sabato 9 gennaio 2021
Mps con Bpm e Bper, Unicredit si tira fuori
Perché non Bpm, Bper e Mps insieme per colmare il buco senese? Tre grandi banche regionali, con territori contigui. Tre banche popolari, di origine mutualistica (anche Mps in larga misura lo era, proprietà della Fondazione, fino agli sciagurati aumenti di capitale del governo Renzi-Padoan). Tre gruppi medi, di dimensioni analoghe, per una fusione alla pari. Tre gruppi dem, che non guasta – di quelli che “abbiamo la banca” ma anche degli altri.
Giornalista e gentiluomo
Peppino Turani muore giovane perché è la sua
natura: curioso e intraprendente il giusto, di garbo e simpatia. Giornalista
all’erta, come usava, capace di valutare e spiegare, ma senza fisime o albagie.
Di acume ed equilibrio straordinari nel suo campo di attività, i fatti economici,
che è complesso e anche minato. Commensale sempre gradevole, pur avendo scelto
la singletudine (la volta che si avventurò in compagnia fino a Lisbona, prese
subito l’aereo di ritorno) – o forse per questo.
Fu autore nel 1974 non secondario con Scalfari
de “La razza padrona”, un’inchiesta fondamentale per gli assetti della
Repubblica. Su “La razza padrona” Scalfari ha edificato un ruolo pubblico e il
suo giornale. Turani ne fu tenuto ai margini, niente ruoli, pochi spazi, e poi
allontanato - non in linea. Ma non perse il buonumore.
Lo si figura bonario e acuto anche in morte.
Si può morire felici, di avere bene vissuto. Con intelligenza e disponibilità:
per il bene del suo mestiere, della sua città, la Milano degli affari, dei
compagni di lavoro o di passatempo.
Sartre a nudo
“Il dramma dei suoi ultimi anni”,
di Sartre, una lettura mozzafiato. Un decennio di decadimento fisico, quasi
ricercato, tra alcol e fumo. Raccontato da una delle sue tante donne, la più
fedele malgrado tutto, la più avvertita e compassonevole – e migliore
scrittrice. Che ne fu la badante per tutto il lungo declino. E diretta, non
addolcisce la minestra dopo: “Il dramma dei suoi ultimi anni”, a partire dal
1970, dai suoi 65 anni, “è la conseguenza della sua vita tutta intiera. È a lui
che si può applicare la parola di Rilke: «Ognuno porta la sua morte, in sé,
come il frtto il suo nocciolo»”.
Un racconto compassionevole, o onesto, “La
cerimonia degli addii”. Sartre, quasi cieco, resta attivo nelle discussioni redazionali
alla sua rivista “Le Temps Modernes”. ma non può scrivere, né leggere – gli legge
il pomeriggio Simone de Beauvoir.
Nei “Colloqui” Simone de Beauvoir
interroga Sartre a lungo sull’infanzia e su ogni altro aspetto della sua vita,
privata e di scrittore, sul mondo, se non va a cambiare radicalmente, presto,
per esempio nella concezione della letteratura, e sulla letteratura, il
mestiere che gli sta a cuore. Non la filosofia, benché sollecitato: i concetti
per cui Sartre è Sartre, la continenza, la ricorrenza, l’immigrato, il partito,
sono inerti. Il debutto in letteratura, che qui più ricorre, con “La nausea”,
fu d’altronde rifiutato dalle case editrici, fu Simone a sostenerlo e imporlo.
Molto ricorrono gli amici, le amiche, la malattia, la
vecchiaia, che rifiuta, malandato e tutto, e quasi non autosufficiente, la boxe
(alla Scuola Normale…, in palestra, con incontri anche da dilettante), Camus,
Merleau Ponty, Aron. Il rifiuto per tutta la vita del pomodoro e della frutta. L’abuso
degli eccitanti, anfetamine e altri prodotti – “ne ho abusato molto, per
vent’anni”, scrivendo di filosofia, spesso tutto il tubetto, venticinque
compresse ingurgitate insieme la mattina. Con una crisi, nel 1958, “abbastanza
grave”. De Beauvoir: “Scrivevate al galoppo, pensavate più veloce di quanto
scrivevate”. Sartre: “Correvo, prendevo non una pasticca di corydrane ma dieci
alla volta… un tubetto d’ortedrina mi faceva un giorno”. Manca, curiosamente, il
rapporto con la madre, con cui pure ha voluto vivere da adulto - a parte il
rifiuto del patrigno.
Ma, poi, tanto pensatore, all’epoca
“maoista”, nel 1974, l’anno dei colloqui, prima e dopo, la rivoluzione prospetta
in riferimento ai Russi, ai Cinesi. E questo la dice tutta sul giudizio
politico, sul giudizio di Sartre. Appunti
non costruiti, ma danno questa idea: Sartre non ne esce bene - non da eroe, da
“Pardaillan”, come si fantasticava da bambino con questo nome di eroe inventato.
La “Cerimonia”, scandita anno
dopo anno dal 1970 al 1980, è stata scritta dopo la morte di Sartre, su
appunti che Simone de Beauvoir aveva via via evidentemente preso, tanto sono
dettagliati e vividi, giorno per giorno. Le lunghe “Conversazioni” (che in
questa traduzione danno l’impressione di essere state abbreviate) sono state registrate
in albergo a Roma nel 1974, la solita vacanza romana di agosto-settembre di de
Beauvoir e Sartre.
I due racconti sono anche una storia,
tra le righe, delle tante donne, qui soltanto nominate, che accudiscono Sartre,
comunque gli si accompagnano anche nel crollo fisico: Michelle Vian, Olga e
Wanda Kosakiewicz (Wanda, amante di Sartre, ebbe una storia con Camus, e questo fu fra le cause del distacco fra i due), Liliane Siegel, a Roma nel 1979 “una
giovane americana”, la giovane greca Melina, che era venuta a Parigi per uno
studio su Sartre. Questi a un certo punto la dice “troppo interessata”, spiega
di averle dato “un po’ di denaro per vivere”, e di averla allontanata. Ma c’è
anche dopo. “C’erano molte donne nel su entourage”,
nota de Beauvoir nel 1977: “Le sue vechie amiche, nuove amiche. Mi diceva con
un tono gioioso: «Non sono mai stao così attorniato dalle donne»”. Con quella
che sarà la sua figlia adottiva, Arlette Elkaïm, studia l’ebraico.
Ma ancora nel 1978 de Beauvoir
nota: “Frequentava sempre molte giovani: Melina”, la ragazza greca che l’anno
prima aveva deciso di lasciare, “e numerose altre. Siccome un giorno si
lamentava di lavorare troppo, gli ho detto ridendo: «Troppe giovani». «Ma mi è
utile!», mi ha risposto. E in effetti penso che ad esse che doveva molto il
gusto di vivere. Con un compiacimento ingenumi ha dichiarato: «Non sono mai
piaciuto tanto alle donne»”. Donne che anche manteneva. Nel 1978, nota ancora de
Beauvoir, “versava regolarmente ogni mese somme abbastanza consistenti a
giovani persone”. Si faceva rifornire dalle giovani amiche di whisky e vodca, e
li nascondeva dietro i libro o in un cassetto.
