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Pavese giovane e felice - a Roma
Un’educazione sentimentale e
politica, tra Torino e Roma, in un anno che potrebbe essere il 1937, tra guerra
di Spagna e ammuìna antifascista in Italia. Con un omaggio a Roma, in ogni ora
del giorno, in ogni giorno del mese o della stagione, in ogni stagione dell’anno
- “l’estate a Roma non finisce mai”, “l’aria di Roma è proprio fatta per star
svegli”, non c’è pagina nella seconda parte, quando il giovane protagonista da
Torino sbarca a Roma, che non trasudi entusiasmo, una città dove ha vissuto a fine guerra, ma di cui apprezza perfino Regina Coeli, il carcere dove era stato rinchiuso per qualche giorno nel 1935.
Il meno letto e considerato dei
racconti di Pavese e forse il meglio scritto. Non propriamente meglio scritto,
ma costruito. Nel plot, peraltro semplice:
è il mondo visto da un ventenne, non intellettuale e nemmeno pratico, se non
con la chitarra. E di più nei caratteri, numerosi, perfino pulviscolari, ma animati.
Persiste nella tarda scrittura – “Il compagno” viene pubblicato nel 1947 - la
consueta incertezza di Pavese nei costrutti (“mangiò cena”), con l’uso
incongruo dei toscanismi (“c’era sempre degli altri sul camion”, “c’è il suo bello
a discutere”, “quando son nata si viveva in Campitelli”, detto da una romana de
Roma, che insiste, “noi si aveva le pietre”). Bizzarra per un direttore
editoriale, grande e fertile traduttore.
Il tutto è raccontato dal
protagonista, seppure incapace di tenere testa all’aneddotica della sua sempre
numerosa compagnia serale. Un personaggio insolito in Pavese, positivo e vincente: la sua ignoranza non è stoltezza, il suo dubitare, fino anche a sospettare, non è debolezza. Un bel personaggio, convincente. Con qualche traccia
probabilmente personale, basta sostituire alla chitarra la poesia. A distanza
di un anno dalla pubblicazione, l’8 ottobre 1948, Pavese lo annotava commosso –
fatto insolito, sia la rilettura, sia l’emozione - nel diario, “Il mestiere di
vivere”: “Riletto, ad apertura di pagina, pezzo
del Compagno. Effetto di toccare un filo di corrente. C'è una tensione
superiore al normale, folle, uno slancio continuamente bloccato. Un ansare.” Di un giovane quale avrebbe voluto essere, che accetta la vita come viene, anche con le amate che, in assenza, si consolano con un altro.
Cesare Pavese, Il compagno, Einaudi, pp. 162, € 9,50
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