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letterautore
Annate
–
Ce ne son di eccezionali anche per gli autori. Nel 1813 nascevano Nietzsche, Wagner, Verdi, Kierkegaard,
Büchner, Hebbel. Nel 1821 Baudelaire, Flaubert, Dostoevskij – e Feydeau, e Richard Burton (e Lola Montez, che era
irlandese).
Comunismo
–
“Tra i militanti che aderirono cent’anni fa alla scissione dal Psi da cui
nacque il Pci, molti furono poi vittime del terrore staliniano in Urss. I
comunisti fucilati furono 23, 12 morirono di stenti nei lager e altri 12,
arrestati e deportati, riuscirono a sopravvivere”. Alla repressione
parteciparono anche Togliatti e i dirigenti italiani, che segnalavano gli elementi
eretici, o sospetti di idee «trotskiste-bordighiste»”, Marcello Flores, “La Lettura”
di domenica.
Gli altri espatriati vivevano nel
terrore, e non dormiva: il Kgb veniva all’alba, la polizia segreta del partito
Comunista Sovietico.
Marco Revelli conclude oggi una
celebrazione del Pcd’I-Pci sul “Robinson” con Gramsci vittima di Mussolini (“bisogna
impedire a quel cervello di funzionare per almeno vent’anni”) e di Togliatti: “Isolato,
spesso osteggiato dai suoi stessi compagni (non gli si perdonò l’opposizione
alla sciagurata linea del «social-fascismo» e al settarismo staliniano)”.
Revelli ha ricordato prima che Mussolini
fece arrestare Gramsci l’8 novembre 1926, alcune settimane dopo la lite Gramsci,
segretario in carica del Pci, nonché parlamentare, con Togliatti a proposito del
comunismo sovietico già staliniano Il 14 ottobre Gramsci aveva scritto al
Comitato Centrale del Pcus: “Voi oggi state distruggendo l’opera vostra, voi
degradate e correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il
Partito comunista dell’Urss aveva conquistato per l’impulso di Lenin”. Togliatti,
incaricato di consegnare la lettera, “l’aveva «sequestrata», rampognando anzi
duramente l’autore («La vostra visione di ciò che sta succedendo qui a Mosca è
miope, errata in partenza… dobbiamo abituarci a tenere i nervi a posto e a
farli tenere a posto ai compagni della base»)”.
Revelli non aggiunge che Mussolini moto
probabilmente era al corrente dei dissidio, e sapeva che l’arresto di Gramsci
avrebbe intimorito il Pci in Italia ma senza turbare i rapporti con Mosca, che
voleva ed erano eccellenti.
Galiani
– Il
dimenticato abate napoletano a Parigi figura nel primo sottotitolo di Nietzsche
per “Ecce homo” - l’autoincensamento a Torino dopo una breve stagione prodigiosa
di parti filosofici - come testo di riferimento: “Come si diventa ciò che si è.
Planare dall’alto e avere degli artigli, ecco la dote dei grandi geni”.
La citazione Nietzsche traeva da una lettera
di Galiani a Mme d’Épinay, 24 novembre 1770.
Manomorta
-
Padre Pirrone, il gesuita del “Gattopardo”, così spiega “le future inevitabili
confische dei beni ecclesiastici” ai suoi compaesani addormentati: “Il sindaco
comprerà tutto, pagherà le prime rate, e chi s’è visto s’è visto”.
Avidità senza limiti. Alla sua insegna
si potrebbe riscrivere tutta la storia vera, del laicismo e dell’unità
d’Italia, Nel “Gattopardo” è “il patrimonio dei poveri”. Anche nelle “Lettere”
di Pasquale Villari del 1862, a ridosso dell’unificazione e dell’applicazione
delle leggi eversive (non più della feudalità, estinta da qualche secolo, ma
del patrimonio ecclesiastico). Se ne appropria la borghesia, sotto il pretesto
dell’anticlericalismo, a vile o nessun prezzo. Non solo delle proprietà eccesiastiche,
del resto, anche degli usi civici, i terreni riservati all’uso dei poveri.
Padre
– Un
riconoscimento viene da un padre del tutto non modello, Simenon. “Il figlio”: “La
data più importante nella vita di un uomo è quella della morte di suo padre… È
solo quando non hanno più bisogno di lui che i figli comprendono che il loro padre
era il loro migliore amico”. Anche i figli maschi.
Romolo
–
“Il primo re”, “il fondatore”, che le serie Rai prospettano come un selvaggio,
lo era anche per Thoreau - perché non poteva essere altrimenti: “I nostri
antenati erano selvaggi. La storia di Romolo e Remo allattati da una lupa non è
una favola priva di senso”.
Ed
è vero che dell’epoca non si è trovato più di qualche sasso, vivevano in capanne. Ma parliamo di anni in
cui gli Etruschi si costruivano tombe come reggie, con statue raffinati
dipinti, e dispensavano lussi.
Sartre – Comico di talento?
Lo vuole Daria Galateria sull’altro “Venerdì di Repubblica”, dove conclude “le
vacanze romane di Sartre”, le cronache che ne scrisse (recuperate ora in “La regina
Albemarle o l’ultimo turista”) con “il suo profondo e (Dio ci perdoni) elegante
talento comico”.
O
la conclusione è un tantino ironica, antifrastica? Ill “Roma” della compilazione
“Albemarle” è trinariciuta, piuttosto seriosa - o tanto seriosa da essere
ridicol?
Sciascia –Fu un “pensionato
baby”, come si poteva allora grazie a una legge di Andreotti, e usava specialmente
alle Poste e nell’insegnamento, per favorire il lavoro delle donne non a
scapito della famiglia. Si poteva andare in pensione dopo vent’anni di servizio
– o sedici più quattro anni di università, se “riscattati”. Sciascia ne
approfittò dopo 21 ani di servizio, dal 1949 al 1970, a 49 anni. Una pensione
che era la metà dello stipendio d’insegnante.
Viaggio –Può essere triste,
quello d’affari per esempio. Flaiano lo spiega distesamente, nella “Conversazione
continuamente interrotta” - una farsa teatrale cui lavorò negli ultimi anni,
sull’attività di sceneggiatura dei film con un regista volatile, menefreghista
(Fellini). Una proposta, una delle tante, è “la giornata di un uomo solo in una
città che non è quelle dove risiede normalmente”. Che evapora sotto queste
considerazioni: “Ma è una tragedia!”, come si sceneggia? “Conversazioni col
portiere dell’albergo, col padrone di un negozio, col tassista, col cameriere,
tute persone che vede per la prima e l’ultima volta. Scambi di luoghi comuni
sul tempo, la vita, il passato e il futuro. Solo al ristorante, occupa un
tavolo. Mangia per non deludere il cameriere. Compra giornali. Compra oggetti
che non gli servono e non gli piacciono. E libri che getterà via dopo le prime
pagine. Si studia a lungo nello specchio del bagno. Di sera, una ragazza sotto
i portici lo guarda e gli dice: «Baffetto», per adescarlo. Lui va per la sua
strada. Torna in albergo, non succede niente”.
Baffetto
per dire Flaiano, sceneggiatore esimio, che lo portava?