A Olga, apprendiamo, ha scritto
una lettera di dodici pagine su Napoli – non confluite in “La regina Albermarle”,
la compilazione postuma degli scritti di Sartre su Napoli e Venezia. Olga Kosakiewicz
aveva sposato Jacques-Laurent Bost, che era stato amante di Simone de Beauvoir,
e la coppia è in rapporti molto amichevoli con Sartre e Simone, li vanno a
incontrare anche a Roma. Da ragazza era stata circuita al liceo da Simone de
Beauvoir professoressa, e a un certo punto aveva lamentato che il rapporto a
tre, con de Beauvoir e Sartre, l’aveva danneggiata psicologicamente. Come le coetanee
Bianca Lamblin (ci scriverà sopra, dopo la morte di Sartre e de Beauvoir, un libro
indispettito, ma circostanziato, “Mémoires d’une jeune-fille dérangée”) e
Natalie Sorokin. Su denuncia della madre di quest’ultima, Simone era stata sospesa dall’insegnamento nel 1943 – sarà riabilitata ala
Liberazione, ma non insegnerà più.
Si glissa sull’adesione al Pcf,
il partito comunista francese, nel 1952. Dopo tutto quello che Sartre aveva
scritto contro lo stesso partito per il caso Nizan – e che riprenderà a
scrivere dopo la prima rottura col Partito, nel 1956. Un rapporto a più
riprese, un lascia e prendi. Ma con una costante: ogni anno Sartre farà un
viaggio in Russia, ospite del Pcus, il partito comunista sovietico, fino al
1965.
Si fa la questione dei premi, che
Sartre dice di non aver mai voluto accetare per principio, a aprtire dalla
Legione d’onore, il cavalierato francese. E naturalmente si parla del rifiuto
del Nobel nel 1964 (che veniva otto anni dopo il Nobel a Camus….). De Beauvoir
ricorda che un premio l’ha accettato, in Italia, del Pci, con soldi. Sartre ne
dà una curiosa motivazione – ricordando che altri piccoli premi li ha accettati,
“per esempio uno nel 1940, un premio populista”, quando era mobilitato: “Non me
ne fregava niente di un premio populista, dato che non avevo assolutamente
niente in comune con gli scrittori populisti. E così ho accettato”. Il Pci
premiava “chi, durante l’occupazione, aveva dato prova di coraggio e
d’intelligenza”. Il premio, “evidentemente, non era del tutto conciliabile con
la mia teoria”, spiega, ma “i comunisti italiani mi piacevano molto”. Che il
premio, a lui che non aveva fatto la Resistenza, venisse su indicazione di
Mosca non lo sfiora nemmeno.
Sobrio e anzi reticente sugli
Schweitzer, la famiglia materna, di alsaziani cattolici intransigenti. La madre
che pure adorava. Il nonno, che l’ha cresciuto. Il cugino della madre poi
famoso, il dottor Albert Schweitzer. Di cui non ricorda nulla, limitandosi a
dire del nonno: “Stimava il nipote ma non lo capiva”.
A parte le donne, una vita a
caso. Alla filosofia arriva per caso, benché allievo all’Ècole Normale di
Alain, e compagno e amico di Merleau-Ponty e di Aron. Per letture casuali,
durante l’anno passato in Germania, di Heidegger, qualche pagina, e di Husserl. Tutta
la sua formazione cuturale fa sembrare casuale, da autodidatta. Compra i primi libri quando
va ad abitare con la madre rimasta vedova, in rue Bonaparte, dopo il 1945, nella casa che lui le ha comprato, quindi a quarant’anni. E li acquista in “edizioni complete”, tutta Colette, tutto
Proust. Il primo viaggio all’estero fa con Simone de Beauvoir, a 28 anni, in
Spagna, invitati e ospiti di Gérassi. Ma la guerra di Spagna li lascerà indifferenti,
allora e nel ricordo. Entra nella Resistenza tardi, prima della Liberazione,
nel gruppo di Camus. Che all’epoca è quello che si potrebbe dire un amico – passavano
le serate insieme, giravano per i locali, bevevano. L’amicizia però dice sconoscuta,
dopo Nizan - Simone de Beauvoir gli attribuisce come amici due suoi ex amanti,
Bost e Lanzmann, e Camus. Anche con le donne, la cui compagnia pure predilige.
Mme Morel, la madre di un ragazzo a cui il suo amico Guille dava ripetizioni e
ne era diventata l’amante, e con lo stesso Sartre aveva avuto qualche
“colloquio riservato”, dice “la sola amica donna che ho avuto”. Fin da ragazzo,
per il senso acuto di essere brutto, e perciò solitario. Il rapporto con gli
altri vuole aggressivo piuttosto che passivo – e in questo rapporto, il
rapporto con gli altri, “sentirsi belli”, essere “bene nella propria pelle”. Dà
mance enormi, gli fa osservare Simone, perfino ridicole. Di tutte “le sue donne”,
solo con una, “la più notevole” (probabilmente quella detta “Camille”, Simone
Jollivet, una escort in una casa di tolleranza di lusso di Toulouse, quando
Sartre vi insegnava), ricorda di avere avuto “rapporti egualitari”. Ha accettato
solo tre inviti “sociali”, dice – “a pranzo fuori”. Di Genet, con cui ha
pranzato fuori, ricorda “il cattivo odore”.
A parte le donne, una vita a
caso. Alla filosofia arriva per caso, benché allievo all’Ècole Normale di
Alain, e compagno e amico di Merleau-Ponty e di Aron. Per letture casuali,
durante l’anno passato in Germania, di Heidegger, qualche pagina, e di Husserl. Tutta
la sua formazione cuturale fa sembrare casuale, da autodidatta. Compra i primi libri quando
va ad abitare con la madre rimasta vedova, in rue Bonaparte, dopo il 1945, nella casa che lui le ha comprato, quindi a quarant’anni. E li acquista in “edizioni complete”, tutta Colette, tutto
Proust. Il primo viaggio all’estero fa con Simone de Beauvoir, a 28 anni, in
Spagna, invitati e opsiti di Gérassi. Ma la guerra di Spagna li lascerà indifferenti,
allora e nel ricordo. Entra nella Resistenza tardi, prima della Liberazione,
nel gruppo di Camus, all’epoca quello che si potrebbe dire un amico – passavano
le serate insieme, giravano per i locali, bevevano. L’amicizia però dice sconoscuta,
dopo Nizan - Simone de Beauvoir gli attribuisce come amici due suoi ex amanti,
Bost e Lanzmann, e Camus. Anche con le donne, la cui compagnia pure predilige.
Mme Morel, la madre di un ragazzo a cui il suo amico Guille dava ripetizioni e
ne era diventata l’amante, e con lo stesso Sartre aveva avuto qualche
“colloquio riservato”, dice “la sola amica donna che ho avuto”. Fin da ragazzo,
per il senso acuto di essere brutto, e perciò solitario. Il rapporto con gli
altri vuole aggressivo piuttosto che passivo – e in questo rapporto, il
rapporto con gli altri, “sentirsi belli”, essere “bene nella propria pelle”. Dà
mance enormi, gli fa osservare Simone, perfino ridicole. Di tutte “le sue donne”,
solo con una, “la più notevole” (probabilmente quella detta “Camille”, Simone
Jollivet, una escort in una casa di tolleranza di lusso di Toulouse, quando
Sartre vi insegnava), ricorda di avere avuto “rapporti egualitari”. Ha accettato
solo tre inviti “sociali”, dice – “a pranzo fuori”. Di Genet, con cui ha
pranzato fuori, ricorda “il cattivo odore”.
