Letture - 476
letterautore
Bella
donna – È urbanità, segno di distinzione. L’inno omerico detto
“A Gea”, ricorda che sulla Terra presto “i solchi della gleba che danno vita
sono carichi di frutti, nei campi prospera il bestiame e la casa si riempie di
ricchezze e essi (gli uomini, n.d.r.) governano con giuste leggi le città dalle
belle donne”.
Biblioteche
– “Consiglio un viaggio nelle biblioteche storiche
d’Italia. Si può cominciare con quella Vaticana”, consiglia qualcuno ai lettori
del “Robinson”. Un buontempone? Come se per l’acceso alle biblioteche, a
qualsiasi biblioteca, non ci volesse una pratica notarile. Le biblioteche sono
per (il riposo de)i bibliotecari.
Cannavaggia – Simenon a Panama incontra un Cannavaggio, corso, maitre-d’hôtel, che ha prosperato in proprio ed è il
riferimento dei viaggiatori e anche del Paese. A l femminile, il nome ricorre
con Maria Cannavaggia, nata in Francia da padre corso, traduttrice dall’italiano
e dall’inglese, “segretaria letteraria” di Céline per venticinque anni, dal 1936
al 1961, alla morte dello scrittore – poi estromessa dalle riedizioni e dalle
opere postume da Lucette Almanzor, la vedova di Céline erede dei diritti, della
quale Marie era stata a suo modo gelosa. Subentrata alla prima segretaria letteraria,
Jeanne Carayon, che aveva curato il “Viaggio al termine della notte”: quattro
anni più tardi, per Morte a credito”, Carayon era indisponibile, vivendo negli
Stati Uniti, e aveva suggerito Marie Canavaggia, sua compagna di liceo.
Marie non
leggeva i manoscritti, che venivano battuti a macchina da copisti professionali:
lavorava sulle bozze, con interventi solitamente minimi, ma sempre rilevanti per
Céline. Che usava correggere molto. La segnalazione di grafie o parole che
Marie trovava non consone trascinava complesse corrispondenze. “Non ci sono piccoli
dettagli che mi possano stancare”, le scriveva Céline, “Li voglio tutti! La
minima virgola mi appassiona”. Ne assunse anche la difesa, e la rappresentanza
presso gli editori, negli anni della disgrazia politica, dopo la guerra. Nel
dopoguerra collaborerà anche con Jean Dubuffet, ammiratore di Céline.
L’epistolario con
Céline (tradotto in italiano in edizione moto raccorciata, un quarto
dell’edizione totale) dà la spiegazione forse migliore del modo di lavorare dello
scrittore, della sua “musichetta”, del ritmo della frase. “Se decideva di cambiare
una parola”, spiegherà Marie in sintesi, “non si accontentava di sostituirla
con un’altra. . Ricomponeva interamente la sua frase, qualche volta anche le
frasi circostanti, secondo le esigenze della sua «cadenza»”.
Come traduttrice
dall’italiano esordì con Arturo Loria, narratore oggi dimenticato, col racconto
breve “Il muratore stanco”. Più che traduttrice fu mediatrice culturale: sceglieva
da sé le opere da tradurre e poi cercava l’editore interessato. Propose in Francia
il migliore Hawthorne. Dall’italiano propose nel primo dopoguerra Giotto Dainelli,
Soldati (“America primo amore”, “L’affare Motta”), Piovene (“La gazzetta nera”,
e un racconto che intitolava “Histoire de Marcos”), Santucci e, nel 1962, Moravia
(“Agostino”). In precedenza, dopo Loria, aveva proposto Gian Dàuli (“La rua”, “Cabala
bianca”). E “Lo Stato corporativo” di Bruno Biagi, il successore di Dino Alfieri
al segretariato delle Corporazioni.
Dante
– È anche inventore, del linguaggio. Si sapeva. Ma
scorrendo il prontuario delle sue novità, che Gianfranco Lotti pubblica col
titolo “Come insultava Dante”, si viene sorpresi d alla quantità delle novità.
Febbre da cavallo – “Il più grande
film della storia della cinematografia italiana”, lo dichiara Bonvissuto,
tifoso della Roma calcio - uno, per intendersi, che l’ultima soddisfazione l’ha
avuta dall’odiato Capello, un altro eocene. Il più grande, come si fa a dire?
Però.
Gogol – Si può dire un no vax antemarcia: si lasciò
morire a 43 anni, in ospedale a Mosca, rifiutando di farsi curare. Non per
follia, ma per una forma di devozione radicale, una crisi religiosa che lo
aveva portato a insistiti digiuni in conto di penitenza.
Lubecca – La casa borghese della città nel
tardo Seicento, mezzo secolo prima della fondazione della casa Buddenbrook, è
così descritta da Jens Peter Jacobsen in “Marie Grubbe”, nella fase in cui la
protagonista, ricca ereditiera, viaggia: Marie con la domestica Lucie “camminavano
avanti e indietro nel grande ingresso che c’era in tutte le case di Lubecca, a
un tempo corridoio e soggiorno, stanza da gioco per i bambini e teatro della
maggior parte delle attività manuali, talvolta anche sala da pranzo e
dispensa”. Un locale che dava sulla strada, come un grande ingresso: “Il locale
in cui si trovavano era usato quasi esclusivamente nelle stagioni più temperate,
perciò ora c’erano solo un lungo tavolo decapato, alcune pesanti sedie di legno
e un vecchio armadio. In fondo erano state montate delle spaziose mensole di
legno che ospitavano verdi file di cavolo cappuccio su rossi mucchi di carote e irti mazzi di
rafano.”
Petrolio – “Quel residuo fossile di milioni
di esseri viventi vissuti in un remoto passato che chiamiamo petrolio”, Giorgio
Agamben, “A che punto siamo?”, 98.
Poe – “Lo straordinario, in questo scrittore,
è la sua sobrietà”, Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”: “Malgrado la loro
austerità matematica, le figure sono in lui figure del destino, ciò che le
riveste di una magia sena pari” – o non per la loro austerità matematica?
Primati – In morte di Joan Didion Monda
celebra su “la Repubblica” “quell’aristocrazia intellettuale americana di tradizione
irlandese cattolica, che ha rappresentato il contraltare di quella ebraica,
speso fondendosi ad essa per dar luogo a
quel magma entusiasmante che è stata la cultura americana del Novecento”.
E il resto, nero, bianco wasp, del S ud, cattolico senza essere irlandese, non
piccolo? Etnia e religione sono fattori importanti nella vita e l’opera degli
scrittori, da considerare quindi negli apparati critici, ma non fattori
divisivi, separati. Caratterizzanti, forse, alcuni o alcune opere, ma non
qualificanti: si scrive la lingua, nelle sue diverse articolazioni.
Viaggiare - “Senza esagerare”,
scrive Simenon, viaggiatore compulsivo, a conclusione di un lungo reportage su Tahiti (“Al margine dei meridiani”), “forse
potremmo dire che si viaggia per compilare l’elenco dei paesi in cui non si avrà
più voglia di mettere piede”. Dopo aver scoperto che Gandhi aveva un negozio di
souvenir per turisti. E che nell’igienizzata America delle sue letture l’immondizia
fermentava nei cassonetti scoperti, e qualcuno vi faceva pipì sopra. “Senza esagerare”,
continua, “forse potremmo dire che si viaggia per compilare l’elenco dei paesi
in cui non si avrà più voglia di mettere piede”. Forse. Perché in America
Simenon tornerà, dieci anni più tardi, per dieci anni.
letterautore@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento