sabato 23 gennaio 2021
Il mondo com'è (420)
Cajun – O “Cadien”, sono i francofoni Acadiani,
gli abitanti dell’antica Acadie, la costa orientale del Canada, deportati nel
1755 dai coloni britannici dopo la conquista verso gli S tati Uniti (tra questi
i Kerouac). La maggior parte si indirizzarono verso il Sud degli Stati Uniti,
dove ancora si parlava francese, in particolare la Louisiana e New Orleans. Cajun
sarebbe una deformazione di Cadien-Cadun. Cajun è il gergo francofono, e sono
anche le persone che lo parlano.
Canta la pace, interiore
L’eterna freschezza, ancora ai
settant’anni, quanti ne aveva quando il film fu girato. L’occhio della regista
è simpatetico, ma il viso, l’attitudine, l’eloquio, anche nel ricordo di forti
contrasti, restano come la voce: limpidi. Una giovinezza che viene dall’equilibrio
interiore? Pur in mezzo a tempeste. Le manifestazioni e le marce, anche drammatiche
in Alabama, per l’integrazione razziale nelle università e per i diritti di
voto, con Martin Luther King. Da ventenne, negli anni 1960. L’enorme attività dispiegata per i Diritti
Civili, sempre con Martin Luther King, e poi contro la guerra in Vietnam.
Con molte immagini d’epoca. A partire
dai filmini familiari col folle padre, un fisico del Pentagono neo pacifista che si adattò a insegnare l’inglese, ma ogni anno cambiava costa, e portò la famigliola
anche in Africa, in una colonia inglese. I concerti naturalmente, e le marce. Tutto con naturalezza. E come
portò Dylan al successo – Wharton recupera i filmati di Scorsese del famoso tour
della Rolling Thunder Review de 1975, “una magnifica congrega di cappellai matti”.
Fino all’“orribile tour in Inghilterra, erano tutti drogati”, che portò alla
rottura col futuro Nobel. Il viaggio all’incontro dei prigionieri di guerra a Hanoi,
dove per una settimana subì dentro i rifugi i bombardamenti americani. E poi in
Cambogia, esposta agli americani e ai vietnamiti: Joan Baez è stata e si vuole
soprattutto una pacifista, ma sa di che si tratta e come bisogna prendersi.
Una vita irripetibile, lei stessa
ne ha coscienza, in semplicità.
Mary Wharton, Joan Baez - American Folk Singer, Sky
Arte
venerdì 22 gennaio 2021
Problemi di base femministi di V. Woolf - 618
spock
“Le
donne hanno illuminato come fiaccole le opere di tutti i poeti dal principio
dei tempi”?
“Le
donne sono servite nei secoli come specchi col potere magico e delizioso di
riflettere la figura di un uomo a due volte la sua grandezza naturale”?
“La
donna pervade la poesia, da una copertina all’altra, è quasi assente dalla
storia”?
“Perché
le donne sono tanto più interessanti per gli uomini che gli uomini per le donne”?
“Chi
mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando esso
rimane preso e intrappolato in un copro di donna”?
La
donna è “l’animale forse più discusso dell’universo”?
spock@antiit.eu
L’ultimo turista felice
Pezzi brevi, impressioni,
annotazioni, fantasie, per lo più come consigli di viaggio. Scritti
giornalistici, per “Grazia” la maggior parte, “la Repubblica”, “Corriere della
sera”, e altre pubblicazioni. “Profondamente modificati o riscritti” da Tabucchi
nel 2010. Con un paio di inediti. E una presentazione in forma d’intervista
con Paolo Di Paolo.
Prose didascaliche, pratiche. Ma
garbate, e come ispirate, probabilmente proposte dall’autore e non impegni redazionali, anche le più
commerciali: di qualità, ogni riga, ogni parola. “La letteratura – ha detto un
poeta – è la dimostrazione che la vita non basta”, è la premessa che Tabucchi
fa a Di Paolo. Con qualche memoria personale: in viaggio con la figlia, il
sogno del padre, il ricordo dello zio di Lucca che lo riforniva “di libri di
Conrad e di Stevenson”. Pezzi “onesti”, che pongono il monumento, la veduta, il
luogo, le persone in contesto, per il lettore.