Visto – Sbarca in Australia
spazientito, benché ospite di società letterarie australiane, ancora risentito ad
alcun giorni dal fatto, Tabucchi nel “Taccuino australiano” – che scrive anzi
al ritorno dall’Australia, e pubblica sul “Corriere della sera” del 20 ottobre
1991 (ora in “Viaggi e altri viaggi”): l’ingresso è stato fiscale e brusco - “L’accoglienza
è dura, fredda, quasi respingente”, comincia così. I passeggeri vengono
informati che “appena fermo sulla pista l’aereo (on i suoi passeggeri) verrà
«disinfestato» (sic!) con uno speciale spray approvato dal Consiglio mondiale
della Sanità” - l’Oms? “Ed ecco che sull’aereo ormai fermo salgono due uomini
con una giacca a quadri come nei film americani degli anni Trenta” - dei film
di gangster? E “il bello deve ancora venire”: si forma una lunga a fila di
passeggeri - il Boeing 747, pieno di
emigrati italiani di ritorno dalle visite ai parenti in Italia, poteva trasportare
5-600 persone, a seconda dell’allestimento - che “procede con una lentezza esasperante”.
Tre passeggeri alla volta sono portati da una poliziotta durissima a tre
sporteli, dove ognuno viene interrogato a lungo, sul passaporto, il visto e le
ragioni del viaggio. Anche Tabucchi viene interrogato a lungo, dopo qualche ora.
E non è finita: mentre aspetta il bagaglio, racconta, un giovane poliziotto “mi
intima di mostrargli il passaporto”. E “mi chiede tagliente quale è la ragione
del mio viaggio in Australia”. Tabucchi risponde: “Sono stato invitato a tenere
conferenze. Mi mostri la lettera di invito, replica lui”. Tabucchi non ce l’ha
addosso. Succede una mezza bagarre. Quando infine il “giovane poliziotto”
decide che ne ha avuto abbastanza, racconta ancora Tabucchi, “solo allora capisco
il motivo per cui è venuto a inquisirmi. Perché ridevo”.
In
realtà l’interrogatorio alla polizia di frontiera era normale, in Australia come
in Gran Bretagna prima del suo ingresso nella Ue - e ora probabilmente dopo la brexit: fiscalità e spocchia, il
viaggiatore è un invasore.
letterautore@antiit.eu
Più bianchi e meno minoranze nella vittoria di
Biden alla presidenza e del partito Democratico al Congresso, meno bianchi e
più minoranze nella sconfitta di Trump e del partito Repubblicano: la polarizzazione
razziale della contesa elettorale ha funzionato all’inverso delle aspettative,
più voti bianchi si sono spostati verso Biden e i Democratici, più voti delle
minoranze verso Trump e i Repubblicani.
Nel 2016 H.Clinton aveva avuto il 37 per cento
dei voti bianchi, Trump il 57 (una parte dei voti alle presidenziali si
disperde tra candidati minori). A novembre Trump ha accresciuto di un punto il
voto bianco, al 58 per cento, Biden di quattro, al 41.
I Democratici vincono con le minoranze. Ma nel
2020 con una percentuale inferiore: votò per H. Clinton nel 2016 il 74 per cento
delle minoranze, per Biden ha votato il 71 – mentre Trump ha accresciuto la percentuale
dal 21 al 26 per cento.
Il fattore razziale ha però fatto vincere Biden,
se analizzato per singoli Stati–chiave – gli aghi della bilancia, gli Stati in
bilico tra Democratici e Repubblicani. I Democratici hanno perso la Florida,
perché i latinos hanno accresciuto moto il voto repubblicano.
Lo stesso in Texas, che però votava già repubblicano: i latinos hanno elevato la vittoria repubblicana dal 52,6 per vento
del voto mid-term due anni fa, al
55,6. Biden ha vinto ribaltando il voto in Pennsylvania, Wisconsin e Michigan,
dove ha avuto più voti bianchi ed è riuscito a mantenere il seguito fra le
minoranze.
In questi quattro Stati, Florida,
Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, il partito Democratico ha concentrato la pubblicità
televisiva, per due terzi del totale: 457 milioni di dollari spesi su 653
totali (in Texas, dato comunque per perso, ha investito solo 7 milioni di dollari).
“Il Pci è un paese pulito in un
Paese sporco, un Paese onesto in un paese disonesto, un Paese intelligente in un
Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante”.
Un museo di macerie, sotto la
fama, questi articolo scritti per il “Corriere della sera”. L’unica cosa onesta
è il titolo.
Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari
L’accordo commerciale con la Cina, per quanto ambiguo, chiude un
semestre di eccezionale rilancio europeo. Sotto la presidenza tedesca: la
cancelliera Merkel del “troppo poco troppo tardi” ha fatto in questo suo addio
alla politica attiva (oggi il suo partito sceglie chi le succederà) qualcosa perfino di stupefacente, visto il ritmo, blando e
spento, burocratico, su cui la Ue si era adagiata: un semestre bismarckiano, senza darlo a vedere.
L’accordo di
San Silvestro con la Cina, il Comprehesive Agreement on Investment, che ha
chiuso un negoziato durato ben sette anni, con 35 lunghe sessioni (rounds), benché discusso, resta comunque
un punto di non ritorno: modificabile ma ormai in atto. All’attivo del semestre
tedesco anche la riforma del Meccanismo
europeo di stabilità, che in Italia ancora si contesta, ma è un passo verso
l’unione bancaria. È stato infine varato, superando le riserve est-europee e
euroscettiche, il bilancio settennale dell’Unione, 2021-2027. Soprattutto, sono
stati trovati i mezzi, su pressione congiunta di Italia, Francia e Spagna, ed è
stato varato l’innovativo fondo, per la ripresa da 750 miliardi, il Next Generation Ue.
La Ue affronta
questa crisi ben dotata, di piani e di risorse. Al Next Generation vanno
aggiunti i 1.074 miliardi del QFP, quadro finanziario pluriennale. Più il peso
indiretto esercitato tramite la Commissione di Bruxelles Von der Leyen per il
rilancio dell’Europa nell’agenda digitale e in quella verde. Dove fondamentale
è l’accordo, portato a conclusione nel Consiglio d’Europa, per una riduzione della
C02 del 55 per cento nel 2030 rispetto al 1990. Che non sarà difficile, i
livelli del 1990 sono già in larga parte abbattuti, ma assicura comunque all’Europa
una sorta di leadership nella trasformazione verde dell’economia.
Gli ispanici votano
in America repubblicano. Hanno votato per Trump e il Muro. In Texas e in
Florida, dove il voto ispanico pesa nel complesso dei votanti, sono stati
determinanti per la vittoria locale di Trump. In Florida, nella contea di
Miami-Dade, dove gli americani “bianchi” sono solo il 15 per cento, e gli
ispanici il 65, Trump ha accresciuto il voto rispetto al 2016 del 12-13 per
cento. Nella contea Hidalgo, al confine col Messico, dove il Muro di Trump è
stato costruito, ei “bianchi” sono ancora meno, il 7 per cento, gli ispanici il
91 per cento, Trump è passato dal 28 al 41 per cento rispetto al 2016.
Non si sono
fatte analisi del voto. Un’ipotesi vuole gli ispanici, immigrati recenti, contrari
alla nuova immigrazione, che minaccia di restringere ulteriormente retribuzioni
e possibilità di occupazione. Un’ipotesi
analoga, basata sulle statistiche dell’imprenditoria minuta (commercio,
manifattura, servizi), che per il 30 per cento è di proprietà “etnica” (di
ispanici, neri, asiatici), in Texas e in Florida lo è di più, al 47 e al 45 per
cento rispettivamente. L’ipotesi è che il minuto imprenditore abbia temuto le
manifestazioni violente, con furti, incendi, distruzioni, tipo Black Lives Matter.
