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Complotto - Il complotto è oggi realtà per apporti plurimi.
Per essere il ricamo della storia, la traccia dell’antichista e del filosofo,
la partita a scacchi che ricostruisce e disegna la trama. L’ipotesi è la cosa
più sicura, tutto il resto è cao-s-uale. È la causa di Heisenberg - o ne è
l’effetto. Il principio d’indeterminazione, Wittgenstein
vi s’imbatté senza riconoscerlo: criticare è perturbare, analizzare è
trasformare, riflettere trasforma il problema. È come in artiglieria, molto
influisce l’osservatore. E il percorso: i venti, le ondulazioni del terreno,
gli effetti ottici. Per l’impossibilità accertata di subordinare la verità di
un enunciato al suo assetto formale. Ci sono tante verità quanti sono i
percorsi per arrivarci. Lo sa per primo lo scrittore, la cui opera varia per le
stesse condizioni materiali dello scrivere, oltre che per lo stato di salute e
l’umore. Freud, dice Auden, “in nome suo viviamo ormai
vite diverse” – anche se, Woody Allen l’ha scoperto, a tenerlo su è l’industria
dei divani. Un percorso
è l’irriducibilità del caso o del disordine. E poi? Niente, non si esce dall‘unitas
multiplex, il complotto eccolo qua. E si creano martiri, non per la
causa, per il nemico. È straordinario.
Il
complotto è francese, e senza radici. Affiora nel Duecento per “assembramento”. Entra nel
vocabolario politico, e nell’italiano, nell’Ottocento: “La voce s’è diffusa
durante la Rivoluzione”, dice il Battaglia. Anche prima veramente, con
Rousseau. Ma da destra, l’Enciclopedia Sovietica non ne parla. E di una certa
destra: non c’è nella Treccani di Gentile, che salta dalla Compiuta Donzella
dei Siciliani a Compluvio. È invece l’idea del mussulmano Guénon, secondo il
quale l’irruzione della modernità nel Cinquecento, con la scoperta dell’America
o con la Riforma, in aspetto di razionalità, è dovuta a un colpo di mano
architettato in segreto. Non dice da chi. Ma pochi mezzani restano. Se Dio s’è
ritirato dal mondo (Hegel), con la Tradizione (Evola) e la Filosofia
(Heidegger), non si capi-sce cos’è avvenuto in questi due secoli, né dove la
Storia si nasconda.
Ma in ogni
complotto c’è un che d’infantile. È stato detto e sarà vero: il complotto
piace. Per la sua natura di giallo, che spiega ogni cosa senza dover essere
vero. Una scuola vuole del resto il giallo, e dunque il complotto, in ogni
forma logica, per il vincolo di causa ed effetto. La colpa di Heisenberg
sarebbe di volercene privare, così presto - è appena un secolo, uno e mezzo con
Poe, che l’umanità si gode il giallo e la logica. Ma questo è il limite
dell’epagoge, inductio, che necessita di una quantità di cose per porre il principio
logico, universale. Quante devono essere le cose – quando il granello si fa
sorite? Per un esito che si può sempre rovesciare. Si può pensare un giallo
fatto di deduzioni e controdeduzioni, che si alternano per duecento pagine,
quanto il romanzo si vuole lungo. O di un monte di fatti cui un altro monte di
fatti si contrappone. Ma questo è altro genere letterario, il volgare “visto
dall’uno visto dall’altro”. Né vale l‘inverso, l’apagoge, che non è, pur
forbita, onesta ed è molesta. Ne è maestro Socrate, di cui Atene si liberò con
sollievo. L’apagoge è l’abduzione, tecnica avvocatesca: si assume la tesi
dell’interlocutore per vera, per poi, unendola ad altre proposizioni note per
vere, dimostrarla palesemente falsa, in contrasto con la natura delle cose
(argomento ad rem) o con altre affermazioni dell’interlocutore
(argomento ad hominem). Si dice che Sherlock Holmes ne è maestro, e
invece evidentemente la evita.