Un mezzo centinaio di schizzi e
ritratti. Alcuni inevitabilmente di maniera. L’Australia. O l’India - quella
di Flaiano invece, che non c’è stato, “Un
giorno a Bombay”, è altra cosa: Tabucchi ne ribadisce l’impenetrabilità, l’alterità
del diverso, e basta. Immagini di viaggi gradevoli, da giornalista, non da
letteratura di viaggio – non Peter Levi, Robert Byron, Chatwin, Theroux.
In
India, cui pure deve l’ormai classico “Notturno indiano”, si mette di fatto tra
“gli sprovveduti viaggiatori che dell’India ebbero appena un’idea”, Moravia, o
la fiutarono, Pasolini. Ma con pezzi d’autore.
“Pisa e Leopardi”. “Delacroix a casa sua”, una scoperta, molteplice, del pittore
amico di Baudelaire – la mano letteraria, la sensibilità musicale. Sète, il
cimitero amrino di Valèry, “quinidi chilometri di sabbia finissima”. Il Jardin
des Plantes a Parigi sembra di attraversarlo, guidati da Jean Hédoard che lo concepì
nel 1626 – il medico di Luigi XIII, “autore fra l’altro di un sapido diario
sull’infanzia e la giovinezza del re che deliziò Carlo Emilio Gadda”.
A suo agio in Portogallo, con gli
eteronimi di Pessoa, e con la saudade.
Che meglio traduce con il “disìo” dantesco, “una nostalgia del futuro”. Ne “Le
mie Azzorre” si riscopre: “Rileggendo il libro ora – “La donna di Porto Pym” - è
a suo modo una cartografia personale, il tracciato della geografia intima di ciò
che ero allora”.
Pagine distese in anni di aspri
contrasti, contro Ciampi, contro l’Italia, che ha votato Berlusconi, “percorsa
anche dalle Brigate Nere”. Dopo averla lasciata come Calvino, perché percorsa dalle
Brigate Rosse. Ma non malinconico, come appare dalle coeve prose politiche e
narrative. “Forse siamo tutti turisti a questo mondo”, riflette allegro avviandosi
a Creta da Hanià a Theriso, alle pendici dei desolati Lefka Ori, in singolare
sintonia col Sartre postumo de “La regina Albermale o l’ultimo turista”.
Pagine distese in anni di aspri
contrasti, contro Ciampi, contro l’Italia, che ha votato Berlusconi, “percorsa
anche dalle Brigate Nere”. Dopo averla lasciata come Calvino, perché percorsa dalle
Brigate Rosse. Ma non malinconico, come appare dalle coeve prose politiche e
narrative. “Forse siamo tutti turisti a questo mondo”, riflette allegro avviandosi
a Creta da Hanià a Theriso, alle pendici dei desolati Lefka Ori, in singolare
sintonia col Sartre postumo de “La regina Albermale o l’ultimo turista”.
Antonio Tabucchi, Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli, pp.
269 € 9,50
giovedì 21 gennaio 2021
Ombre - 546
“«Non
vi vedo, non si sente». I buchi nella didattica online. Problemi nel 30 per
cento delle scuole”. No, in tutte. A metà anno, col primo quadrimestre saltato
per molti licei, emerge la verità della “rivoluzione informatica”. Timidamente,
affidata alle cronache locali.
In
molte scuole manca la fibra ottica. Cioè non manca, Tim è attenta a incassare
come se: non funziona.
Il
bello della dad, didattica a distanza, sarà anche del lavoro da remoto: che si
può lavorare girandosi i pollici.
Nell’insegnamento
la produttività non è cresciuta. Nel lavoro pure, quello di cui come utenti si
ha pratica, la banca e l’assicurazione.
Due
berlusconiani salvano il governo quasi-Pd. Su disegno di Berlusconi? Non si può
sapere. Ma lui tace. E sono sempre suoi fedelissimi, prima Verdini, poi Rossi,
che salvano il Pd a trazione “popolare”, cioè democristiana. Senza premio, non
visibile: niente ministeri né incarichi speciali – Berlusconi ha altre vie.
Tace Di Maio con tutti i 5 Stelle sul salvataggio berlusconiano del governo. Con Berlusconi mai, eccetto che per la poltrona.
