Secondi pensieri - 465
zeulig
Avvenire –
“L’avvenire è vuoto e la nostra immaginazione lo riempie”, S. Weil affascinata
dal mito cortese apre “In che consiste l’ispirazione occitana”. Non è così
semplice, ovviamente.
Carboneria –
Si può dire l’assetto stabile della società italiana, dove pure nessuno ha mai
tenuto un segreto.
“Forse sarò stato l’ultimo viaggiatore in Italia”, scrisse Stendhal in
“Dell’amore”, 1822 legando il segreto e la reazione politica - ultimo
viaggiatore felice: “Dopo la carboneria
e l’invasione austriaca mai più uno straniero sarà ricevuto da amico nelle case
in cui regnava un’allegria sfrenata”.
Eugenio
Garin, lo storico della filosofia, trovava che il principio base dell’ermetismo
nel Rinascimento - e cioè dell’Italia - è che “ciò che è in basso è come ciò
che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per realizzare i
miracoli dell’unità”. È così nel ribellismo, carbonaro, italiano: repubblicano
e monarchico, socialista e sanfedista, diabolico e beghino. Il ribellismo della
bassa forza, all’origine, dell’esercito napoleonico, che in Calabria trovò
fertile humus, e da lì risalì a
Napoli e negli altri Stati italiani. Uccise Murat a Pizzo per conto del
Borbone, e poi si rivoltò contro il Borbone – finanziato dal principe di
Canosa, che del Borbone era ministro di Polizia.
Complotto - Un complotto ci dev’essere.
Poiché si sa, gli uomini quando non credono a Dio non è che non credano a
nulla, credono a tutto. E c’è bisogno di un potere da sbugiardare. Lo stesso
mito è pettegolezzo, stagionato, ripetitivo. Il cappellano di Kafka lo dice al
signor K.: “Non è necessario arrivare alla verità delle cose, basta ritenerle
necessarie”.
Senza paranoia, non è un complotto. Con è
il moto perpetuo, la quadratura del cerchio
Spesso
legato, un tempo, ai gesuiti, e poi alla massoneria – con recente insorgenza in
Gelli, la “massoneria deviata”. La
fratellanza viene
dall’epoca in cui la filosofia era dei
mugnai, sarti, ciabattini, muratori celti delle brughiere scozzesi, e dei
fabbri. Epo-ca democratica, il Cinque-Seicento, il mattino dei maghi. In cui un
catto-lico fondava la massoneria, l’architetto William Shaw, per tutelarsi tra
i calvinisti del re Stuart Giacomo VI. È laico solo il cristiano. Era un’idea
latina, il vangelo l’ha fatta propria, e poi la chiesa. Talvolta l’ha repressa,
talaltra l’ha difesa.
Vale in materia quanto il patriota Croce stabilisce: “Io me la prendo con la
Massoneria non già, come si fa d’ordinario, perché la giudichi perniciosa
accolta d’intriganti e affaristi, ma appunto perché quell’istituto, originato
sul cadere del Seicento, al primo fissarsi dell’indirizzo intellettualistico,
plasmato nel Settecento, messo ora al servizio della democrazia radicale,
popolato dalla piccola borghesia, rischiarato dalla cultura dei maestri
elementari, rafforzato dal semplicismo razionalistico del giudaismo, è il più
gran serbatoio della «mentalità settecentesca», uno dei maggiori impedimenti
che i paesi latini incontrino ad innalzarsi a una vera comprensione filosofica
e storica della realtà”. Dunque la “mentalità settecentesca”, dei lumi e della
ragione, è il complotto.
O sia
il complotto la storia vista dai camerieri. Per cui Lenin è un generale
tedesco, Hitler è, anche questo si sa per certo da Rolf Hochhuth, il papa Pio
XII, e la regina Elisabetta Churchill magro. Ci si è sempre chiesti che fine
avesse fatto Churchill. È storia sempre attraente. La Stazione
Finlandia è un bel plot, verrebbe un bel film, con Lenin nel vagone
piombato della Wehrmacht. Il vagone piombato è un avanzamento: nel precedente
della storia il principe Ferdinando, pretendente al trono di Bulgaria, era
rientrato a Sofia da Vienna nel 1913 nel gabinetto del treno, anche se si
trattava dello Orient Express, allora lussuoso. Un
altro tipo di storie vede l’oro mutarsi in piombo, il piombo in colomba, e la
colomba uscire candida da una pozza putrida, tutto in un soggetto e anzi in una
persona, spesso in unità di tempo e luogo. Alcuni schemi aiutano, del tipo “da
una parte dall’altra”, o “sia sia”, invece che “o o”. Sono logiche povere,
messe a punto da francescani e domenicani alle prese con l’Inquisizione. Ma che
il dogma tridentino, pur codificando il peccato, riconosce, per la complexio oppositorum del Cusano,
l’intelligenza non è netta. Alla fine non si stringe nulla, ma se piace è
divertente. È come allo stadio: si canta, si urla, ci si accoltella pure, senza
guardare la partita. Non è dunque la storia dei camerieri disprezzabile, come
Hegel vuole, e il conte Tolstòj, che mette le mani avanti - “non si può
essere grand’uomo per il servo, perché il servo ha un altro concetto della
grandezza”: si può essere camerieri e eroi.