Della politica si poteva scrivere trent’anni fa:
“Chiesa e Pci hanno l’orgasmo per Saddam. Padre
Balducci sbava in tv contro l’imperialismo americano. Non hanno mai digerito la
libertà, ecco dove s’incontrano i religiosi e i presunti anticristi: la pace
bene durevole, l’uomo, la vita – eccetto che quando sono in ballo i loro
superiori motivi, di chiesa e di partito. Ecco perché l’Italia, che ha molti
preti e molti comunisti, è sotto una cappa: non c’è un patto politico, un
accordo che oggi c’è e domini non c’è più, si cambia, ma un modo di essere
costitutivo.
“Per i preti si spiega. Fuori della libertà la
religione non ha problemi. Solo la libertà l’ha messa in crisi - di pensare, di
essere. Il papa attuale tra l’altro ha potuto praticato le virtù della fede
senza la libertà nel suo paese. I gesuiti della violencia (rivolta, tirannicidio) e la teologia della liberazione
non sono che altri strumenti della panoplia illiberale (integralista).
In fondo non fanno che il loro dovere: la
chiesa è un’istituzione, e quindi fa una politica conservativa, anche
attraverso temi e canali sovversivi (pace, rivoluzione sociale). Ma i comunisti,
che sono conservativi, anzi imperialisti (come s’incazzano quando vengono
contraddetti – anche ora che tutto frana al loro interno!), senza possedere
nulla, sono fatti della stessa pasta dei preti. E questo dice anche perché i
comunisti sono rimasti solo in Italia”.
Un francese una notte a
Napoli viene avvicinato da due giovani che si propongono di fargli visitare la
città. Di visitare “la città nascosta”. Capisce che si tratterà di un giro dei
bordelli, che non gli interessano, ma per curiosità accetta. Entra così in un
bordello “un po’ speciale”: una stanza grande circolare, con un divano rotondo
lungo il muro perimetrale e al centro un altro divano rotondo attorno a una
colonna. I giovani vengono allontanati, e uno spettacolo comincia per il
visitatore. Una donna in età, scura di pelle, che fa il maschio, e una ragazza “sui
ventotto anni, piuttosto carina”, entrambe nude, mimano delle scene di sesso –
mimano le posizioni della vila dei Misteri a Pompei. Il francese ne esce un po’
sbalordito, ma paga qualcosa all’ingresso ai due giovani, che vanno a comprare
una bottiglia di “vino rosso del Vesuvio”, la stappano per strada, la bevono con
lui, mangiano anche con lui qualcosa, poi salutano e se ne vanno.
E il racconto di una notte di
Sartre a Napoli, autobiografico – Simone de Beauvoir voleva andare ad Amalfi, a
Sartre non interessava, rimase solo una notte, e fece quello che il suo personaggio
fa nel racconto. Assortito da note brevi, impressioni di viaggio, su Napoli e
su Capri – riedite anche nella raccolta “La
regina Albemarle o l’ultimo turista”.
È un racconto a cui Sartre
teneva. In parte anticipato in una lunga lettera, di dodici pagine, a Olga
Kosakiewicz (non pubblicata: se ne sa da Simone de Beauvoir, “Conversazioni con
Jean-Paul Sartre”). Alcuni frammenti, illustrati da Wols, li aveva pubblicati
in edizione Skira, per bibliofili. Il racconto tutto intero invece lo aveva
messo da parte, consigliato da Simone de Beauvoir, che lo trovava “poco strutturato”.
Jean-Paul Sartre, Spaesamento. Napoli e Capri, Dante&Descartes,
pp. 72 € 8
Bpm ci ripensa? Milano ha riserve sull’accordo
in fieri con Bper – di più dopo l’ipotesi di accorpare anche il Monte dei
Paschi. Riserve sulla governance. Non sul metodo di votazione ma su chi
comanda.
Benché alla pari, la fusione è ora temuta a
Milano per l’esplosione di intraprendenza, giudicata eccessiva, da padrone, di
Carlo Cimbri. Il manager di Unipol, quello dell’ “abbiamo una banca” (Pci), si
presenta, con insistente promozione, come il padrone di Bper, e fa campagna per un
suo ruolo accresciuto, personale e di Unipol. Il titolo Unipol tenendo in quota
nel mercato con accorte politiche di buy-back, benché in teoria ora proibite, e
di “aspettative” – con gli azionisti si è pubblicamente impegnato per un ritorno
sull’investimento di “almeno il 14,5 per cento”, per almeno un biennio.
Le riserve vanno di pari passo con una ipotesi diversa di aggregazione: con Unicredit. In assetto subalterno,ma con sentiment e prassi condivisi. Le anime politiche, di diverso colore, rimangono ancora vive nelle
vecchie popolari. L’equilibrio già difficile fra attivi nella fusione, si colora
ora nel vecchio Bpm “bianco” di sospetto per l’attivismo di Cimbri. Il timore
è che la fusione alla pari scada in subordinazione.
La
Asl di Napoli blocca mezzo Empoli in albergo, per non dare fastidio al Napoli calcio in
coppa Italia. È la stessa che aveva bloccato il Napoli nella disfida con la
Juventus, non essendo la squadra al top – con l’aiuto della giustizia sportiva,
anch’essa napoletana. Ora il presidente del Napoli calcio De Laurentiis vuole
rinviare, sempre per questioni di forma (forma fisica, non legale) la
Supercoppa con la stessa Juventus. Si può essere certi che la Asl gli darà una
mano – il come non crda problemi a Napoli. E
anche la giustizia sportiva, certo.
Sembrano
comiche, e invece sono cronache.
La
regione Campania, dove il presidente De Luca è riuscito a disinnescare i tentativi
del governo di commissariamento a oltranza della Sanità, è di gran lunga la
prima, quasi al 90 per cento, per la somministrazione dei vaccini consegnati.
La regione Calabria, impiccata al gioco dei commissariamenti governativi, è
ultima, con una percentuale di somministrazione irrisoria, un terzo delle dosi
consegnate.
Il
Lazio è col Veneto la regione col più gran numero di contagi in questa seconda
ondata, il doppio per esempio (in rapporto alla popolazione) della Lombardia, e
ha le terapie intensive intasate, peggio del Veneto. Ma non si dice. Per non dispiacere a Zingaretti, che è il
presidente della Regione e quindi il responsabile della Sanità, ma è anche il
segretario del Pd. Si ha così la regione con più contagi in regime di semi-apertura
(giallo).
L’ex
giudice del calcio Giancarlo Coraggio non ha avuto il tempo d’insediarsi alla
presidenza della Corte Costituzionale, a rotazione fra i pensionandi, ottantenni,
che si precipita in tv a dire come si può fare causa allo Stato per il vaccino.
Ci sarebbe da complimentarsi della sensibilità democratica, per i diritti del
cittadino invece che dello Stato. Se non fosse esibizionismo – si prepara un
futuro da commentatore tv?
Alberto
Mingardi elogia su “L’Economia” il capitalismo delle “catene industriali”, che
ha reagito prontamente alla pandemia: “Le catene industriali ci hanno permesso di
avere tutto ciò che ci serviva: tutte hanno agito secondo logiche di mercato e
di profitto”. Facendo capo alla Cina, un mercato strettamente governato, anzi
sorvegliato: di questo l’animatore del “Bruno Leoni” non ha il sospetto – o la
libertà è divisibile, e degli affari è meglio? .
.
