venerdì 3 dicembre 2021

Pavese giovane e felice - a Roma

Un’educazione sentimentale e politica, tra Torino e Roma, in un anno che potrebbe essere il 1937, tra guerra di Spagna e ammuìna antifascista in Italia. Con un omaggio a Roma, in ogni ora del giorno, in ogni giorno del mese o della stagione, in ogni stagione dell’anno - “l’estate a Roma non finisce mai”, “l’aria di Roma è proprio fatta per star svegli”, non c’è pagina nella seconda parte, quando il giovane protagonista da Torino sbarca a Roma, che non trasudi entusiasmo, una città dove ha vissuto a fine guerra, ma di cui apprezza perfino Regina Coeli, il carcere dove era stato rinchiuso per qualche giorno nel 1935.
Il meno letto e considerato dei racconti di Pavese e forse il meglio scritto. Non propriamente meglio scritto, ma costruito. Nel plot, peraltro semplice: è il mondo visto da un ventenne, non intellettuale e nemmeno pratico, se non con la chitarra. E di più nei caratteri, numerosi, perfino pulviscolari, ma animati. Persiste nella tarda scrittura – “Il compagno” viene pubblicato nel 1947 - la consueta incertezza di Pavese nei costrutti (“mangiò cena”), con l’uso incongruo dei toscanismi (“c’era sempre degli altri sul camion”, “c’è il suo bello a discutere”, “quando son nata si viveva in Campitelli”, detto da una romana de Roma, che insiste, “noi si aveva le pietre”). Bizzarra per un direttore editoriale, grande e fertile traduttore.
Il tutto è raccontato dal protagonista, seppure incapace di tenere testa all’aneddotica della sua sempre numerosa compagnia serale. Un personaggio insolito in Pavese, positivo e vincente: la sua ignoranza non è stoltezza, il suo dubitare, fino anche a sospettare, non è debolezza. Un bel personaggio, convincente. Con qualche traccia probabilmente personale, basta sostituire alla chitarra la poesia. A distanza di un anno dalla pubblicazione, l’8 ottobre 1948, Pavese lo annotava commosso – fatto insolito, sia la rilettura, sia l’emozione - nel diario, “Il mestiere di vivere”: “Riletto, ad apertura di pagina, pezzo del Compagno. Effetto di toccare un filo di corrente. C'è una tensione superiore al normale, folle, uno slancio continuamente bloccato. Un ansare.” Di un giovane quale avrebbe voluto essere, che accetta la vita come viene, anche con le amate che, in assenza, si consolano con un altro.
Cesare Pavese,
Il compagno, Einaudi, pp. 162, € 9,50

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