Berlusconi
è sempre stato un vecchio Dc, da quando andava da De Mita col pacchettino
regalo in mano, accompagnato da Confalonieri, introdotto da Clemente Mastella,
allora giovane e sornione addetto stampa e factotum. Quando emerse in politica,
negli anni 1990, la vecchia Dc era certa che l’aveva fatto per recuperare il
voto, che presto avrebbe “restituito” - Casini, Follini, probabilmente anche
Prodi, ritenevano Berlusconi malato terminale.
Molto
imbarazzo, nei commenti dei costituzionalisti, e molte reticenze. Per rispetto al
presidente Mattarella, ex giudice costituzionale. Ma è sotto gli occhi di tutti
che la crisi è condotta istituzionalmente nel peggiore dei modi, giustificandosi
con la Costituzione, che finché il governo ha i voti in Parlamento è legittimato.
Ma un governo è lì per governare. Nel migliore dei modi, e comunque non con la
corruzione, per quanto mascherata. Renzi ha aperto al crisi dicendo i piani del
Recovery Fund non buoni e non chiari. Obiezioni? Silenzio.
Il
presidente della Repubblica ha un ruolo attivo, di persuasione politica (moral suasion), e non notarile, come si
dice da verginelle offese. Mattarella conosce i piani del Recovery Fund? Li approva?
Non ha sospetti? Perché non ne parla? Potrebbero interessare anche l’opposizione.
A
Roma, dopo sei mesi di polemiche e preparativi, che hanno impegnato il Campidoglio
e la Prefettura, di piani di ripartizione degli studenti in fasce orarie, i bus
usati dagli studenti superiori sono “sempre pieni”. La sindaca non se ne
occupa, l’Atac nemmeno, la colpa è di chi vuole andare a scuola, e insiste.
“L’Inter
dipende adesso non tanto da una propria crisi ma da una decisione di politica
interna del governo cinese”. Così Sconcerti alla viglia di Inter-Juventus. L’unico
giornalista che sappia come funziona la Cina?
“Occhi
sulla rete”, ammonisce il comandante dei Carabinieri Luzi, “contro il traffico
dei vaccini falsi”. Una volta i falsi, i delitti in genere, erano
marginali: se ne dava notizia perché erano un’eccezione,
facevano scandalo. Li si reprimeva e basta. Ora sono al centro: ci
sono i ristori, attenti agli abusi, c’è il Recovery Plan, attenti alla mafia, c’è
il vaccino, attenti ai falsi. È un problema di fatto (il vaccino falso?) o di
prospettiva? L’apparato repressivo non dovrebbe reprimere, e marginalizzare, il
crimine, o magnificarlo?
Su
dileggiava Scilipoti, che è medico di professione e persona non corrotta, si inneggia
ai “responsabili”, “costruttori”,
“ideatori”. È cambiato qualcosa? Sì, i moralisti sono al governo. Basta la
parola - a parte gli affari?
Della
Lazio che “schianta la Roma”, titola “la Repubblica”, la schianta nel derby non
in una gara qualsiasi, l’unico che prende 6, il voto più basso, è l’allenatore
Inzaghi – uno che vince tutti i derby, che a Roma equivalgono al campionato.
Per fare un favore a Lotito in fase di negoziazione del contratto dell’allenatore.
È giornalismo?
Lo
stesso Inzaghi ha 8 dalla “Gazzetta dello sport”, 9 dal “Messaggero”, 8 dal
“Corriere dello Sport”, 8 dal “Corriere della sera”.
“Oggi
le maggioranze si cercano in Parlamento alla luce del sole e senza vergognarsene”
è vangelo di Franceschini. Cioè di uno che è stato segretario perdente del Pd,
ed è ora un ministro della Cultura che tiene chiusi musei, cinema e teatri, i
luoghi pubblici più sicuri – sicuramente più delle piazze e dei pub.
Le
maggioranze si cercano in Parlamento secondo la Costituzione. Ma su programmi
politici, non di posti, candidature blindate, e forse soldi.
“Non
possiamo governare con chi si è identificato con Trump”, Nicola Zingaretti.
Cioè con Conte?
Scelta difficile tra libro e sigarette
Orwell fu commesso, dopo essere
stato studente (borsista) a Eton, poliziotto in Birmania, barbone in Inghilterra, per un anno e mezzo plongeur
a Parigi, il lavapiatti dei grandi alberghi, l’infimo grado del reparto cucine:
lavorò in una libreria londinese dell’usato. Non era il suo mestiere – non ne
avrà uno – ma ricorda le cose che durano. E ha preso a scrivere. Lasciò la
libreria per un’inchiesta, un progetto dell’editore progressista Gollancz, tra
i minatori e gli operai dell’Inghilterra settentrionale alle prese con la crisi
post crac del 1929, che sarà “La strada di Wigan Pier”, il debutto in
letteratura.