Grecia – Una
civiltà di pontieri, per Simone Weil in guerra, nel 1942, nutrita dall’utopia
occitana (“L’ispirazione occitana”), tra il “messaggio dell’Egitto” e “la sua rivelazione propria: la rivelazione
della miseria umana, della trascendenza
di Dio, della distanza infinita tra Dio e l’uomo. Ossessionata da questa
distanza, la Grecia non ha lavorato che a costruire dei ponti. Tutta la sua
civiltà ne è composta. La sua religione dei Misteri, la sua filosofia, la sua
arte meravigliosa, la scienza che è la sua invenzione propria e tutte le
branche della scienza, tutto queste cose furono dei ponti tra Dio e l’uomo”.
“Per
l’Egitto” il percorso a Dio “fu la carità del prossimo, espressa con una
purezza che non è mai stata sorpassata: fu soprattutto la felicità immortale
delle anime salvate dopo una vita giusta, e la salvezza per l’assimilazione a
un Dio che aveva vissuto, aveva sofferto, era morto di morte violenta, era
divenuto nell’altro mondo il giudice e il salvatore delle anime”.
Sogno – Una ruminzione di immagini. L’unico connettore delle immagini oniriche è di un’attività cerebrale
automatica alla rinfusa, non governata dalla ragione allo stato cosciente, del
complesso degli stimoli cerebrali creati dall’istruzione, dall’imprinting, dai
meme, dall’esperienza (dal vissuto).
Connessioni casuali, disordinate, intermittenti (incompiute, non
significanti, non concettualmente, lacerti di “discorso”, con le collegate
sensazioni di piacere, fastidio, ansia, paura. Collegate non a un disegno\discorso
compiuto ma a frammenti, disomogenei. E solo quando i frammenti convergono verso
una sensazione unica, di sorpresa, piacere, sofferenza, paura possono avere (si
può loro dare) un senso nella veglia.
Lo stato di veglia può influire sul sogno se gli stimoli cerebrali
convergono, in misura e per tempo prolungati, su un oggetto-tema-sensazione.
Sia il sogno di stamani, piccolo incubo, breve e acuto, dell’automobile che non
ritrovo dove l’ho parcheggiata, della ricerca affannosa, in un ambiente urbano
notturno, illuminato fiocamente, dove la gente affluisce per divertirsi, finché
non la trovo, con le ganasce, messa di traverso sopra un marciapiedi, di un
viale solitario e buio. Si può dare al sogno valore-i simbolico-i, ma il breve
incubo viene dopo giorni di astio contro i vigili urbani, per una multa
sbagliata e comunque eccessiva, di soldi e punti, per un’interpretazione
volutamente (tra ghigni e lazzi, di vigili donne peraltro) sbirresca del codice
che alimenta indignazione e rabbia, e voglia di rivalsa, che però si sa
impossibile perché “il Prefetto dà ragione ai vigili” (avvocato). Per che altro
si sognerebbe, di primo mattino, prima del risveglio, la macchiana bloccata
dalle ganasce, di notte, in sosta in un viale deserto?
Sublime – La nozione di un errore. Non falsa, non necessariamente, ma curiosa. Un errore di attribuzione fertile, a Cassio Longino, il retore del III secolo d.C., consigliere e insegnante di greco della regina Zenobia di Palmira, maestro di Porfirio e interlocutore di Plotino (ma non convertito al platonismo), condanno in fin di vita dall’imperatore Aureliano, quello che introdusse a Roma il culto del Sol invictus, cioè di Mitra, per suggerimenti d’indipendenza da lui avanzati alla regina Zenobia. Diventato famoso per l’attribuzione del trattato “Del sublime”, presto però riconosciuto non suo. e tuttora di anonimo. Che peraltro non era il sublime in arte, ma di qualcosa – hypsos è vetta, cima - che sfidasse il cielo. La versione secentesca di Nicolas Boileau lo renderà tema obbligato dei Lumi. e di Burke, Kant, Hegel, e una pletora successiva - fino a Lyotard: “rappresentare l’irrappresentabile”.
zeulig@antiit.eu
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