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Un Marchionne piccolo piccolo
Una iniezione di
voglia di vivere. Da un uomo venuto dal nulla e creatore di un gruppo competitivo
in un settore intasatissimo, ribaltando la vecchia Fiat e la fallita Chrysler in
aziende di successo, immediato. Come per tocco magico.
Ma un film
curioso. Dà risalto alla capacità di Marchionne di risuscitare cadaveri industriali.
E con rapidità, e con semplicità: parlando con le persone, analizzando i
problemi, trovando le soluzioni – le più semplici le più efficaci. Specie negli
incisi in inglese, lingua che evidentemente ne favoriva la sintesi: dice sempre
molto, in poche parole, nessuna sbagliata. Ma le testimonianze sono limitate.
E concentrate su uno o due leitmotiv. Mentre il personaggio è di molti aspetti.
Nulla sui genitori, specie la madre istriana. Sui loro molteplici trasferimenti.
Sulla sorella maggiore, specialista di italianistica, morta a trent’anni o poco
più. Sullo sradicamento, improvviso, violento, a quattordici anni, da Chieti al
Canada.
Poco anche, di fatto,
sulla sua esperienza di manager. Specie al confronto, che sarebbe risultato
molto lusinghiero, con la Mercedes. Chrysler, che Marchionne ha riportato sul
mercato in pochi mesi, era stata gestita per dieci anni dalla Mercedes - prima
di Fca, Fiat Chrysler Automobiles, c’era il gruppo Daimler-Chrysler. Di cui
aveva minacciato l’integrità finanziaria, tanto i manager Mercedes non erano riusciti
a farla lavorare – da qui l’abbandono. Ed erano manager di gran conto: Jürgen
Schrempp, artefice della fusione, in quegli anni, tra Novecento e Duemila, era “l’onore
della nazione”, il manager più miracoloso di tutti i tempi della storia
tedesca. E Dieter Zetsche, che gli succederà a capo della Daimler dopo il
disastro Chrysler.
Francesco
Micciché, Sergio Marchionne. Il coraggio di contare, Rai 3
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