Egotista, senza
convinzione: “Non voglio essere l’adulto maschio”. E: “Non sono nemmeno un
adulto, sono uno della terza età”. Passerà quattro mesi in America, ospite di
un programma americano per l’opinione europea, nel 1944, da dove avrebbe
scritto delle corrispondenze, forse per “Le Figaro” (ma qui figura inviato per
“Combat”, il giornale di Camus, su sollecitazione dello stesso Camus con
l’ambasciata americana), senza sapere l’inglese, e senza impararlo. Ora col
ricordo di una serie impressionante di lavori non portati a termine, non conclusi – lo stesso
capolavoro, le mileduecento pagine su Flaubrt, “l’idiota della famglia”,
sarebbe rimasto a metà. Mentre manca del tutto il ricodo di “Orfeo negro”, il saggio
del 1948 con cui introduceva l’“Anthologie de la poésie nègre et malgache” di Senghor,
che fece epoca: del razzismo antirazzista.
Un Sartre rimbambito che obietta
sempre: “Mi credi rimbambito ma non è
vero”. E: “Mai mi sono sentito vecchio”. Vittima anche di cure e medicamenti
sbagliati – tra essi ce ne furono che portavano all’incontinenza urinaria e al mancato
controllo degli intestini. Si fa coccolare dalle donne, amanti o ex, che a
turno lo accudiscono durate tut la giornata, nei vari giorni dela settimana, perché,
dice, gli piace “dipendere”. Di ego sempe immenso – che giustifica: “Troppo ogoglioso
per essere vanitoso”.
Con moltissima politica. Ma
confusa. Manca in generale l’ambientazione: l’epoca, gli eventi, chi è chi. Molto
Sartre discetta della libertà. Ma cose come “liberale è una parola ignobile”.
Salvo viaggiare ogni anno, invitato, a Mosca fino per una dozzina di anni - e nel 1968 intrupprsi
entusiasta con i “mao”, i gruppi comunisti
di obbedienza cinese post-Sessantotto. E non spiegare mai, se non per aneddoti
disinvolti, l’adesione al Pcf e alla ragioni di Mosca Della Resistenza, che non ha fatto, dà un
quadro paradossale: “Alla Liberazione, ho sentito che le forze liberate erano
della stessa natura delle forze naziste,
non che avessero gli stessi scopi, che utilizzassero procedimenti come
l’assassinio di milioni di Ebrei, di milioni di Russi; ma la forza collettiva,
l’obbedienza agli ordini era della stessa specie. E l’esercito americano che arrivava
in Europa apparve a molti, me tra essi, come una tirannia”. Si può dire Sartre
la personificazione nefasta – ambigua – dell’“impegno”. In altro scritto peraltro,
quello su Veneza (pubblicato di recente in ora in “La regina Abermarle”) il teorico,
appena sei anni prima, dell’impegno, così lo irrideva: “Tutti militano oggi, è
la regola: ho visto vecchie carcasse sfinite reimpegnarsi per dieci anni
nell’«Arte per l’Arte» per militare contro l’«Arte impegnata». Si è militante o
miliziano o militare”.
Un curioso quadro, a effetto, questo
delle seicento pagine dei “Colloqui”: si passa da sorpresa in sorpresa. Anche
per i ruoli assunti per l’occasione dalla coppia, perfino esagaratamente
definiti, squilibrati: il genio e l’interprete, il maestro e l’allieva, il re,
anche capriccioso, e la serva paziente, il paziente e la badante – il paziente
pieno di sé.
Simone de Beauvoir non ha buona fama
in molto femminismo, mangiatrice d’uomini e di ragazze, “interessata” a un
rapporto con Sartre – le sue stesse biografe sono perplesse. Ma è certamente
forte scrittrice, si continua a leggere con interesse. Qui capitalizza Sartre, senza
dubbio, ma lo fa lasciandone due quadri memorabili – che si possono leggere
anche non avendo letto Sartre, qualora Sartre non si leggesse più.
Simone de Beauvoir, La cerimonia degli addii. Seguita da
“Conversazioni con Jean-Paul Sartre”,
Einaudi, pp. 540
venerdì 8 gennaio 2021
“Sanpa”, o giù le mani dai fondi per la tossicodipendenza
Fa
senso leggere la mattina il ricordo di Natalia Aspesi su San Patrignano
https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2021/01/06/news/quella_madre_che_affido_a_muccioli_il_figlio_perduto-281445911/
e
vedere la sera la serie “SanPa” con cui Eleonora “Tinny” Andreatta, neo
direttrice della produzione italiana ed europea di Netfix, debutta in rete.
L’intelligenza delle cose, da parte di due donne colte e intelligenti, Aspesi e
Romilda Bollati, che “tutto” divideva
dal bifolco Muccioli, famiglia, cultura, politica, e il cinismo delle due donne
di “Sanpa” – con Andreatta la regista Cosima Spender.
Ricordando
qualcosa delle vicende della serie (i
processi di Bologna contro Muccioli, nel 1983 e nel 1994), si resta allibiti di
fronte all’uso che il duo Andreatta-Spender fanno di testimoni falsi - e
condannati, a differenza di Muccioli (fra tutti Delogu padre). Com’è possibile?
O
sì? I processi furono notoriamente l’arma con cui la “ditta” – direbbe Bersani
- catto-comunista emiliana e italiana, metteva le mani avanti sui fondi per la
tossicodipendenza – il pezzo forte del nascente “terzo settore” o del “volontariato”.
Da cui le varie comunità subito stradotate di don Liegro, Gelmini, Mazzi, Picchi,
e altri. Danno fastidio anche i rimasugli di volontariato non allineati? Buon
sangue non mente, da Andreatta padre a Andreatta figlia? Che cosa non si fa per
vendere (Netflix)? Comunque una brutta azione – ma il paradiso è dei credenti?
L’autore da giovane, è tutto Gogol’
Le due raccolte di novelle che
Gogol’ pubblicò a ventidue anni, a nome dell’“apicultore Rudyi Pan’ko”, per
sfuggire al malocchio dopo il fallimento del debutto in versi, “Hans
Kjuchel’gaten”, due anni prima (insieme con un inno “All’Italia”. Il successo fu istantaneo, e i racconti durano, “La sera della vigilia
di san Giovanni”, “La notte di Natale”, “La notte di maggio, o l’annegata”, “La terribile vendetta”.
Con una divertita e divertente
presentazione di Malcovati. Di un mondo che sorprende, nell’attuale deserto: vivo
tanto quanto remoto, vecchio, sconquassato. Anche se oberato in questa
traduzione dal vezzo di lasciare in originale parole ricorrenti, e necessarie, zaporožecy et al (zaporožec dal
distretto di Zaporož’e, sì, ma…).
Una decina di racconti, in due
volumi, in cui tutto è rivolto a ridere, le scemenze come le tragedie. Anche la
notte santa, trasfigurata in un sabba, bonario, di diavoli minuscoli e onesti
ubriaconi, in cui il fabbro Vakula ricorre al diavolo per sposare l’innamorata,
facendosi da lui portare in volo dal principe Potiomkin e dalla zarina
(Caterina), per avere copia delle imperiali scarpette richieste dalla
capricciosa amata - il desiderio impossibile per allontanare il matrimonio.
