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Andersen
–
“Ambiva alla «fiaba contemporanea»”, spiega Rodari a Giulio Bollati quando
Einaudi gli chiede di presentare la nuova traduzione dello scrittore danese.
Proponendosi di “de-deamicisizzarlo”, dal buonismo che lo avvolge. Anzi, di
“mettere in luce le sue non poche code di
paglia: l’eccesso di cadaveri veri (quelli della fiaba popolare sono
cadaveri per ridere, non puzzano); la sua ricerca di compensazioni (molte sue
novelle sono vere e proprie vendette con la vita); il suo cristianesimo in carrozza
reale”. E poi: “Andersen è un caso unico, non fa parte di nessuna famiglia”.
Selfie
– È come se niente esistesse al di fuori di noi. O per dare consistenza a
noi, che altrimenti non siamo. Ma è anche genere coltivato da spiriti forti,
sant’Agostino per primo, Rousseau.
“Sarebbe molto
piacevole per me dire quello che penso, e dare sollievo al signor Gustave
Flaubert con delle frasi. Ma che importanza ha il suddetto signore?”, si
chiedeva Flaubert – “L’uomo non è niente, l’opera d’arte è tutto”. Però, anche
qui: senza l’artista?
Esprit
de l’escalier –
Montefiori gli trova questa definizione sul “Corriere della sera”, riferendo di
Houellebecq alla Sorbona: “Felice espressione francese che evoca quella
tendenza a farsi venire in mente le rispose a tono quando si è sulle scale,
usciti di casa, e ormai è troppo tardi”. In un certo senso sì: è la battuta di
spirito in ritardo.
Impegno
– L’engagement francese (su cui Moravia
litigò con Sartre a Roma) “era tutto, ma solo se era la corrente giusta del
partito giusto” - ricorda Julian Barnes nel memoir “Gustave, l’educatore
sentimentale”, pubblicato sul “Robinson”. Lo ricorda a proposito di Mauriac, da
lui amato come scrittore che però per i suoi amici francesi “era un gollista”,
e quindi niente.
Italia – Shakespeare
italiano – la metà o poco meno dell’opera - è tutto spirito lieve, comunque
amabile, comunque spiegabile, per esempio l’“Otello”. Mentre i soggetti isolani
fa “elisabettiani”, tutti fuoco e fiamme, e assassinii. Anche nei drammi
storici, il “Giulio Cesare” è un dramma politico, i corrispondenti inglesi sono
di turpitudini.
Snoop Dogg, che
non è un personaggio, “il cane di Snoopy”, ma un nome, di un rsper e attore
americano che s’illustra collezionando monete virtuali e NFT, ha adottato per questa
sua attività lo pseudonimo, per dire che si sta arricchendo molto, di Cozomo Medici”,
con lo -zo.
L’italiano è un
suono più che una lingua – vedi io tanti nomi di automobili storpiature di
parole italiane. Ma allora anche il cinese.
Novecento – Flaubert lo profetizzava “utilitaristico, militaristico, americano e
cattolico, molto cattolico”.
Pasolini
– Claudio Magris lo mette con D’Annunzio. Senza più.
Lo ricorda nel 16 giugno del 1968, per l’ode “Il PCI ai giovani!”, contro gli
studenti a Valle Giulia a Roma, che marciano in “abito all’inglese e battuta
francese” e fanno a botte con i poliziotti, “figli di poveri”, proponendone la
celebrazione in quella data, per i cento anni della nascita nel 2022, il 16
giugno: “In anni e forme diverse Pasolini e D’Annunzio hanno vissuto,
denunciato e fatto propria – nel corpo, nel loro sudore, nelle loro pulsioni,
spesso narcisiste e degradate - la radicale trasformazione dell’uomo avvenuta
nella loro epoca e che sta avvenendo e avverrà con sempre maggiore violenza”.
In peggio naturalmente? Da D’Annunzio a Pasolini, una deriva di un secolo (e
oggi, direbbe Agamben, non è finita….).
Pasolini e D’Annunzio,
“in forme diverse”, lo stesso impeto, anche se non lo stesso destino? Ma Pasolini
come D’Annunzio catastrofista? D’Annunzio obietterebbe – ma anche Pasolini,
solido infaticabile Prometeo, costruttore, creatore, lavoratore. Anche di
notte, quando scendeva all’inferno.
Scrivere
– È come scopare, Flaubert si diceva col suo amico poeta
Louis Bouilhet, suo principale consigliere letterario - “il mio testicolo sinistro”.
Bouilhet si complimentava così per la stesura dell’“Educazione sentimentale”:
“Sono felice di vedere che stai facendo progressi con il libro, soprattutto che
stai scopando come un gendarme”. Qualche anno prima Flaubert scriveva della
“Bovary”, che procedeva lentamente: “Le erezioni della mente sono come quelle
del corpo: non vengono quando tu vuoi”.
“La prosa è come
i capelli, diventa lucente quando la pettini”, ha lasciato scritto famosamente Flaubert.
Julian Barnes, flaubertiano come non altri, racconta che ha usato a lungo negli
incontri con i suoi lettori citare questa frase. Finché “una donna nel pubblico”
non gli fece notare che “quello che fa diventare lucenti i capelli non è
pettinarli ma spazzolarli”.
Stupidità
– Ma è il tema di Flaubert, della sua narrativa – e un
po’ l’ossessione della sua vita. Non solo di “Bouvard e Pécuchet” ma già
dell’“Educazione sentimentale”, in termini già grossolani, sprezzanti, E anche
in “Bovary”: non solo in Homais, anche in Emma - Emma Bovary è meno stupida di Monsieur
Homais, lui della scienza positivista, lei dell’amore?
Flaubert si abbandonava solo all’esotismo. Al viaggio in Oriente - in scritti e nelle lettere. In “Salammbô”, nella “Tentazione di sant’Antonio”. Ma anche in questo “Oriente” molto è in forma sardonica.
Progettò per trent’anni
il sottisier “Bouvard e Pécuchet”. Quello che, postumo, si è intitolato
“Dizionario dei luoghi comuni” avrebbe dovuto completare l’opera del duo, con
le “Copie”, articolate in un “Dizionario delle idee correnti” e un “Catalogo
delle idee chic”.
Si capisce così perché
Sartre, dopo tremila e più pagine, non sia venuto a capo di Flaubert: ha fatto
un’esposizione “stupida” sula stupidità – senza cioè saperlo, malgrado il
titolo, “L’Idiota della famiglia”. Sartre
che era (si ritrovava) solo intelligente, e per d arsi spessore si ubriacava, praticava
la poligamia, si contraddiceva – e si esibiva al caffè.
letterautore@antiit.eu
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