“Ci
sono i testimoni”, scrive il “Corriere della sera”, “Bartali aiutò gli ebrei”. Ci sono da tempo, ma se ne vuole riparlare. La nostalgia viene di un mondo, non un secolo
fa, in cui non c’era la gara al protagonismo corretto, in cui tutti sono più
verdi, più umanitari, più accoglienti, più volontari. Bartali, che pure era un
personaggio pubblico, e da molti amato, non ci pensava nemmeno a rivendicare il
merito di avere aiutato delle persone in difficoltà.
La
grande privatizzatrice (tv, università) Letizia Moratti si insedia alla Sanità
in Lombardia per “rimediare ai guasti”. Della privatizzazione? È il grande “mercato”
della Sanità che ha lasciato la Lombardia colpevolmente scoperta nella prima
ondata dei contagi, con quei numeri incredibili di contagi, ricoveri e decessi.
Se
si è ravveduta, Conte ter potrebbe nominarla all’Istruzione, magari rimedia ai
disastri in cui ha inabissato l’università – sia la ricerca pura che la
formazione.
Curioso
antitrumpismo del “Sole 24 Ore” che ospita domenica una lunga analisi su come e
quando Trump complotta per fare la guerra all’Iran. “Un attacco al suo nemico
numero uno, già evocato in passato, rimetterebbe Trump al centro della scena”. In
scena a casa sua, dove è stato rimandato?
Un
articolo degli ayatollah sul “Sole 24 Ore”? Tamburini si è convertito all’islam,
pasdaran di complemento? L’Iran fornisce il carburante al “Sole”? Sono gli Stati
Uniti che minacciano gli ayatollah, non gli ayatollah mezzo mondo?
Cannavacciuolo
va da Venier a “Domenica in” e spiega l’oro alchemico, i bitcoin. Mostra allo smartphone
quanto sta guadagnando senza fare nulla: migliaia di euro si srotolano, come ai
videeogiochi. E conclude: “Ho ricevuto centinaia di mail di persone che mi ringraziano
per aver rivelato loro questo segreto. La mia storia preferita è quella di un
ragazzo che ha regalato al fratello l’auto dei suoi sogni, una Ferrari 488
Pista, usando i profitti generati da Bitcoin Italian”. Vero – vero, cioè l’ha
detto.
L’ex
chef è testimonial di Bitcoin Italia?
E imbonisce gratuitamente la audience
Rai? E Agcom, l’autorità di controllo, non ha nulla da dire sulla pubblicità occulta? Viene da pensare che
Bitcoin Italia sia effettivamente molto ricca.
Giocano
tutti in Milan-Juventus, molto giocano anche i portieri, eccetto Cristiano
Ronaldo. Proprio lui, il Fenomeno, quello che, quando si poteva, riempiva gli stadi.
Nessuno della Juventus gli passa mai la palla (né lui la cerca), e vincono lo
stesso, pur giocando praticamente in dieci. Forse perché Ronaldo guadagna da
solo quanto mezza Juventus – se non tutta.
Ronaldo
non ha creato in tre anni uno spirito di squadra attorno a sé. Non per snobismo,
certo, per carattere. Ma il calcio è sport di squadra, le sperequazioni tra calciatori
possono essere d’impaccio – lo stesso è successo a Messi con la sua Argentina,
mai un successo (col Barcellona è stato diverso per gli Iniesta, Busquets,
Piqué, Fabregas, Dani Alves dietro). Giocano tutti insieme invece i milanisti - perdono ma
giocano meglio della Juventus, con più ritmo e molta intesa: in una squadra
dove una saggia direzione sportiva ha equilibrato gli ingaggi, senza sperequazioni
eccessive.
Vanta
l’inglesissimo Johnson, uscito trionfale dall’Unione Europa, il “primato
mondiale” nell’adozione del vaccino anti-covid: “La rivendicazione del «primato»
suona curiosa per un frutto della ricerca di un’azienda tedesca fondata da
immigrati turchi, sviluppato in collaborazione con l’americana Pfizer, sostituita
a New York nel 1849 da due cugini immigrati dalla Germania, diretta oggi dal
manager di Salonicco Albert Bourla, e che è prodotto in Belgio e in Michigan” (“Lotta
Comunista”).
Se bastasse, si potrebbe dire: niente paura, è la solita vecchia crisi
democristiana, di potentati in lotta per il potere. Renzi presidia – presidiava
– l’energia e la ricerca, ha avuto da Conte soddisfazione a metà, con le conferme
di Descalzi all’Eni e di Starace all’Enel (conferme gestite peraltro dai due
manager, che hanno contatti allargati), non l’ha avuta per la ricerca, e
minaccia ritorsioni.
Anche per l’energia la questione non è chiusa: una dozzina di miliardi
sono in ballo per l’idrogeno, che dovrebbero andare a Eni-Snam per l’idrogeno
blu (da gas). Ma Conte propende per il
verde, che si produce da fonti rinnovabili, eolico, solare, e idroelettrico, le
stesse che già beneficiano degli “oneri di sistema” carissimi pagati in
bolletta: miliardi gratis su miliardi già gratis, quindi, che creerebbero a
Conte una base solidissima (di questo partito è anche Starace, ma non è una
garanzia per Renzi). La ricerca impegna meno risorse, ma è un settore control free, su cui Bruxelles non può mettere
becco, ed è una base di potere enrme nel settore industriale. Conte s’è preso
tutto, e non ha nemmeno confermato il presidente renziano del Cnr, Inguscio,
scaduto da un anno, e non lo rifinanzia – il bilancio è in deficit consistente,
sui 100 milioni.
Questo sito
recava ieri l’epigramma: “Niente paura, solo cazzotti\ L’Italia
è sempre quella\ Di Moro, Fanfani e Andreotti”. Sulle questioni di potere gli ex Dc, Conte e Renzi, che
hanno ormai il dominio del Pd, non transigono. L’ultima faida della Dc
propriamente detta, di Andreotti contro Forlani, vide il dossier Enimont a
Milano e Forlani alla Caritas. I penultimi furono, ancora anni 1990, le liti
fra Andreotti e De Mita – De Mita una volta ritirò a Andreotti ben cinque
ministri, non due, e Andreotti non si dimise. Nel 1974 Andreotti condusse una
campagna esplicita contro Moro, con dossier petroliferi per tutti i suoi collaboratori,
Freato, Miceli – dossier disinnescati quando Moro affidò a Andreotti i
governi a sostegno Pci.
Se bastasse, cioè se non ci fossero la peste da covid, il debito fuori
controllo, i fondi europei pericolosamente lontani, la disoccupazione, le
chiusure, i fallimenti. Ma tutto questo non importa: per i Popolari, ex Dc, conta
il potere, e il potere è inscalfibile.
La ricetta dei Vanzina, senza il
fastidioso giovanilismo, e senza la congiunta cachessia linguistica, fra tre
famiglie milanesi in vacanza al Sud (una oriunda). Col cane, i figli problematici,
e mogli e mariti incasinati. In una villa super-luxe fourstar eccetera
affittata per errore da tutt’e tre: hanno affittato la stessa casa, e il più della
vacanza è fatto.
Una sceneggiatura veloce, e una serie
di cameo memorabili, ne fanno – visto a distanza, dopo l’infelice uscita a metà
marzo – un film di culto, di quelli che si rivedono sempre con qualche novità.
Placido, maresciallo dei carabinieri sull’isola, che non vede l’ora di
sbarazzarsi dei turisti, sopra tutti: ha tre-quattro scene da antologia. Ma
anche le mogli, Lucia Mascino nevrotica, Carlotta Natoli paziente, e la Gialappa’s
Maria Di Biase cicciotta tuttofare. O il
danese della “civile Danimarca” - “lì al Nord sanno come fare” - che rovescia gli
stereotipi Nord-Sud: grasso, forforoso, caciarone, gelosissimo della figlia
dodicenne, di cui scruta le lettere.