Sono le tracce dei futuri racconti
famosi, “Le anime morte”, “Il revisore”, “Taras Bul’ba”, “I racconti di
Pietroburgo”. Che fanno un grande libro sul diavolo, così lo presenta Malcovati giustamente:
“Mai più Gogol’ si divertirà”, e divertirà, “tanto a inventare dispetti,
astuzie, tranelli e trappole, frottole e malignità per i suoi diavoli”. Di una
religiosità già risolta. Semplice cioè e irriducibile: il diavolo le tenta
tutte ma basta il segno della croce a sconfiggerlo. Ne “La terribile vendetta”,
il racconto in cui il male colpisce tutti, alla fine è Dio in persona a spiegare
che questo è l’esito dell’umanità quando ha scacciato compassione, generosità,
perdono. Anche in fatto di donne c’è già il Gogol’ maturo, dall’amata capricciosa
del fabbro, alla “strega”, la madre “quarantenne” del fabbro, che tutti gli
uomini in età ammalia la notte, e tutti mette nel sacco - letteralmente.
Nikolaj Gogol’, Veglie alla fattoria presso Dikan’ka,
Bur, pp. 285 € 10
giovedì 7 gennaio 2021
Il mondo com'è (419)
astolfo
Anversa – Anvers in
francese (e quindi Anversa in italiano), ma di altra radice in originale latino
e in fiammingo e derivati: Antverpia per i Romani, quindi Antwerp, nome
attuale, Antwerpen in fiammingo, Hand werpen in olandese, Hand and Wearpan in
Old English. Che non si sa cosa significhi, a meno che non sia buttare o
tagliare le mani. Eroe eponimo della città è un Silvio Brabo (Brabone), cui una
statia è dedicata al centro della Grande Piazza cittadina. Un soldato romano
che avrebbe liberato la Schelda, il fiume cittadino, dal gigante Druon Antigoon, uno che esigeva un
tributo dalle navi di passaggio, e da chi attraversava il fiume, su
imbarcazione o a piedi sul ponte, pena il taglio di una mano, che buttava nel
fiume.
Catone – Il Vecchio, il
Saggio, il nemico del lusso e delle donne, l’aspro censore della cosa pubblica, aedo della ruralità, era uno speculatore, sulle rendite fondiarie e su quelle finanziarie (sulle
assicurazioni dei noli).
Dittatura del proletariato – Ha dominato
mezza Europa per buona parte del Novecento, ma nasce casuale. La Comune di Parigi nel 1871
entusiasmò Marx, che v’intravvide “una leva per scalzare il dominio di classe”,
e Engels identificò nella temporanea “dittatura del proletariato”. Il popolo di
Parigi è forcaiolo, e Marx, che anzitutto era uno storico, lo sapeva. Lenin ha
poi esautorato i consigli e le fabbriche per dare il potere al partito, la
rivoluzione non ha cambiato la società, solo i funzionari.
Ma la dittatura del
proletariato Marx sapeva repressiva e voleva breve, come la dittatura di Roma
repubblicana. E non ha mai pensato all’assassinio politico, che in alcuni casi,
pochi, è anarchico, e sempre è strumentale al bonapartismo, al golpe – alla reazione.
Israele
– A lungo è stata tenuta in punta di bastone dall’Onu, benché appoggiata da
almeno tre dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, Stati Uniti, Gran Bretagna
e Francia. Fino al 1974 l’Unesco non riconosceva Israele. A fine 11975 una
risoluzione Onu assimilò il sionismo al razzismo.
Nel 2011, quando fu la
Palestina ad essere ammessa alì’Unesco, a stragrande maggioranza (Italia astenuta,
insieme con Gran Bretagna e altri 50 paesi, 14 i contrari, tra essi Sati Uniti,
Germania e Canada, 107 a favore, la Francia con i paesi arabi, l’Africa e l’America
Latin), Israele ha definito la decisione “una tragedia”. E ha avviato, di
concerto con gli Stati Uniti di Obama, una contestazione legale, sospendendo i
contributi annuali al funzionamento dell’organizzazione. La sospensione è stata
tramutata in recesso, sempre d’intesa con gli Stati Uniti, ora di Trump, nell’ottobre
del 2017 – il procedimento si è concluso a fine 2018.
Manomorta - I rivoltosi di
Bronte che Nino Bixio fece fucilare non erano contadini affamati ma professori,
avvocati, medici e medi proprietari che volevano le terre della duchessa in
base alle leggi antifeudali del 1848. C’erano “squadre popolari” ma finanziate
dai possidenti agiati.
Due
anni dopo, a fine 1862, la Commissione parlamentare sul brigantaggio ne
indicherà la causa nei “ritardi nella ripartizione delle terre pubbliche”. Ma,
malgrado le fucilazioni di Bixio, non ci fu soluzione di continuità: l’avidità restò
senza limiti con l’unità, e anzi si allargò con nuove leggi per l’appropriazione
dei beni ecclesiastici e collettivi. La borghesia italiana si costituì a questo
modo, da qui il suo carattere saprofita e non di iniziativa, specie al Sud ,
nell’ex Regno borbonico: si appropriò della manomorta senza pagare niente allo
Stato, o poco più di niente, e del demanio destinato a usi civici, di pascolo e
coltivazione.
Masaniello – Avviò la nascita
del Belgio. “La muta di Portici”, o “Masaniello”, l’opera di Auber, 1828, versi
di Scribe, che inauguro il grand opéra
francese, avviò il moto belga d’indipendenza due anni dopo. Già popolare, l’opera
fu rappresentata al teatro de la Monnaie a Bruxelles a fine agosto 1830, come
omaggio al re Guglielmo I dei Paesi Bassi, per il suo compleanno. Arrivati all’aria
del tenore Masaniello “Amour sacré de la patrie” gli spettatori all’unisono si
alzarono e uscirono cantando in strada. Fu l’inizio della cosiddetta Rivoluzione
Belga, che in poche settimane, il 4 ottobre, si concluse con l’indipendenza
dall’Olanda.
Molotov
–
Vyaceslav Mihajlovic, che ha dato il nome all’arma più popolare contro l’occupazione
tedesca, nelle battaglie di Leningrado e Stalingrado, la bomba o bottiglia
Molotov, in russo “cocktail Molotov (di cui le librerie Feltrinelli insegnavano
la preparazione e l’uso a cavaliere del 1970), fece carriera, come ministro
degli Esteri di Stalin, e anche dopo, fino al 1956, detto per questo “culo di
ghisa”, dopo aver visto liquidati o fucilati tutti i suoi parenti e
collaboratori, inclusa la moglie. Senza mai una protesta – quando non li
denunciava lui stesso.
La bomba Molotov, l’arma di uso
più diffuso, insieme col kalashnikov, il mitra senza rinculo (questo dovuto a
un ingegnere, poi militarizzato, col grado di generale), non fu però opera di
Molotov. Alla bottiglia incendiaria venne dato il suo none n quanto presiedeva
durante la guerra il consiglio dei Commissari del popolo, dei ministri - era
una specie di presidente del consiglio, senza poteri. La bottiglia Molotov era
stati usata dai franchisti nella guerra civile, e poi dalle truppe finlandesi
nella guerra d’inverno contro la Russia, nei quattro mesi da dicembre 1939 a
marzo 1940, contri i mezzi blindati leggeri dell’Unione Sovietica.
