zeulig
Compassione – Era
rivoluzionaria per Robespierre – la fraternità viene con la ghigliottina? Si
guastano anche i buoni sentimenti: Aristotele tratta la compassione insieme con
la paura. Cicerone la collega all’invidia. Arendt all’entusiasmo: il Settecento
è razionalista e sentimentale, due aspetti della stessa cosa, un bisogno
d’entusiasmo. Come andare allo stadio, per intendersi. Fabre d’Eglantine
compose “Il pleut, il pleut, bergère”, e diede i nomi floreali al
nuovo calendario, mentre ghigliottinava, prima di finire ghigliottinato.
Complotto
–
La grande congiura è l’idea, che Carl Schmitt sfiora voluttuosamente, di un
cambiamento orchestrato in segreto tra Medio Evo e Rinascimento, sostenuta con
decisione da René Guenon nella “Crisi del mondo moderno” : il più grande golpe
della storia, la secolarizzazione del mondo. O il demonio all’opera, sotto
forma di sovvertimento, che proietta l’individuo cristiano nel mondo opaco
senza Dio. Ma è vero che pensieri cupi vanno con ogni perdita, di oggetti,
persone, poteri, per quanto piccoli. Più che della salute, quando al contrario
l’organismo reagisce, perfino innaturalmente, ci so-no moribondi che ancora
sperano. Le proiezioni esterne invece condizionano febbrili.
Il
complotto nella scienza è della stupidità. Ma bisogna credere all’inesausta
capacità di male.
Il complotto è la politica, organizzata
nei dettagli, governata con le redini, i paraocchi, la frusta, annunciata,
prevista, perfino spiegata. Il segreto, ma meglio sarebbe dire la ricetta, è
quello della lettera invisibile benché in mostra, il vero complotto naviga in
superficie, ma i segnali vogliono essere letti. Come i “segreti palesi” di Goethe,
che per essere ordinari non piacciono alle menti fini. La menzogna è un’arma,
ma di difesa. Anche quando è usata per attaccare e distruggere: non porta a una
conquista, nessuno ha mai vinto nulla con la bugia costante. La società segreta
è un ossimoro. E un’allitterazione. Certo, il totalitarismo è furbizia prima
che forza, e disegno arcano. Ma il segreto, se non si fa temere, che segreto è?
“Che
bella occupazione prepararsi un segreto”, dice Kierkegaard brillo, “che
tentazione goderselo”. Il complotto si lega non al sospetto ma all’ermeneutica.
La teoria del complotto deve trovare i significati delle espressioni letterali,
o delle forme o eventi apparenti. Storicamente l’ intelligence, o arte del
complotto, si lega alle polizie, ai grandi capi delle polizie, Liborio Romano,
Arturo Bocchini, il commendator Guido Leto, che mentre riempivano le carceri di
politici s’accordavano con i loro capi, i capi dei perseguitati. L’ermeneutica
è stata a lungo scienza di giurisperiti, oltre che dei teologi lettori della
Bibbia, e ora dei materialisti storici. È la lettura dei significati impliciti.
Non necessariamente sospettosa, alla Freud: è esercizio d’intelligenza.
La polizia invece è torpida. Il nemico non è la
polizia, deviare l’ostilità su di essa sarebbe in artiglieria tirare
direttamente sul falso scopo, invece di utilizzarlo per prendere la mira col
goniometro. La polizia è neutra, la polizia non è lo Stato, noi siamo la
polizia. Ma poi lo Stato siamo noi: la politica vuole cose, e per ottenerle
deve individuare il nemico giusto. Il segreto fa
parte della storia. Della storia di tutti, la polizia arriva in questa corsa
seconda, e anche terza. I
Prefetti dell’unità hanno dalla loro Simmel – e anche la religione. Il segreto,
insomma la menzogna, eticamente cattiva, è sociologicamente utile.
L’occultamento ricercato, argomenta il sociologo, è una delle massime conquista
dell’umanità: “Tramite il segreto si ottiene un infinito ampliamento della
vita”. La protezione del segreto non dura a lungo. Ma esso “offre, per così
dire, l’opportunità di un secondo mondo accanto a quello rivelato, che ne viene
influenzato nel modo più intenso”. Il segreto è utile per proteggere un movimento
allo stato nascente: “Le società segrete costituiscono un’educazione altamente
efficace del nesso morale tra essere umani”. E comunque, “non è il segreto a
stare in connessione diretta con il male, ma il male con il segreto.
L’immoralità si nasconde”.
Il complotto è sempre materia di racconto
fantastico, ci si sente trasportati in un romanzo di av-venture. Ma non
innocuo.
Il complotto è magico. La magia ha il
senso dei rapporti tra le cose, il complotto il senso degli eventi, accomunati
dalla penetrazione del mistero. Il senso degli eventi di solito viene post
hoc ergo propter hoc, il prima spiega il dopo, logica a bassa intensità, ma
anche con lo hysteron proteron: si gioca d’anticipo. Per prevenire la
catastrofe, per provocarla? Il complotto è, era, della psicologia fascista. E
dunque? È l’eredita assurda della Rivoluzione dell’89.
Coscienza – La coscienza,
dice Kant, “è un’altra persona, in tribunale sarebbe il giudice”. Altra da sé,
“una persona ideale, che la ragione si procura da se stessa”. Ma questo giudice
ideale “dev’essere uno scrutatore dei cuori, perché si tratta di un tribunale posto
all’interno dell’uomo”. C’è allora da
stabilire cos’è il cuore, che non è il muscolo. È la coscienza? Sarebbe una
tautologia. Non sarà Dio? È così: “la delicatezza di coscienza” Kant dice “che
si chiama anche religione”.
Inferno - L’inferno è
per Platone invenzione del potere. Ma non c’era bisogno d’inventarlo, è
quotidiano: il desiderio di morire caratterizza le prime figurazioni, ebraiche,
dell’inferno.
Rivoluzione - È stata igienica con Semmelweiss, consumatrice col fordismo, una
sirenusa, e con l’automazione punta ora sul tempo libero. Ma non si può dire.
Tolleranza – Si vuole virtuosa, e anzi la virtù dell’epoca. Ma lo è solo nel
senso del Settecento, dei trattati sulla tolleranza intesa in senso religioso,
dell’accettazione di ogni fede. Individualmente e socialmente è virtù
aristocratica - uno dei meccanismi della
disuguaglianze: aristocratico (per natura, formazione, ruolo) è tipicamente chi
si sente superiore, e per questo accetta e tollera la diversità.
La
tolleranza come si configura oggi, di uno stato informe che oblitera o sottace
ogni individualità-diversità, di linguaggi, anche solo di nomi (non nomi
cristiani, islamici, buddisti, confuciani, insomma di riferimento religioso, né
nomi tribali, professionali, nobiliari), o di origine, o di stato (non più il
“capo”, né il “dirigente” e neppure il “responsabile”, ma referente, coordinatore),
è “decretale”, direbbe Rabelais:
jugulatoria, e giusta solo nella forma della giustizia carceraria. A cieli
aperti si direbbe dell’indifferenza. Ammesso che ci sia vita possibile in un
sistema relazionale dell’indifferenza, sociale o di scambio, o anche
dell’organismo semplice, individuale – una persona murata in se stessa?
zeulig@antiit.eu
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