Il ritorno di Aldo, Giovanni e
Giacomo al garbato assurdo degli inizi, e il ritorno di Venier col trio, col
quale per anni ha lavorato al cinema e in teatro - con il recupero sullo
schermo di una della sua Gialappa’s e dello humour della banda, con la quale ha
debuttato e lavorato per anni - avviene in stato di grazia.
Massimo Venier, Odio l’estate, Sky Cinema
Niente
paura, solo cazzotti
L’Italia
è sempre quella
Di
Moro, Fanfani e Andreotti
il
Conte doppio, Renzi e Mattarella
Mi
dimetto ma non rinuncio
All’appannaggio.
Quanto
a governare
Chi
me lo fa fare?
Tanto,
comunque il voto
Causa
virus è vietato
Vanno su e giù i titoli bancari con balzi enormi,
del 6 e 7 per cento in una seduta di Borsa, Unicredit, Bper, Bpm, senza ragione
apparente. Senza che la Consob faccia (un minimo di) luce. Si può giocare con
le banche: non sono di interesse pubblico?
Tanto, poi, certo, c’è il bail-in: paga chi ha comprato, il famoso risparmiatore-investitore.
La Rca non è diminuita per il 2020, anno di
circolazione ridotta – il consumo di carburanti per autotrazione si è ridotto
del 22 per cento: non ci sono stati rimborsi. E non diminuisce per il 2021,
anche se il blocco relativo della circolazione continua – come si sa già da
quattro mesi.
Paghiamo l’Ivass, la Autorità di controllo sulle assicurazioni, per proteggere le grassissime compagnie.
Che si distribuiscono dividendi record, con rendimenti del 15 e del 16 per cento....
Si può essere chiamati a pagare, con
declassamento (e consistente aumento di premio Rca), per un incidente mai
avvenuto, ma denunciato a vostro carico da qualcuno (della stessa
assicurazione) con falsi testimoni e false perizie? Sì – per esperienza - con
Unipolsai si può. Evidentemente l’assicurazionie paga volentieri: si acquista
più clienti di quanti ne perde?
In realtà le liquidazioni abusive di finti
danni Rca non danneggiano l’assicurazione: l’assicurato declassato ha sempre
interesse a restare con Unipolsai, fuori il salasso sarebbe doppio, in base
all’Attestazione sullo stato del rischio. Periti e liquidatori attingono a una miniera
a cielo aperto.
Un vero e proprio business mafioso – che dovrebbe interessare l’Istituto per le vigilanza sulle assicurazioni, ma non gli interessa.
La guerra sia lunga, “ognuno potrà
guardare con una certa tranquillità al futuro”. Anzi, sia sempre guerra, così
non si sprecano mezzi e tempo per fare la pace. E “quante nazioni non si possono
permettere la guerra per mancanza di mezzi?”. Una provocazione, nel 1946, ma
evoca la tristemente famosa “gloriosa macchina di guerra” di Occhetto nel 1994,
ma è pur sempre quello che, non solo i cattivi, anche i “belli-e-buoni” della
Repubblica si augurano e praticano: l’annientamento di qualcuno. Nel loro
piccolo, s’intende, magari solo abbaiando.
I paradossi non mancano – molti bizzarramente
d’attualità, oggi più che allora. Nell’ultimo testo della raccolta, “La
conversazione continuamente interrotta”, che la Nota dell’autore all’edizione
Einaudi del 1971 dice “scritti a varie riprese dal 1968 a oggi”, dalla rottura
con Fellini, fanno da basso ostinato al lavoro degli sceneggiatori, cioè al non
lavoro, di nessun impegno, con un regista che non sa quello che vuole - e
tratta male sua moglie come Fellini con Giulietta Masina. Questi sulla guerra,
il primo testo teatrale messo a punto da Flaiano, rappresentato all’Arlecchino
nello stesso ‘46, “La guerra spiegata ai poveri”, sono
anche geniali. La guerra che si alimenta da sola è il moto perpetuo dei fisici,
soluzione quindi geniale: “La guerra che si alimenta da sé è certo la più
grande invenzione dopo la Guerra dei Cent’anni”. O: “Una guerra senza religione
disonorerebbe l’umanità”. Già, non combattiamo tutti per la libertà?
Ne è ancora più locupletato il
testo più famoso, “Un marziano a Roma”. In virtù del cui sbarco, al Pincio, è,
un po’ come oggi con Grillo, “tutto da cambiare”. Soprattutto le donne, quelle
che uno si porta a letto – questo oggi non è concepibile dirlo, non ché farlo,
ma giusto per dare l’idea del cambiamento, che sia capriccioso. Una catastrofe
si addensa cupa, il marziano è un raggio di sole. E allora: “Abbracciamoci. Siamo
tutti fratelli, tutto deve cambiare”, proprio come dice il papa Francesco. O come
si vuole che sia dopo – se ci sarà - la pandemia: “Non ci sono più bandiere!
Non c’è più popolo! Non c’è più niente! C’è l’uomo, nudo! È il primo giorno del
mondo!” Dimenticato? Era ieri, è oggi: il marziano è l’angelo
dell’annunciazione .
“Un Marziano” è ambizioso: è
molto lavorato (costruito), con versi, odi, inni, preghiere. Il marziano
esordisce in tedesco, citando Goethe che non nomina, delle “Elegie romane”: “Strassen, redet ein Wort! Genius, regst du
dich nicht?”, strade, parlate! genio, non ti scuoti? Il “giovane di
trentacinque anni” Adriano-Flaiano, a corto di sigarette, e “senza un soldo”, fantastica “un mondo
possibile”: “Potremo allungare la nostra vita, combattere le malattie, il male,
l’ignoranza, evitare le guerre, mettere fine ai nazionalismi, dare pane a
tutti, vivere come in un Eden ritrovato? Io dico di sì”.
Molte ambizioni, e molte
freddure, ma non funziona. Flaiano elaborò la commedia da un racconto più felice
incluso in “Diario notturno”, il primo della rubrica che con questo titolo curava
per “Il Mondo” a partire dal 1954. Sollecitato da Fellini, ne preparò varie
sceneggiature per un film, senza esito. Le stesse, probabilmente, ha poi
ridotto per la scena. La commedia è stata portata im teatro nel 1960, subito appena
scritta, dal Teatro Popolare Italiano di Gassman, Lucignani e Codignola, e poi
al cinema vent’anni dopo da Bruno Rasia. Al Lirico di Milano, ricorda la
comprimaria Ilaria Occhini, fu “la più clamorosoa disavventura teatrale”
capitata a lei, e a Gassman, “il fiasco più memorabile della storia del teatro
italiano”: “ Al termine ci fu una specie d’insurrezione del pubblico”. Occhini
tende oggi a vederci una manifestazione d’insofferenza verso “Roma”, un
protoleghismo. Ma la commedia ha rare riprese, non integrali, e Flaiano ci coniò
sopra una delle sue battute più ricordate: “L’insuccesso mi ha dato alla testa”.
A leggerla, è un papocchio divagazioni lunghe,
tra una miriade di personaggi-non personaggi, senza nerbo e senza filo.