Pace
cartaginese –
La pace senza condizioni, con la distruzione del perdente, derivata dalla fine
della terza guerra punica, quando i Romani bruciarono Cartagine, cosparsero di
sale il terreno su quale sorgeva, per renderlo sterile e trassero in schiavitù
la popolazione, fu resa popolare in questa formulazione alla conclusione della
Grande Guerra da John Maynard Keynes. Nel saggio che l’economista pubblicò nel 1919,
mentre si definivano i trattati i pace di Versailles, “Le conseguenze
economiche della pace”. Della “pace cartaginese” prospettando le conseguenze: “Se
miriamo deliberatamente a impoverire l’Europa centrale, la vendetta, oso
predire, non si farà attendere. Niente potrà allora ritardare a lungo quella
finale guerra civile tra le forze della reazione e le convulsioni disperate della
rivoluzione, rispetto alla quale gli orrori della passata guerra tedesca
svaniranno nel nulla”.
Spie – In Itala non
fanno genere letterario. Ma si sa, si è sempre saputo, che ce n’è almeno una in
ogni giornale, E al tempo del Pci c’erano
i compagni confidenti che riferivano alla sezione Stampa e Propaganda chi erano
i giornalisti “buoni” e chi i “cattivi”. Contro i quali i compagni fiduciari
nei comitati di redazione sindacali e nelle dirigenze dei giornali d’opinione,
“Corriere della sera”, “la Repubblica”, “La Stampa”, “Il Messaggero, “Panorama”,
“L’Espresso”, esercitavano un potere inflessibile sulle carriere e anche sugli
avanzamenti di stipendio. Anche nel nome dell’amicizia.
Weimar – Fu per
diventare una repubblica comunista. Il Primo Maggio 1919, a cinque mesi dalla
fine della guerra, la tensione era alta in Germania, l’attesa era per la
proclamazione a Berlino di una Repubblica Internazionale dei Soviet. Ancora nel
1920 vi furono proposte in Germania e tentativi di legarsi all’Armata Rossa,
che incombeva al confine della Prussia Orientale e alle porte di Varsavia - per annientare la Polonia, che contendeva alla
Germania la Slesia.
Si
viveva allegri nella repubblica di Weimar, come Isherwood, Simenon e altri
scrittori testimoniano. Si pone il nazismo a culmine della disperazione in un
paese sconfitto nel suo stadio giovanile e soggiogato. Ma gli anni 1920 furono
di straordinaria energia in Germania, Jünger direbbe di “mobilitazione”. Di
entusiasmo, creatività, consapevole anarchismo. Un’accumulazione prodigiosa -
non si spiega altrimenti la forza dello hitlerismo, che mise in campo un
dispendio colossale di energie.
astolfo@antiit.eu
La memoria dello smemorato
La raccolta degli articoli di
Veltroni neo collaboratore del gruppo Cairo, pubblicati sul “Corriere della
sera”, prevalentemente, e sulla “Gazzetta dello sport”. Un Veltroni più
buonista che mai, che rievoca e racconta fasi e casi celebri della Repubblica –
“Viaggio nella memoria di un Paese” è il sottotitolo.
Veltroni fa il bravo scrittore,
dopo aver fatto il bravo regista, e il bravo sindaco di Roma, fondatore del
partito Democratico. Con un titolo e un sottotitolo, però, antifrastici, se non
sono ironici: Veltroni, post-obamiano dopo essere stato dossettiano, non
ricorda nemmeno per caso di essere stato membro del Comitato Centrale del
partito Comunista Italiano, incaricato della Stampa e la Propaganda (veste
nella quale censiva, con le antenne del Partito nei giornali, i giornalisti
politici non “in linea”), fautore di più di un referendum contro la tv commerciale (“non interrompere
un’emozione”), cioè libera. Il labirinto è dentro o fuori lo smemorato?
Un vero politico, certo, non
affonda, il galleggiamento è l’arte della politica. Ma il testimone, tanto più
se scrittore? È però vero che nessuno gliene chiede conto.
Walter Veltroni, Labirinto italiano, Solferino, pp. 208,
ril. € 18
mercoledì 6 gennaio 2021
Ombre - 544
Il
comico inglese Mr Bean non vuole più recitare, lo ritiene impossibile: “Non vedo perché non dovrei
avere il diritto di dire qualcosa solo perché qualcun altro è contrario. Mi
sembra un concetto fondamentale per la nostra libertà”.
Domina
la cancel culture, dei violenti,
specie se ignoranti, specie nelle culture puritane. Rowan Atkinson, “Mr Bean”,
la assimila alla caccia alle streghe: “È come la folla nel Medioevo in giro per
le strade a cercare qualcuno da bruciare al rogo”.
Gianni
Lanciato, il cinquantenne di Napoli aggredito con violenza continuata da un
gruppo di giovani per rubargli lo scooter, li giustifica: troppo giovani,
vittime del tempo. Sembra un atto di generosità, ma solo per evitare al gruppo
il correzionale.
Crisi
di governo? Nuove elezioni? Non si farà né l’una né le altre, perché il covid
ha prodotto anche questo malanno: ognuno sta arroccato dove sta.
C’è
però una sorta di crisi di astinenza politica, a causa del covid: che le
elezioni in calendario slittano, e chi era in corsa rischia di sfiancarsi. Per
esempio a Roma. Non però i giudici.
Non
i giudici napoletani. L’ex giudice, sindaco di Napoli, De Magistris vuole
concorrere a presidente della regione Calabria - che non apprezza, vi è stato infelice sostituto
procuratore, ma è il solo posto libero. E il giudice Catello Maresca, vice capo della Procura Generale di
Napoli, scalpita per concorrere al suo posto di sindaco, al posto di De
Magistris.
Si
assolve Oliverio, l’ex presidente della regione Calabria – col vertice del Pd
calabrese, la deputata Enza Bruno Bossio, e suo marito Nicola Adamo, già deputato
e segretario regionale dei Ds. Dopo un’imputazione e un processo che gli hanno
impedito la rielezione – e ne hanno comunque troncato l’attività politica. Un
errore giudiziario è sempre possibile. Ma l’imputazione e il rinvio a giudizio
del caso non nascono da un errore: Oliverio è stato assolto in udienza
preliminare perché il fatto non sussiste - Bruno Bossio e Adamo prosciolti
senza avviare il giudizio.
Due
pagine abbondanti con Scalfari non bastano a Molinari su “la Repubblica” per
dire che il compromesso storico è stato un trucco, l’affossamento di ogni
ipotesi di buongoverno. Berlinguer e Moro
– Moro l’affossatore - sono anzi vantati aedi,
araldi e campioni del riformismo italiano. Una cosa che si ricordi?
Scalfari,
d’altra parte, è libero di dirsi Gobetti
Il
business delle pale eoliche le vuole
più alte e più robuste. Per fare più vento e più rumore. Per impiegare più
acciaio? E renderne più costoso il decommissioning,
lo smantellamento e il trattamento a fine regime, dopo 15-20 anni? Per raddoppiarne
il costo (“l’investimento”) sicuramente.
Quanto
ci costa il business delle energie alternative, una voragine – e come si
riempiono le tasche dei produttori delle stesse, Enel in testa! Tutti sanno che
la forza motrice del vento non ha futuro, ma si investe allegramente, a carico
del contribuente (“oneri di sistema”).
