. A Padova, come vogliono i titoli,
“L’università delle donne” e “Accademiche e studentesse dal Seicento a oggi”,
da quando le prime donne furono ammesse agli studi fuori casa, e in Italia. Con
una raccolta di saggi di
specialisti di varie discipline.
L’università di
Padova celebra i suoi otto secoli di vita nel 2022 col progetto, “Patavina
Libertas”, di “Una storia europea dell’università di Padova (1222-2022)”, e
questa raccolta, organizzata da Carlotta Sorba, storica contemporaneista a
Padova, col ricercatore Andrea Martini, ne è il primo tassello. La ricorrenza è
l’occasione per un re-appraisal della presenza femminile negli studi
universitari, nell’ottica dell’ateneo patavino, e con numerosi riferimenti
nazionali. Dalle pallide aperture post-unitarie, lente, contate, ai primi
passaggi verso la cultura di massa sotto il fascismo, e alla sua ritardata
esplosione negli anni della Repubblica, a partire dalla decade1960 - che sono
gli anni post boom, andrebbe ricordato, della scoperta dell’affluenza
nell’Italia delle povertà, da Agrigento alla stessa Padova, con record prima di
allora di emigranti, di italiani poveri in cerca di fortuna.
Martini fa parlare
alcune delle protagoniste della contestazione femminile, all’interno del
movimento studentesco post-68 – di cui l’ateneo di Padova, città timorata e
democristiana, era diventata un epicentro - per il divorzio, per l’aborto,
quasi tutte dall’interno di Potere Operaio, in guerra con il partito Comunista
e le sue organizzazioni femminili. Giulia Albanese rintraccia e epitomizza
numerosi diari o memorie. Elena Canadelli riscopre “La realtà delle
scienziate”: le scienze sono state il primo approdo professionale per le donne
all’università, in qualità di tecniche di laboratorio dapprima, ma presto di
ricercatrici e insegnanti. La zoologa Rina Monti viene nominata professore
ordinario, la prima in Italia, a Cagliari nel 1910. Ma già Maria Montessori era
un’autorità. E molte altre saranno ricercatrici riconosciute, di nome, dopo la
guerra – tra esse, misconosciuta invece pure nelle biografie dello scrittore, la
madre di Italo Calvino, Eva Mameli, che ha lavorato per un lungo periodo anche
all’Avana, madre di due figli. Nel primo Novecento era in genere l’istituzione,
la burocrazia, che non dava spazio alle donne nell’ambiente accademico, i
“colleghi”, per quanto maschi, erano invece aperti, anche solidali.
Lorenza Perini e
Naila Pratelli analizzano la progressione numerica della presenza femminile
nelle università, con un interessante quadro sinottico delle quote per genere
nelle varie specialità aggiornato al 2019. Altri studi analizzano situazioni
particolari. Eleonora Carinci, proponendo il ritratto di Elena Lucrezia Cornaro
Piscopia, la prima donna – della grande famiglia veneziana dei Cornaro – ad
ottenere una laurea all’università di Padova, nel 1678, abbozza una lista delle
scrittrici e pubbliciste di cui le storie della letteratura si ricordano - ma
la lista sarebbe lunga, con Tullia d’Aragona, che molto influì sul secolo, et
al.
Gissi, specialista
degli studi di genere, apre la questione al contesto sociologico, la lenta
entrata delle donne agli studi universitari e alle professioni liberali
correlando alle leggi, specie quelle del primo centro-sinistra, 1961 e 1963, e
con l’opinione pubblica, come riflessa dalla stampa. Con curiose peculiarità.
Il primo caso è delle levatrici, una professione a lungo di praticone, le
“mammane”, cui nel tardo Ottocento la legge impone un’istruzione medica, in
appositi corsi parauniversitari – con i curiosi casi delle vecchie praticanti
in aula insieme con le aspiranti giovani. Il fascismo viene come irruzione
delle masse, anche femminili. E nel dopoguerra, con la liberalizzazione, a
tappe, degli studi universitari, per un aspetto perfino bizzarro, in ottica odierna,
della studentessa comunemente vista, nella pubblicistica di gossip e nei
grandi giornali, come una ricercatrice di uomini, svagata, inetta, e per lo più
destinata al suicidio, una displaced person – allora la socio-psicologia
si focalizzava sui ruoli. Si registravano i casi di suicidio con clamore, con
dovizia di foto, di testimonianze, di dolorismo.
Immaginando
l’università come una partoriente, la “studentessa” ebbe gestazione e nascita
travagliate. Non nell’anno Mille, avant’ieri, spiega Gissi. Anzi, fino a Simone
Cristicchi, grande promessa allora della canzone italiana, che la “Studentessa
universitaria” canta nel 2004 “triste e solitaria”, proprio così, alla Soriano,
in “una stanzetta umida”, incinta da non sa chi. La Lenù di “Elena Ferrante”,
della tetralogia “L’amica geniale”, al secondo volume (2012) soffre alla Normale
di Pisa di solitudine, e si prepara al Natale in “desolate giornate di febbre
molto alta e tosse”, sola nel collegio.
Andrea Martini-Carlotta
Sorba (a cura di), L’università delle donne, Donzelli, pp. 261, ill. €
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