L’espressione ha fatto e fa testo:
“marziano a Roma” è Zeman, è Marino, è il genovese Grillo – e naturalmente l’“americano”
Sordi. Ma non a teatro. Le proposte di Flaiano sono state sempre rappresentate,
in sedi anche importanti, all’Arlecchino di Roma, al Lirico di Milano, a
Spoleto al Festival dei due mondi a Spoleto, al Gobetti di Torino. Ma senza
riprese. La produzione teatrale non è molta – Flaiano è stato soprattutto uno
sceneggiatore di cinema. Ma non occasionale, anzi provata e riprovata, dal 1945
alla morte nel 1972. L’esito però sembra da disappetente, svogliato. Impegnato
nelle minime cose, ma non nel tessuto. Anche le punte brillanti non sono sviluppate.
La tragicommedia sempre si scioglie nella bonaccia “romana”.
Oltre ai testi citati, la raccolta
comprende un breve giallo, “La donna nell’armadio”, e l’eterno Romeo e
Giulietta parlato dalla tomba, “Il caso Papaleo” – trovata eccezionale, ma…
Flaiano, abruzzese, quindi di “fuori
porta”, dal nome molto romano, Ennio, è più titolato: si può dire lui stesso il
primo “marziano a Roma”. Per Roma intendendo il teatro. Vi si è avventurato, e
si è perduto. Per un fatto caratteriale? Si voleva un po’ Orazio, anche in
virtù dell’impegnativo Ennio, disappetente benché goloso. È un atteggiamento che
porta in letteratura. Autore di un solo romanzo, giovanile, poi di pezzi –
idee, squarci, battute, quadri. Buono per il cinema, dove i tanti (piccoli)
contributi poi sono messi insieme e animati dal regista. Ma non per il teatro.
Che amava e avrebbe voluto esercitare. Ma il teatro richiede impegno.
Il suo è un teatro di divagazioni.
Sarcito – è la parola giusta, il suo teatro è una “satura” alla latina – di tutto
ciò che gli sovviene al momento in cui scrive, anche di elementi curati, versi,
sonetti rovesciati, rime baciate, calchi e pastiches,
da Shakespeare o altri ingegni. Ma non costruito: senza personaggi a rilievo -
hanno nomi e professioni, ma restano indistinti: si conoscono per quello che sono
solo per le note di regia. Si va per temi, da conversation piece, come lo stesso Flaiano chiama nella nota
editoriale l’ultima composizione della raccolta, “La conversazione
continuamente interrotta”. Si direbbe un teatro dell’assurdo. Ma di parole copiose
e sentenziose, non in libertà come in Ionesco o Adamov che allora facevano
testo. Una mimesi piuttosto del teatro dell’assurdo. Non voluta – non ironica,
non il giusto – e spenta.
Il “Taccuino del marziano” è un’edizione
per bibliofili. A cura di Anna Longoni, la maggiore studiosa di Flaiano. È un
vero taccuino, di piccolo formato, su cui Flaiano ha trascritto con cura 58 aforismi,
non tutti presenti nella commedia – “farsa”, la dice Longoni.
Ennio Flaiano, Un marziano a Roma e altre farse
Taccuino
del marziano,
Henry Beyle, pp. 60 € 25
Giuseppe Leuzzi
Nel Sud di
Flaiano c’è, c’era al tempo al tempo dei “contatti” e delle “interferenze” al
telefono, gli anni 1970, “gente che non conosce i numeri e telefona lo stesso
convinta che facendo ruotare il disco risponda la persona che cerca. Questo succede
nel Sud, specialmente, dove la fede nel soprannaturale quotidiano è più viva”.
Però, non è bergamasco,
è proprio ironia meridionale.
Fanno pena i Comuni commissariati, il Sud ne è pieno. Inattivi nei tempi normali, che durano chissà perché ben diciotto mesi, da un anno sono un deserto. I commissari, che normalmente non fanno, ora non vengono. E la manna continua: il governo dei prefetti provvidente allontana le elezioni e la sinecura si allunga: più contagi più compensi (2,7 milioni al commissario, mensili, 1,6 ai subcommissari), a spese del Comune. Comodamente, a casa.
I commissari di giustizia
Il presidente
della regione Calabria Oliverio è stato assolto – insieme con gli altri capi regionali del suo partito, il Pd – in tempi relativamente brevi. Quanto bastava a
impedirgli di ricandidarsi e al Pd di rivincere. Ma per un motivo giusto: l’inconsistenza della pubblica
accusa, della Procura della Repubblica di Catanzaro.
Non è la prima
volta che le retate del procuratore speedy gonzales Gratteri si dissolvono in
dibattimento. Il giudice Gratteri è sotto scorta perché minacciato dalla mafia,
e quindi merita rispetto. Ma è anche scrittore, in rete si definisce saggista, pubblica
un libro di mafia ogni pochi mesi, più di Saviano, e partecipa sorridente ai talk-show.
Ama punire anche la politica. È la giustizia? In Calabria sì - la Regione è commissariata,
non solo nei tanti Comuni e nella famosa Sanità: nella giustizia ancora di più,
e nella politica.
Il giudice ama
punire tutta la politica: Gratteri si professa di sinsitra, e voleva essere
ministro nel governo Renzi, ma ha colpito, come si vede con Oliverio, anche la
sua parte.
Ci sono processi
anti male, per indagini sbagliate e condotte male, e ci sono errori giudiziari.
Ma il ritardo non è un errore. L’assoluzione di Mannino dall’accusa di mafia, insidiosa,
dopo trent’anni. L’accanimento neanche. Le migliaia di perquisizioni a carico
di Berlusconi. I diciannove processi a Bassolino, con diciannove assoluzioni. E
la pretestuosità – tutti siamo colpevoli di qualcosa, ma… Conoscendo le carte
del processo, quello a Oliverio non era un atto dovuto ma voluto.
Si candida a sindaco
di Napoli l’ex Capo della Procura, e alla regione Calabria il sindaco uscente di
Napoli De Magistris. Questo va Calabria solo perché c’è stato giovane
magistrato di prima nomina, esiliato insofferente, lui che proviene dalla nobiltà di
toga napoletana, e fece di tutto per farsi nominare a Napoli – si
accontentò di Santa Maria Capua Vetere, pur di lasciare la Calabria. Dove, a
questo piccolo suo fine, il trasferimento, inventò inchieste mostruose, “Poseidone”
et al, finite nel nulla, ma dopo
innumerevoli “processi” sui giornali e in tv.
Nella inchiesta più celebre
di De Magistris, Romano Prodi era a capo di una loggia massonica di San Marino,
con la quale si appropriava i fondi regionali calabresi per la formazione professionale.
Testimone d’accusa un carcerato, condannato per traffici sui fondi per la
formazione professionale.
Mafia cinese
La Cina si
compra tutto a buon prezzo – paga bene. Non c’è attività, produzione o
servizio, che non trobi compratori in Cina, presto e bene. Si direbbe uan forma
di imperailismo economico. Una sorta di disegno politico, cioè, dell’occhiutissimo
regime comunista cinese. Non è da escludere. Ma ha molte somiglianze col
riciclaggio.
In piccolo, lo
stesso procedimento è delle mafie: investire la liquidità facile e ingente in
una qualche attività legale e lecita. Qualsiasi, una pasticceria come
un’officina, un rudere come una tenuta agricola. A qualsiasi prezzo. E senza
necessità di un ritorno sull’investimento - più spesso si preferisce un rapido
fallimento.
La liquidità
cinese, che sembra inesauribile, è legale e, è da presumere, controllata. Ma l’accumulazione vi fa bene aggio, se non sulla cocaina, sul
lavoro servile - senza orario, senza minimo retributivo (le leggi ci sono, ma
orari e paghe sono le poche cose che il regime non controlla). Di sfruttamento
analogo a quello mafioso, seppure legale (politico). La sola differenza
sostanziale è la natura del sopruso, se personale o legale.