C’è
una forte propensione, quasi entusiasmo, nelle cronache romane, “Messaggero”, “Repubblica”,
“Corriere della sera”, per i due americani drogati che uccisero a coltellate a Ferragosto del 2019 il brigadiere
Cerciello Rega. Per uno di essi, Eder Finnegan Lee, che affronta il processo
spavaldo. Sicuro di cavarsela con qualche condizionale. È Mr Lee padre, che
segue il processo, “uno importante”? Lo è “l’avvocato di famiglia” Craig
Peters?
Dice
che i botti erano proibiti per fine anno quest’anno. Ma a Roma non c’è mai
stata tanta concentrazione, e così vasta, di botti e fuochi d’artificio, oltre
che pistolettate, come quest’anno. Anche le parrocchie, molte a Roma, li hanno
organizzati.
Era
per risollevarci il morale? Per intimidirci? Probabilmente si celebrava la fine
del 2020, non il 2021: mai un anno è stato salutato con tanto dispetto, con
rabbia.
Sì
di Bruxelles a Peugeot-Fiat, dove la Francia è compratrice – a gratis. No di
Bruxelles a Fincantieri-Stx, dove compratrice è un’azienda italiana, con
esborso solido. Bruxelles decide, l’Antimonopolio della signora Vestager, come
Berlino comanda in prima battuta, e in subordine Parigi?
Naturalmente
non è così – Vestager si è insediata all’Antimonopolio Ue col sostegno
dell’Italia, del bel Renzi d’epoca. Ma è così: anche la giustizia a Bruxelles è
pesata.
In paradiso col diavolo
Una festa di Natale – una vigilia,
una notte – diversa, indiavolata. Una notte di luna piena. Di ragazzate per le
strada. Di ubriaconi. Che tutti vanno in bianco dall’amante - la stessa di tutti. Mentre il fabbro non sa
più resistere al fascino di Oksana, e le tenta tutte. Anche col diavolo, dal
quale si fa trasportare fino dalla zarina, “una donna piccolina e grassoccia
anzi che no, incipriata, con gli occhi azzurri e, insieme, un’aria maestosamente
sorridente”, per una missione di cui Oksana sventata l’ha incaricato.
L’amore trionfa, del ridicolo. Nella
notte santa trasfigurata in un sabba, di scemi del villaggio. Il primo dei tanti
racconti russi sul diavolo - fino naturalmente a Bulgakov, “Il maestro e
Margherita” - altro russo di Ucraina, come Gogol’. Il diavolo ispira, si direbbe naturalmente, lo spasimante: il racconto si
dipana fra scemenze, stranezze, tranelli, insipienze, chiacchiere, malignità.
Ma poi sereno, svuotando del diabolico il diavolo stesso: non è questione di
vendergli l’anima, il diavolo fa da cavalluccio volante, e alla fine, ma non
protesta neanche, viene scacciato con una semplice croce. Molte avventure, e
spropositate, ma tutto finisce bene: non è un racconto a sorpresa, è nei
particolari.
Una fiaba realistica – neo realistica
si direbbe, come poi in Zavattini. Semplice e attraente, riposante. Tratta dalle
“Veglie alla fattoria presso Dikan’ka”, la raccolta pubblicata nel 1832 da
Gogol’ ventiduenne, a nome dell’“apicultore Rudyi Panko” - uno pseudonimo di
scongiuro dopo il fallimento del debutto poetico due anni prima. Una decina di
racconti, in due volumi, in cui tutto è rivolto a ridere, lo sciocchezzaio di
paese come le tragedie.
Un
racconto mal letto da Nabokov, che lo riduce a “folklore ucraino”. Ma ha in petto, come tutta la raccolta delle “Veglie”,
i grandi racconti di Gogol’, “Anime morte”, “Il Revisore”, etc.
Si scopre che Gogol’ è da
riscoprire – un russo che pure fu tanto italiano. Paolo Nori aiutando, con una
nuova traduzione.
Nikolaj Gogol’, La notte prima di Natale, Garzanti, pp.
96 € 4,90
martedì 5 gennaio 2021
Problemi di base - 616
spock
“Nessun uomo malvagio fa il male di proposito”, Platone?
La giustizia più grande è naturalmente quella politica, Socrate?
È il tempo “un’immagine mobile dell’eternità”, Platone?
L’arte
allontana dal vero, Socrate?
“Le
nostre discussioni sul gender fluid
mi ricordano quelle dei dotti bizantini sul sesso degli angeli mentre i turchi
prendevano Costantinopoli”, Jean-François Braunstein?
Sartre
Sade?
spock@antiit.eu
Sopra il vulcano
Ci si consola in Italia, governo e media
all’unisono, sulla portata dell’epidemia virale, colpevolmente. Perché i dati sono
minacciosi. Chiaramente, non c’è ambiguità possibile. Se non dell’opinione: non
vengono valutati, si fa come se niente fosse – incredibile la festa dei botti a
Capodanno, a Roma e non solo.
I morti causa covid, calcola l’Istat, sono un
quarto in più di quanti ne ha censiti il governo, almeno 100 mila. l’Italia è
il primo (peggiore) paese al mondo per numero di morti a causa del covid in rapporto
alla popolazione, 121 su 100 mila abitanti. È prima (peggiore) fra i pesi
industrializzati per per morti in rapporto ai contagiati, 3,5 per cento (nel resto del mondo fanno peggio, peraltro,
solo Iran (4,45) e Messico (8,5), dove forse gli ospedali non ci sono. Con
un tasso di contagiosità (positivi sui tamponi) che naviga sul 13-14 per cento,
insostenibile – è arrivato perfino al 18.
L’Italia si è ritrovata un organico
ospedaliero sotto di 50 mila posizioni, cinquantamila, a primavera, ed è ancora
sotto di 50 mila posizioni. Negli ospedali i reparti normali, non di terapia intensiva,
sono presidiati da uno-due infermieri a turno, per venti, trenta, quaranta,
anche cinquanta pazienti. Si richiamano medici in pensione, giustamente renitenti.
I medici tirocinanti delle specializzazioni sono promossi d’ufficio.
Si dice che l’Italia non ha i mezzi
finanziari. Ma l’indigenza non è economica, è politica, d’intelligenza, di previdenza.
E non deflette, malgrado i morti: deve favorire i signori delle cliniche, che
eleva a ospedali, e in questo è ben impegnata. La sanità
era, e resta, costosissima (privatissima) ma da Terzo mondo per qualità – senza
offesa, tanto più che il Terzo mondo non esiste più.
Best-seller gustoso per lo spettatore
Si può raccontare con gusto -
dello spettatore – il mondo dei libri, di chi li scrive, di come si
pubblicano, e com’è oggi della caccia al
best-seller. Col contrappunto dei
tanti anonimi, non pubblicati, o allora
senza successo. Attorno al faccione facondo di Fabrice Luchini, che sa
mettere assieme serietà e buffoneria. Da uno dei tanti racconti per passare il
tempo di David Foenkinos.
Una tipica commedia francese, “di
costumi”. Lieve, tanto più per avventurarsi nel mondo dei libri, di pochi
sopravvissuti. Rappresentata con poche scene, tre interni di Parigi, uno studio
tv che parodia il famoso Pivot “lettore” di libri, la moglie che licenzia il
marito Luchini con due battute, cameo
formidabile degi sceneggiatori, gli uffici dell’editore Grasset, con l’archivio
Gallimard dei libri ricevuti, e un villaggio bretone al Finisterre, la fine
della terra. Ma con maestria. Senza effetti straordinari, ma le cose più
impensate sa radicare nei luoghi e le circostanze più ordinarie, a beneficio
dello spettatore.