Il complotto è, come il giallo, genere
democratico: ognuno è un detective, e
basta poco per creare golpe a diecine, ordinari. Ma il giallo si impone con
l’enfasi sulla giustizia, che è il fondamento dell’uguaglianza. Con la
democrazia delle stesse situazioni, verbosamente realizzata da Agata Christie,
che Eco tenta di nobilitare in induzione, che sarebbe poi la deduzione. Mentre
si sa che non è così, e nella sherlockholmesiana e nel noir se ne vedono
le tensioni, l’impossibilità pratica: la giustizia è l’in-giustizia. Il
sentimento della giustizia cioè è sconfitto. Non alla Manzoni, o alla Sciascia,
per l’ambiguità della storia o della provvidenza, ma per le pulsioni
invincibilmente perverse degli uomini, e delle donne, e per l’indigenza delle
istituzioni incorreggibile. Sciascia immagina il giudice pensoso, per un’idea
della giustizia astratta, da candido maestro di scuola. Ma nessuno autore vero
di gialli si attende nulla dai giudici. Il che ha a che fare con la giustizia –
che non è un fatto di tribunali – ma di più con l’enfasi anarchica che sta
all’origine della fortuna del genere. È
insomma un gioco, ha ragione Kipling. Divertente, pur coi tanti morti. Senza disprezzare
il fenomeno secondario: indurre la credenza pubblica, il regime politico è
ancora elettorale. Ma sui segreti non bisogna indulgere.
Progresso
–
Un’idea “non fondata in ragione”, secondo Simone Weil nella fase irenica,
occitanica, in piena guerra – “In che consiste l’ispirazione occitanica” è del
1942: “La si è legata alal concezione scientifica del mondo, mentre la scienza
gli è contraria, prorpio come la filofia autentica. Questa insegna, con
Platone, che l’imperfetto non può provenire dal perfetto né il meno buono dal
migliore. L’idea del progresso è l’idea di un parto per gradi nel corso del tempo,
del meglio dal meno buono. La scienza mostra che un accrescimento di energia
non può venire che da una fonte sterna di energia; che una trasformazione di
energia superiore in energia inferiore non si produce che come contropartita di
una trasformazione almeno equivalente di una energia superiore in energia
inferiore. Sempre il movimento discendente è la condizione di un movimento montante.
Una legge analoga regge le cose spirituali. Noi non possiamo essere resi
migliori, se no con l’influenza su noi di ciò che è meglio di noi”. E: “Ciò che
è meglio di noi, noi non possiamo trovarlo nell’avvenire. L’avvenire è vuoto e
la nostra immaginazione lo riempie. La perfezione che noi immaginiamo è a
nostra misura; è esattamente così imperfetta che noi stessi. Possiamo trovarla
nel presente, ma confusa col mediocre e il cattivo; la nostra facoltà di discriminazione
è imperfetta come noi stessi…”.
L’argomentazione logica è ineccepibile –
l’avvenire è il presente, il domani è sempre oggi. Ma poi resta il fatto, siamo
capaci di meglio. La medicina c’è, la chimica pure, e anche le conoscenze si
allargano, sia pure sotto il (deprecato?) segno della tecnica: la comunicazione,
l’alimentazione, le scienze stesse. Possiamo immaginare di meglio, in ogni
aspetto, e non solo desiderarlo, ma applicarsi a esso, sia pure vanamente, in
assoluto. Il progresso si può dire limitato, la filosofia non progredisce, per
esempio, ma è buon esercizio, e anche utile. Utile ai più, malgrado tutto.
Totalitarismo - La
politica si fa totalitaria in modo logico, perfino pulito. Col “ragionamento
glaciale” che Hitler vantava e Stalin ha esercitato, introdotto in filosofia da
Socrate. Arendt lo spiega in un appunto: “Se la filosofia occidentale ha sempre
sostenuto che la realtà è verità, adequatio rei et intellectus, il
totalitarismo ne ha tratto la conseguenza che noi possiamo fabbricare la verità
nella misura in cui fabbrichiamo la realtà”. Il dittatore totalitario non è
Attila né Napoleone, non rapina, neanche per le sorelle. È un demiurgo,
fabbrica realtà-verità, indifferente al rosso e al nero. E non per farci più
saggi ma per coinvolgerci “nel deserto delle proprie conclusioni e deduzioni
logiche astratte”. Il difetto è antico, stando a Bacone, che però è uno che
crede, pure lui, alla verità: è di Aristotele, il quale la fisica
fece dialettica, e la metafisica volle realista. Gli scolastici fecero peggio,
abbandonando l’esperienza.
zeulig@antiit.eu
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