La mafia legale,
certo, è un’apoteosi – si dirà di Riina come di Romolo, di Numa Pompilio.
Il Sud ha perso la memoria
Eiaculazioni,
all’inglese per esclamazioni e declamazioni, retorica a sfare, classicità su
classicità, dominazioni su dominazioni, si direbbe che al Sud la storia
sovrabbondi. Ma tanta roboanza, comune da Napoli a Palermo, copre uno straordinario
difetto di memoria. Da Napoli a Palermo si direbbe si vive come nel bush, parlano solo i tamburi, e non si
tengono gli annali, si vive giorno per giorno, raccontandosi le stesse storie.
Anche la storia,
per la verità, non è che brilli. Si presenta particolareggiata, diffusa, miriadi
di storie locali, testimoniata, ma non per questo di qualità. Ma anche la
storia, come la memoria, è parte consistente
della personalità. E difetta – scarsa, imprecisa, luogocomunitaria, e comunque
poco importante – da Napoli in giù, Napoli compresa. Che pure, come la Sicilia,
non difetta di annali. Che è successo dopo l’unità (i Borboni sono molto
indagati, è parte della passione per le Grandi Famiglie? Che è successo con la
Repubblica?
I classicismi, e
le nobili prosapie, seppure di soldataglie in cerca di bottino, sanno di mania.
Ma anche la mania è parte costituiva della personalità.
La memoria è
peraltro cumulativa: più passa il tempo più i ricordi crescono e si irrobustiscono.
Non sempre veritieri, si ricordano meglo i fatti imposti. Al Sud si direbbe
l’inverso: più passa il tempo e più si assottigliano. Ma, più spesso, per
sentito dire, da chi la memoria coltiva e agisce.
Sicilia
Dunque, la
“mafia” che Manzoni aveva trovato nel “Don Chisciotte” quando cercava parole
spagnole desuete, “secentesche”, per il romanzo (gliel’aveva trovata suo cognato
Giuseppe Borri, fratello della seconda moglie, scrittore), era un refuso. Stava
per maña, errore di uno stampatore
inaccurato dell’edizione che Borri aveva letto. Generazioni di spulciatori del
“Chisciotte” non l’avevano trovata. Ora, pare, si è trovata l’edizione col
refuso fatale.
La “scoperta” di
Manzoni aveva entusiasmato Sciascia. In effetti la storia è “siciliana”: essere
e non essere, e forse che sì e forse che no. Ma la mafia vince sempre, anche in
filologia? Un po’ meno rispetto.
Sciascia, che si
celebra per il centenario come scrittore, come è giusto, e come moralista, come
è dubbio, temeva la “sicilianizzazione” dell’Italia – la “linea della pama”. La
temeva al punto da vederla già in corso. Ma non è che la Sicilia è stata
“italianizzata”? Come è evidente.
Nel viaggio in
Sicilia nell’estate del 1982 per “la Repubblica” di Scalfari – con la famosa
intervista al gen. Dalla Chiesa, che presagiva la strage di tre mesi dopo –
Giorgio Bocca a Villia Igiea a Palermo chiede a Sciascia indicazioni per un’inchiesta
sulla mafia ad Agrigento. Sciascia lo va a trovare, racconta Bocca ne “Il
provinciale”, e gli spiega tutto quello che sa. Bocca gli chiede qualche nome
dell’agrigentino, Sciascia gliene dà alcuni. “«E gli indirizzi?» «non servono», disse,
«li conoscono tutti»”.
Bocca va ad Agrigento, i nomi sono quelli dei capicosca. “Non ne
riparlai con Sciascia”, continua Bocca, “avevo capito che mi aveva fornito un
suo apologo: solo la mafia conosce se stessa”.
Che vuol dire?
Le vittime della mafia la conoscono meglio.
“Specialisssimo
genius loci” Pietrangelo Buttafuoco vuole
l’impostura – su “Le Lettura” del 3 gennaio: “Quela dell’abate Vella
raccontata” da Sciascia nel “Consiglio d’Egitto”. Ma se è linguaggio comune come
è materia di romanzo? Non sarà una
questione di cervicale, che porta al malumore - sarà stanca la Sicilia di guardare
il mondo dal basso?
Però
è vero, sempre Buttafuoco: “Tra le botole dei luoghi comuni, quella della Sicilia
è delle più capienti”.
Furono sicliani
importanti razzisti negli anni di Mussolini, antimeridionalisti prima che antisemiti:
il gesuita Pietro Tacchi Venturi, il giornalista influente Telesio Interlandi.
È piena di
Goethe, nelle piazze e nelle strade. E sui muri là dove Goethe è passato –
o non è passato, non importa, all’epoca
chi lo conosceva – il libro che celebra l’Italia, e la Sicilia, poi l’ha
scritto trent’anni dopo il viaggio. Anche solo una notte. Una consolazione, come
se l’isola non credesse a se stessa, al celebre verso di Mignon, “conosci il
paese dove il limone fiorisce?”. Troppa grazia?
Morì a Messina Polidoro
Caldara detto da Caravaggio, rifugiato in città da Roma dopo il Sacco – ucciso
da un discepolo, Tono (“Tonno”, dice wikipedia) Calabrese, durante un tentativo
di rapina. Un ragazzetto, per come lo ha lasciato dipinto Polidoro nell’“Adorazione
dei pastori” a Capodimonte, uno dei tanti. Nel primo catalogo del secolo d’oro,
di Giovan Paolo Lomazzo, “Idea del Tempio della Pittura”, 1590, Polidoro da
Caravaggio è tra i sette “governatori dell’arte”, lui con Leonardo,
Michelangelo, Raffaello, Mantegna ,Tiziano, e Gaudenzio Ferrari.
leuzzi@antiit.eu
La parodia elbana del giallo, al
BarLume di Pineta, torna più pimpante. Dopo il lockdown - il primo - si velocizza e vivacizza. Con i vecchietti finalmente divertenti, e
giovani e giovanissimi, soprattutto nei ruoli femminili, in caratterizzazioni da culto. Quella che “si è scopato” con chi capita, una recitazione immobile, di occhi e
labbra, impareggiabile (di cui purtroppo non c’è il nome nel cast). La “fumata”. l’avvocato di paese (il regista si diverte…). Anche il Guzzanti riciclato vicentino perito assicurativo è risuscitato. Impagabili gli scoponi tra i quattro vecchi amici su
Zoom: il primo film girato dopo il primo lockdown
denuda spassoso la boria
digitale, vista da provinciali, ma con estrema precisione.
La ricetta Palomar - con cui Carlo
degli Esposti ha arricchito la Rai (la serie dei “Montalbano” è ormai alla
quarta o quinta riproposta, con record sempre di ascolti) - delle caratterizzazioni locali accentuate,
funziona anche in elbano. Anche in questo film che è una serie di gag comiche,
su una traccia irrisoria – l’inventore del “BarLume” Malvaldi, chimico di
formazione, non sopporta il giallo, troppo finto, se non come escamotage per ridere.
Roan Johnson, Mare forza quattro, Sky Cinema
spock
L’irrealtà della realtà è la stessa cosa che la realtà
dell’irrealtà?
Il paradiso è dei credenti?
“Senza Dio siamo al centro del nulla”, Mogol?
“I nostri antenati erano selvaggi”, Thoreau: e allora?
“Non possiamo permetterci di non vivere dentro il
presente”, Thoreau: dove altro?