Durante un week-end a casa in
Bretagna di una giovane lettrice editoriale, col suo ragazzo, scrittore
frustrato, la scoperta di una biblioteca di libri impubblicati, creata da un
eccentrico gentiluomo del luogo, apre un mercato e una celebrità. Un romanzo ne
viene infatti fuori, best-seller istantaneo, colto e appassionante. Opera di un
Henri Pick pizzaiolo locale, morto due anni prima. Quando si dice il caso – ma non
è il caso (cioè è un caso). Non si ride , ma si naviga leggeri per un paio d’ore.
Rémy Bezançon, Il mistero di Henri Pick, Sky Cinema
lunedì 4 gennaio 2021
Letture - 444
letterautore
Conan Doyle – Si rifugiava,
come Sherlock Holmes, nell’erica e l’estetica vittoriane, secondo Auden. Ed è
vero che si accontenta di quanto i procedimenti conoscitivi, che sono
duplici, induttivo e deduttivo, assimilano
alla verità. Ma non ne è sicuro, si accontenta.
Dante – Léon Pompidou,
il padre del primo ministro di De Gaulle (nonché studioso di letteratura, per
un lustro direttore generale della Banca Rothschild, sostenitore del suo amico
di scuola Léopold Sédar Senghor, futuro Nobel per la poesia, quando nel 1948
debuttò con l’“Anthologie de la nouvelle poésie nègre et et malgache”, prefatore
Jean Paul Sartre con “Orphée noir”, il saggio sul razzismo antirazzista), maestro
elementare, poi insegnante di spagnolo alle medie, a ottant’anni decise
d’imparare l’italiano per poter leggere la “Divina commedia” in originale.
Donne – “Le donne, se
ammesse negli uffici postai, comunali, statali e ferroviari, ne migliorerebbero
la qualità”: Vilfredo Pareto, “Giornale degli Economisti”, 1895.
Eredità – Quelle letterarie
e artistiche danneggiano la memoria del defunto, scrittore o artista, piuttosto
che promuoverla. Tra liti giudiziarie per i diritti, gelosie, vincoli agi
inediti, quando non la loro distruzione. Eredi di Carmelo Bene sono la moglie
separata (che gli aveva tenuto nascosta la morte dei figlio…) e la figlia avuta
cn la moglie separata, che hanno liquidato la Fondazione creata dallo stesso
Bene per tutelare l’eredita spirituale, e si sono liberate del suo lascito. L’artista
pugliese che si voleva “non nato” resta solo nel ricordo dell’ultima compagna,
Luisa Viglietti. Che lo ha accudito nella lunga agonia, ma il diritto esclude
dai “diritti”.
Governo – È ladro anche in
sociologia politica, per Vilfredo Pareto, “Trattato di sociologia generale”: “L’arte
di governo sta nel togliere, non giù nel tutelarli, beni ai cittadini, e il
fine è farne partecipi i politicanti”.
Greco – È machista – la lingua? In greco i cognomi
femminili si declinano al genitivo. La donna, cioè, è di qualcuno, in genere un
uomo, il padre, il marito, anche il fratello.
Oriente – Esotico, caldo,
accogliente, soprattutto a letto, è del secondo Ottocento, francese. Dei viaggi
di Nerval nel 1843 nell’Oriente propriamente detto, tra Il Cairo e Costantinopoli
(tanto affascinante che il pantofolaio Flaubert lo volle ripetere), e di Delacroix
in Andalusia, Algeria e Marocco. Londra si mise al passo con la traduzione delle
“Mille e una nota”, a opera di Richard
Burton”, e i suoi viaggi.
La
prima traduzione in Occidente delle “Mille e una notte”, quella francese di
Galland nel 1704, era stata letta come una feérie,
e di spirito galante.
Pasolini – Sartre ne
evocò in morte (sul “Corriere della sera” edel 14 marzo 1976) la “straordinaria
evocazione del sacro”.
Pavese – A ogni rilettura,
a ogni pubblicazione di inediti, emerge una persona e uno scrittore diversi da
come è stato presentato, nel “santino” Einaudi: un provinciale, col culto dell’americanismo.
Mentre non lo era, non è lo scribacchino dimesso e l’impiegato delle poste alla
Grande Cultura einaudiana. È lui che h dato spessore all’editrice. Non era orecchiante,
aveva forte cultura. Aperta al mondo, per la conoscenza dell’inglese, a partire
dalla tesi di laurea su Walt Whitman che – ora che è pubblicata – ancora fa
testo. Che doppiava col tedesco. “Non
aveva senso politico” perché non era allineato (non era del Pci) e sapeva di
non poterlo essere. Dai “Dialoghi con Leucò” alle stesse poesia si comincia a
rileggerlo con più motivi di interesse. la scadenza dei diritti editoriali
sulle opere ne rivelerà certamente un altro.
Prostituzione – È conservatrice,
secondo Flaiano, “Un Marziano a Roma”: “È noto che le prostitute sono
conservatrici”.
Sartre – Il suo “L’idiota
della famiglia” (Flaubert) è il Sartre che avrebbe voluto essere: grande, fine,
fissato, letterato? Ci ha lavorato per migliaia di pagine e non lo riteneva
finito: era l’opera della sua stessa vita.
Sciascia – È arabo di
nome, certo. Pietrangelo Buttafuoco su “La Lettura” di ieri vuole Sciascia un
arabo in toto. Per il nome, Nanà Xaxà, “come la translitterazione in lingua araba
impone”. A conferma di ciò “che il suo
volto olivastro e il suo sorriso già annunciano”. Originario e abitante di un
paese, “Racalmuto – ovvero Rahal-Mut”, che “prima dell’avvento dell’islam neppure
esisteva”. L’avvento dell’islam piace in Sicilia. Mentre tra i tanti invasori,
gli arabi sono quelli che meno hanno governato l’isola, e le tracce che hanno lasciato sono dovute
soprattutto al recupero voluto dai Normanni, delle maestranze e delle colture.
Sciascia
è tradotto in arabo? Dove?
Scenario Bergamo – Uno “scenario
Bergamo” come metafora di apocalissi evoca il settimanale socialdemocratico tedesco
“Die Zeit” il 12 novembre, lanciando l’allarme che un mese dopo ha portato il
governo Federale della Germania e i Länder alla chiusura totale (lockdown).
Ucraina - La famosa
letteratura russa sarebbe ucraina: Gogol, Cechov, Babel, anche Conrad, anche Némirovslky.
Ucraini ad honorem sarebbero pure Pushkin, e Sklovskij, che vissero e operarono
in Ucraina, eppure non per loro scelta. Ma quando l’Ucraina era russa. Cosa è patria, la lingua, il governo, la geografia?
Viaggio – S i fa verso
una meta, ma consiste nel viaggiare – Kostantinos Kavafis, “Ithaca”: “Fa voti
che ti sia lunga la via….\ Itaca tieni sempre nella mente.\ La tua sorte ti
segna a quell’approdo.\ Ma non precipitare il tuo viaggio”.
Del
viaggio come della vita.
letterautore@antiit.eu
La santità come gioia
Un’agiografia, ma umana. Di
personaggi in carne: persone – donne giovani - come tanti, senza lagne né
giaculatorie. Fatte interloquire con naturalezza da un’ottima sceneggiatura – a
parte il farsesco del Tribunale vaticano – e dal casting, tutte facce azzeccate.
