domenica 26 dicembre 2021

Letture - 476

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Bella donna – È urbanità, segno di distinzione. L’inno omerico detto “A Gea”, ricorda che sulla Terra presto “i solchi della gleba che danno vita sono carichi di frutti, nei campi prospera il bestiame e la casa si riempie di ricchezze e essi (gli uomini, n.d.r.) governano con giuste leggi le città dalle belle donne”.
 
Biblioteche – “Consiglio un viaggio nelle biblioteche storiche d’Italia. Si può cominciare con quella Vaticana”, consiglia qualcuno ai lettori del “Robinson”. Un buontempone? Come se per l’acceso alle biblioteche, a qualsiasi biblioteca, non ci volesse una pratica notarile. Le biblioteche sono per (il riposo de)i bibliotecari.
 
Cannavaggia – Simenon a Panama incontra un Cannavaggio, corso, maitre-d’hôtel,  che ha prosperato in proprio ed è il riferimento dei viaggiatori e anche del Paese. A l femminile, il nome ricorre con Maria Cannavaggia, nata in Francia da padre corso, traduttrice dall’italiano e dall’inglese, “segretaria letteraria” di Céline per venticinque anni, dal 1936 al 1961, alla morte dello scrittore – poi estromessa dalle riedizioni e dalle opere postume da Lucette Almanzor, la vedova di Céline erede dei diritti, della quale Marie era stata a suo modo gelosa. Subentrata alla prima segretaria letteraria, Jeanne Carayon, che aveva curato il “Viaggio al termine della notte”: quattro anni più tardi, per Morte a credito”, Carayon era indisponibile, vivendo negli Stati Uniti, e aveva suggerito Marie Canavaggia, sua compagna di liceo.
Marie non leggeva i manoscritti, che venivano battuti a macchina da copisti professionali: lavorava sulle bozze, con interventi solitamente minimi, ma sempre rilevanti per Céline. Che usava correggere molto. La segnalazione di grafie o parole che Marie trovava non consone trascinava complesse corrispondenze. “Non ci sono piccoli dettagli che mi possano stancare”, le scriveva Céline, “Li voglio tutti! La minima virgola mi appassiona”. Ne assunse anche la difesa, e la rappresentanza presso gli editori, negli anni della disgrazia politica, dopo la guerra. Nel dopoguerra collaborerà anche con Jean Dubuffet, ammiratore di Céline.
L’epistolario con Céline (tradotto in italiano in edizione moto raccorciata, un quarto dell’edizione totale) dà la spiegazione forse migliore del modo di lavorare dello scrittore, della sua “musichetta”, del ritmo della frase. “Se decideva di cambiare una parola”, spiegherà Marie in sintesi, “non si accontentava di sostituirla con un’altra. . Ricomponeva interamente la sua frase, qualche volta anche le frasi circostanti, secondo le esigenze della sua «cadenza»”.
Come traduttrice dall’italiano esordì con Arturo Loria, narratore oggi dimenticato, col racconto breve “Il muratore stanco”. Più che traduttrice fu mediatrice culturale: sceglieva da sé le opere da tradurre e poi cercava l’editore interessato. Propose in Francia il migliore Hawthorne. Dall’italiano propose nel primo dopoguerra Giotto Dainelli, Soldati (“America primo amore”, “L’affare Motta”), Piovene (“La gazzetta nera”, e un racconto che intitolava “Histoire de Marcos”), Santucci e, nel 1962, Moravia (“Agostino”). In precedenza, dopo Loria, aveva proposto Gian Dàuli (“La rua”, “Cabala bianca”). E “Lo Stato corporativo” di Bruno Biagi, il successore di Dino Alfieri al segretariato delle Corporazioni.   
 

Dante – È anche inventore, del linguaggio. Si sapeva. Ma scorrendo il prontuario delle sue novità, che Gianfranco Lotti pubblica col titolo “Come insultava Dante”, si viene sorpresi d  alla quantità delle novità.
 
Febbre da cavallo – “Il più grande film della storia della cinematografia italiana”, lo dichiara Bonvissuto, tifoso della Roma calcio - uno, per intendersi, che l’ultima soddisfazione l’ha avuta dall’odiato Capello, un altro eocene. Il più grande, come si fa a dire? Però.

Gogol – Si può dire un no vax antemarcia: si lasciò morire a 43 anni, in ospedale a Mosca, rifiutando di farsi curare. Non per follia, ma per una forma di devozione radicale, una crisi religiosa che lo aveva portato a insistiti digiuni in conto di penitenza.  

Lubecca – La casa borghese della città nel tardo Seicento, mezzo secolo prima della fondazione della casa Buddenbrook, è così descritta da Jens Peter Jacobsen in “Marie Grubbe”, nella fase in cui la protagonista, ricca ereditiera, viaggia: Marie con la domestica Lucie “camminavano avanti e indietro nel grande ingresso che c’era in tutte le case di Lubecca, a un tempo corridoio e soggiorno, stanza da gioco per i bambini e teatro della maggior parte delle attività manuali, talvolta anche sala da pranzo e dispensa”. Un locale che dava sulla strada, come un grande ingresso: “Il locale in cui si trovavano era usato quasi esclusivamente nelle stagioni più temperate, perciò ora c’erano solo un lungo tavolo decapato, alcune pesanti sedie di legno e un vecchio armadio. In fondo erano state montate delle spaziose mensole di legno che ospitavano verdi file di cavolo cappuccio  su rossi mucchi di carote e irti mazzi di rafano.”
 
Petrolio – “Quel residuo fossile di milioni di esseri viventi vissuti in un remoto passato che chiamiamo petrolio”, Giorgio Agamben, “A che punto siamo?”, 98.
 
Poe – “Lo straordinario, in questo scrittore, è la sua sobrietà”, Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”: “Malgrado la loro austerità matematica, le figure sono in lui figure del destino, ciò che le riveste di una magia sena pari” – o non per la loro austerità matematica?
 
Primati – In morte di Joan Didion Monda celebra su “la Repubblica” “quell’aristocrazia intellettuale americana di tradizione irlandese cattolica, che ha rappresentato il contraltare di quella ebraica, speso fondendosi ad essa per dar luogo a  quel magma entusiasmante che è stata la cultura americana del Novecento”. E il resto, nero, bianco wasp, del S ud, cattolico senza essere irlandese, non piccolo? Etnia e religione sono fattori importanti nella vita e l’opera degli scrittori, da considerare quindi negli apparati critici, ma non fattori divisivi, separati. Caratterizzanti, forse, alcuni o alcune opere, ma non qualificanti: si scrive la lingua, nelle sue diverse articolazioni.

Viaggiare - “Senza esagerare”, scrive Simenon, viaggiatore compulsivo, a conclusione di un lungo reportage  su Tahiti (“Al margine dei meridiani”), “forse potremmo dire che si viaggia per compilare l’elenco dei paesi in cui non si avrà più voglia di mettere piede”. Dopo aver scoperto che Gandhi aveva un negozio di souvenir per turisti. E che nell’igienizzata America delle sue letture l’immondizia fermentava nei cassonetti scoperti, e qualcuno vi faceva pipì sopra. “Senza esagerare”, continua, “forse potremmo dire che si viaggia per compilare l’elenco dei paesi in cui non si avrà più voglia di mettere piede”. Forse. Perché in America Simenon tornerà, dieci anni più tardi, per dieci anni.

letterautore@antiit.eu

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