“Nessun uomo malvagio fa il male di proposito”, Platone?
spock@aniit.eu
Se non fosse un dramma, sarebbe una farsa. Il contagio si è moltiplicato
mentre le scuole superiori erano chiuse. Ma ora tutto si riapre meno le scuole
superiori. Segando dall’insegnamento tutti coloro, la maggioranza, che non
hanno una stanza propria in casa dove chiudersi in pace sette-otto ore al
giorno, le ore di scuola e le ore di studio. E hanno problemi a comprare un
computer. E devono pagarsi l’abbonamento al fisso, con relativo modem, 360 euro
regalati l’anno alle compagnie telefoniche. Senza contare il ridicolo delle lezioni-interrogazioni
a distanza. E le congregazioni libere degli stessi studenti ma fuori dalla scuola, dove invece sarebbero distanziati.
Una generazione che deve fare i salti mortali per saltare l’istruzione
piuttosto che per farsela. A opera di un governo di sinistra. Protetto da un
capo dello Stato di sinistra che non sa, non vede, non parla. Con coorti di prefetti,
vice-prefetti e commissari. Tutto anticostituzionale, ma non sarà di peggio,
una mafia?
Danno mance a destra e a manca e non trovano quattro soldi per il
trasporto urbano degli studenti, con le migliaia, centinaia di migliaia, di bus
turistici fermi, da un anno ormai. E trattano da cretina la sola ministra che
dice che i ragazzi hanno diritto allo studio.
Si va a scuola in Toscana. Che è anch’essa Dem, ma il presidente Giani
non è della Ditta.
Saggio del 1948, scritto come
introduzione alla “Antologia della nuova poesia negra e malgascia”, del grande
poeta senegalese Léopold Sédar Senghor, oggi dimenticato, Nobel 1968 – che ci
lavorò col suo vecchio compagno di liceo Georges Pompidou, il banchiere futuro primo
ministro di Francia. Sartre vi erige un fondamento solido, con argomentazione vivace
e ancora significativa, alla richiesta di pari dignità delle allora colonie
africane. Un contributo importante al movimento di liberazione, che si avrà a
pochi anni di distanza, di contrasto alle buone ragioni dell’imperialismo.
“Una lettura poetica della
negritudine”, dice l’editore. No, questa è l’opera di Senghor, e dei tanti
intellettuali franco-africani del dopoguerra raccolti intorno alla
rivista-editrice parigina Présence Africaine. La proposta di una forma
artistica, espressiva e comunicativa diversa da quella europea d’acquisto: di
fisicità, danza, musica, canto, naturalismo, e memorialistica e comunitaria
(tribale), invece che annalistica, autoriale, archivistica.
Questa “diversità” non ha dato
buoni esiti, il mezzo secolo di indipendenze ha visto la condizione sociale e
morale dell’Africa deteriorarsi invece di migliorare. Ma ha penetrato le (cattive)
coscienze in Europa, e ha contribuito alla fine in pochi anni del colonialismo.
No, Sartre teorizza un razzismo
antirazzista: la liceità del rifiuto della cultura europea, “bianca”, senza se
e senza ma, e senza un motivo preciso. Se la cultura è veicolo di dipendenza,
allora bisogna fare da sé. Una sorta di dialettica introducendo nel rapporto
politico euro-africano, che servì a indebolire l’eurocentrismo. Nel nodo culturale
del rapporto politico, di dipendenza.
Jean-Paul Sartre, Orfeo nero, Marinotti, pp. 100 € 10
C’è un “altro mondo” anche fuori
dell’America:
“La Lettura”
propone oggi un’America all’orlo della secessione. Di chi? Da chi? Scorrendo l’ampio foliaggio si scopre che questa è – potrebbe essere, forse – l’idea di
un “avvocato del Ku Klux Klan” e di un David Livingstone, “nostalgico del sudismo”.
Sono morte
quattro persone nell’invasione del Congresso Usa. Quattro manifestanti. Uccisi
da chi? Non si può sapere (questo non lo dicono nemmeno i giornali newyorchesi consultabili
online): sono stati uccisi dalla polizia – è stato detto di una sola delle vittime, perché era
una veterana di guerra. La polizia può sparare solo ai bianchi, disarmati.
Fabrizio Barca
prova a “leggere” l’assalto al Congresso per quello che è, una protesta di
disperati - quelli che ai tempi di Faulkner si chiamavano bianchi a pallini neri: “Scene che ci fanno riflettere sull’estrema
fragilità della democrazia Usa. Ma, attenzione, è un segnale per tutte le
democrazie. A quale risentimento arriva
un popolo colpito da enormi disuguaglianze, che non crede più che esista un’alternativa”.
Non si può, verboten, diluvio tweet
contro Barca - tutti ricchissimi i buoni-e-belli italiani, e imperativi: si direbbero piccoli Trump.
In un vecchio film Verdone emigrato in Svizzera faceva un lungo contrastatissimo viaggio alla
Tati, per andare a votare a Matera, ma arrivava alle 14.01 di
lunedì, e il seggio gli veniva implacabilmente chiuso sul muso. Questo non gli sarebbe
successo in America, dove il seggio sarebbe rimasto aperto per lui – a condizione
che votasse Dem?
Si anticipa a
breve il sorpasso economico della Cina sugli Stati Uniti e si discute – l’Europa
discute (l’Italia, che non sa niente, nemmeno che la Cina è una dittatura, e
quindi non può durare) - se gli Stati Uniti sono ancora il Paese leader al mondo. Mentre tutto il mondo, dal bush agli antichi imperi, Cina, India, vive all’ora americana. Con
le tecniche di controllo sociale americane. Coi linguaggi imposti dall’America, i
ban, i like, e le altre delizie. Di servizio al Magnum Opus americano, l’alchimia
commerciale (pubblicitaria). Sotto un arsenale atomico di cui non si sa misurare
la potenza.
Una storia di metà Trecento, che dal
deserto arabico e dall’India sposta l’origine del pellegrinaggio all’Africa,
alla Nubia, che sarebbe l’Etiopia – ma è detta anche Arabia, e viene collocata
in Asia. Non una storia, insomma, ma la solita ricostruzione fantasiosa dei Magi
alla grotta di Gesù. Oppure no, non un viaggio immaginario come si facevano
allora e ancora si faranno fino a Colombo, ma un revisionismo storico. La “storia”
del monaco carmelitano tedesco che insegnerà a Parigi, alla Sorbona, e a
Strasburgo, sposta l’attenzione sull’Africa, cioè sull’Etiopia - l’Africa
cristiana, la mitica patria del mitico Prete Gianni.
“La leggenda, nella sua nuova
forma”, spiega Alfonso M. Di Nola, il troppo presto dimenticato antropologo del
sacro, nella corposa introduzione e nelle elaboratissime note, che prendono i
due terzi del volume, “andava riflettendo l’interesse degli Occidentali per l’Etiopia.
Si progettava di trovare alleati ai crociati, contro i musulmani, non più i
sovrani nestoriani dell’India, ma proprio i re cristian di Nubia e di Etiopia”.
C’era una diplomazia a vasto raggio dietro le Crociate, che la storia delle Crociate
trascura e Di Nola riesuma, di grande interesse
L’edizione riproduce il recupero
operato da Di Nola con Vallecchi nel 1966, impreziosendolo con molte immagini
medievali di varia fonte e materia, medaglioni, incisioni, miniature.
Giovanni di Hildesheim, La storia dei re Magi, La Vita Felice,
pp. 252, ill. € 16,50