Morire a Parigi
Il
genere demenziale trasposto nella buona borghesia di New York City? Un effetto
forse non voluto, ma è la sola chiave di lettura – di connessione – di due ore
di film.
Attorno
a Michelle Pfeiffer, personaggio estroso, che decide di finire come le ricchezze,
le quali come si sa finiscono, un mondo di buffi. Un figlio obbediente, una
chiromante, un gatto nero, incarnazione del marito morto?, una vicina vedova e
sola a Parigi, un detective nero, evocazioni spiritistiche, una fidanzata
brutta del figlio, un promesso sposo della fidanzata del figlio, vari barboni,
di varia moralità e loquela. Un apologo a metà tra la favola morale (la signora
ricca-e-bella-e-invidiata che perde tutto, per l’incuria che ricchezza,
bellezza e invidia comportano) e la critica sociale (la ricchezza comporta
dissolvimento), scandita da battute “micidiali”. Tra New York City e Parigi,
dove la vicenda si conclude.
“Paris
Exit” è il titolo originale, più giusto, poiché nella ville lumière si va per disfarsi. Il cinema canadese ci ha abituati
a storie senza storia, storie aperte. Qui l’abbellisce con Michelle Pfeiffer, e
interni sontuosi perfino caldi, un po’. Ma lo stesso la storia rimane gelida. Forse per questo non è andato in sala.
Azazel
Jacobs, Fuga a Parigi, Sky Cinema
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