Chiara, maestra a Trento, a fine
1943 sotto i bombardamenti decide di dedicarsi alla Vergine e a Cristo, per un
impegno di fratellanza e di reciproco rispetto, pur continuando la sua vita
normale, di maestra, animatrice di un gruppo di amiche. La sua “casa
dell’Amore” è subito attiva a Trento, per affamati, orfani, vedovi. Una
psicologia franca, diretta, aiutando – Cristiana Capotondi ne è interprete
quasi naturale, espressivamente: un viso che ride.
Questa semplicità poco si confà
alla chiesa, gerarchica. E alla stessa psicologia dei beneficiari, che solo
riconoscono l’autorità. Ha quindi creato più di una contestazione, già subito,
alla fine della guerra. Ma il movimento prospera ugualmente.
Campiotti ha scelto la via
semplice – dell’agiografia appunto. Poteva appesantire la storia con gli
equivoci, le minacce, i ricatti,
eccetera. Come anche le regole della suspense vorrebbero. Ha scelto la via
piana, della semplicità e la gioia, e ne ha ricavato un ottimo film: veritiero oltre che riposante.
Ottimo anche il contesto: i bombardamenti (i bombardamenti... quando se ne farà la storia, anche solo la cronistoria?), la fame, i tedesshi nemici in città, i convivi all’aperto alla Liberazione.
Giacomo Campiotti, Chiara Lubitch, Rai 1
domenica 3 gennaio 2021
Appalti fisco, abusi (193)
Le banche, le filiali, hanno fatto e stano
facendo pagare caro il lavoro a distanza: il telefono della filiale non
risponde, la mail risponde, qualche volta, dopo giorni, un appuntamento, per la
pratica più semplice e immediata, prende giorni e settimane, oltre che molti
tentativi a vuoto, compresi ai numeri verdi. Si dice che la pandemia ha stimolato la socialità, ma non in
banca.
Il go
slow, paleosindacalismo delle banche, sarà l’ultimo colpo alla protezione del
posto fisso in filiale – alle filiali. Una sorta di suicidio collettivo, fatto
apposta per dire che la banca si fa prima e meglio online.
Le Poste
hanno pagato le pensioni Inps il 28-29-30 e 31 dicembre. Le banche non hanno
accreditato i vitalizi,
Inps e di altra provenienza, nemmeno oggi, che è il 4 gennaio. Furbizia
contabile –
qualche centesimo
all’attivo in più al 31 dicembre? Semplice
inefficienza.
Il fisco prevede compensazioni fiscali per chi
fa e documenta spese per innovazione e sviluppo, dal 2013. Sono alcuni miliardi
in tutta Italia, uno a solo a Roma negli ultimi cinque anni. Per alcune
migliaia di operazioni. Sul miliardo romano: 456 nel 2016, dopo il debutto
operativo della normativa del 2013, ma già tremila nel 2019 e 2.500 nel primo
semestre 2020. Ai primi controlli random della
Finanza più dichiarazioni fasulle di quelle veritiere – c’è chi ha messo in
Innovazione e Ricerca il personale.
Cronache dell’altro mondo (85)
Si presenta –
i media democratici, cioè tutti i media, la comunità afroamericana, e la stessa
interessata per comodità presentano – Kamala Harris, la vice del presidente eletto
Biden (e presidente in petto, per le
condizioni non brillanti di Biden), come “donna nera”. Che per un’indiana, quale la vice-presidente è
e si ritiene (di mezzo nero ha solo il padre, un giamaicano, che non conta), è
un’ingiuria. Ma è vero che ha fatto carriera politica sul colore della pelle, di altro essendo una modesta agit-prop.
Un bitcoin
vale 32 mila dollari. Che cos’è un bitcoin? Niente. E raddoppiera “di valore”, comunque arriverà a 50
mila dollari. Dirige l’ascesa Su Zhu, Cio e Ceo
(presidente-direttore della tecnologia e degli affari dell’hedge fund Three Arrows Capital, one man's band). Un cinese – di Singapore (ma non
si sa chi è chi).
“Forbes” e
Bloomberg non riescono più a tener e dietro ai più ricchi del mondo, che
periodicamente censiscono. Che però continuano a essere prevalentemente americani,
benché il fulcro del business sia ormai cinese. Perché prosperano a Wall Street: i 500 più ricchi, a questo
inizio 2021, hanno accresciuto il patrimonio in un anno vuoto – vuoto d
attività – di 1.800 miliardi di dollari. Jeff Bezos di Amazon e Elon Musk di
Tesla hanno “guadagnato” in due 217 miliardi. Ma non piangono Bill Gates,
Zuckerberg, Larry page e Sergey Brin, Warren Buffett, Bernard Arnault, re del lusso, Steve Ballmer
(Microsoft) eLarry Ellison (Oracle).
Le loro
quotazioni erano enormi a fine ottobre, all’inizio della seconda ondata della
pandemia: un’azione Amazon quotava 3.286 dollari, Google 1.600, Netflix 490,
Apple 116, Facebook 283, Tesla 425. Ora, se Amazon e Facebook sono rimaste più
o meno agli stessi livelli, Google è a 1.750, Netflix a 541, Apple a 133, Tesla
a 706. Senza alcun senso economico.
Sciascia sedotto dal capomafia
Sciascia, non debuttante (l’intervista
è del 1965, per “Mondo nuovo” - la rivista diretta da Lucio Libertini, creata dalla
sinistra del partito Socialista e divenuta l’anno prima organo del Psiup,
partito Socialista Italiano di Unità Proletaria” - e non del 1957 per “L’Europeo”,
come dice oggi su “La Lettura” Buttafuoco), è chiaramente affascinato dal
capomafia, erede di capomafia – di Calò Vizzini – che ha deciso d’incontrare.
Per questo ha trattato con l’avvocato di Genco Russo – ma più probabilmente è
stato convinto dall’avvocato a proporre l’intervista all’incauto Libertini, i
rapporti in paese si svolgono così. Esordisce appaiando Genco Russo a Cardccui:
il “don” di Mussomeli descrive in moto perpetuo per sanare torti, dirimere liti,
aiutare i bisognosi, reduce da una missione a Catania, per chiedere compassione
all’università per ua ragazza orfana cui manca un esame per laurearsi. “Al
professore, o a un amico del professore, ha detto: «Promuovetela. Se bocciata
dev’essre, la boccerà la vita»”, racconta Sciascia. E annota: “La pensava così
anche Carducci”.
Si prosegue con dichiarata ammirazione:
“Don Peppino è un ragionatore”. Con un ritratto fisico accattivante, benché
nelle foto non sembri. E una formazione non equivoca: “Da giovane si è imposto
per non comuni qualità di coraggio e di forza fisica: abbatteva un toro,
letteralmente, prendendolo per le corna. Ora s’impone per l’astuzia, per la
grezza ma non inefficace diplomazia, per la capacità di districare garbugli e
dare giudizi «di pace»”.
I santini di mafia, sui cui molti
prospereranno, a partire da Enzo Biagi, cominciano da Sciascia? Così pare.
Leonardo Sciascia, Intervista allo zio di Sicilia, ripubblicato
da “Malgradotutto”, giornale online
https://www.malgradotuttoweb.it/sito2013/home/archivio/1198-intervista-allo-zio-di-sicilia.html