Un Orwell leggero, come suole nei
suoi saggi e ricordi. Che sono poco legati alla politica, non come si
penserebbe dell’autore primo e più importante dell’antisovietismo, quando
ancora la guerra non era conclusa – la stessa “Fattoria degli animali” è una
satira, più che un libello politico. Dopo il lavoro in libreria sarà anche
volontario in Spagna, ma irresoluto, e presto scandalizzato – uno spilungone di
un metro e 88 in mezzo a plotoni di contadini incurvati e scuri. Anche qui con
ragione: abbandonò la guerra quando i comunisti, cui si era avvicinato perché
perlomeno erano disciplinati, decisero di eliminare gli anarchici – di
ucciderli. Ma era uno scrittore di cose: amava guardarsi attorno e vedere.
In
“Libri contro sigarette”, il pezzo forte di questa piccola raccolta, mostra che
non è per i soldi che molti non leggono. E si diletta a calcolare che la sua
spesa annuale in libri, di lui grande, grandissimo lettore, circa 25 sterline,
è meno di quanto un fumatore spende per tabacco e sigarette – anche lui, benché
soggetto a tuberbcolosi. Contando i libri che ha in casa, 442, e calcolando un
numero eguale di libri suoi altrove, ne valuta il costo, per fasce di prezzo, a
seconda se i libri sono comprati nuovi o usati, o sono regalati, in recensione,
in prestito. Dividendo il costo dei libri per i suoi anni di vita attiva, e
aggiungendo altre piccole spese, calcola la sua spesa annuale in 25 sterline.
Che compara con le circa 20 sterline l’anno da lui spese in birra e tabacco prima
della guerra, da giovane senza arte. E con le 40 sterline che ora spende in
tabacco. Non solo: un libro letto per passatempo costa meno, per ora di svago,
che il biglietto al cinema – e, si può aggiungere, è un bene che resta, e
perfino si eredita.
Morale? Nessuna. Se la spesa per
i libri rimane bassa è perché un libro, per quanto interessante, ci diverte
meno che le corse di cani, un film o il pub, non perché costa. L’argomento è
contestabile, ma Orwell non fa teoria del management. Si arricchisce però qui
di una prefazione di Romano Montroni, il genio delle Librerie Feltrinelli – di
come si porta la gente a comprare anche libri.
Ma è lo sguardo d’assieme che lo
porta alla malinconia. “Le confessioni di un recensore”, o “La prevenzione
della letteratura”, altri due saggi di questa piccola miniera, sono una
imprevedibile anticipazione del declino della letteratura, sia all’origine,
all’edizione, che alla diffusione, nella critica.
Con un inopinato errore nelle
“Memorie”, di stampa?, dove Orwell lamenta la mancanza di qualsiasi “pubblicità
per «Declino e caduta» di Boswell”, titolo che non è di Boswell. Sta per
Gibbon, “Declino e caduta dell’impero romano”? L’edizioncina Garzanti opina che sia una
svista per Evelyn Waugh, che debuttava con le sue tragicommedie proprio nel
tempo in cui Orwell faceva il libraio, 1928, con un “Decline and fall” che è
piuttosto una resurrezione. Un romanzo che mette in ridicolo la scuola “pubblica”
(privata) inglese, contro la quale Orwell meditava il lungo saggio autobiografico
che scriverà nel 1946, “Tali, tali erano le gioie”.
George Orwell, Memorie di un libraio, Garzanti, pp. 96
€ 4,90
Un Orwell leggero, come suole nei suoi saggi e ricordi. Che sono poco legati alla politica, non come si penserebbe dell’autore primo e più importante dell’antisovietismo, quando ancora la guerra non era conclusa – la stessa “Fattoria degli animali” è una satira, più che un libello politico. Dopo il lavoro in libreria sarà anche volontario in Spagna, ma irresoluto, e presto scandalizzato – uno spilungone di un metro e 88 in mezzo a plotoni di contadini incurvati e scuri. Anche qui con ragione: abbandonò la guerra quando i comunisti, cui si era avvicinato perché perlomeno erano disciplinati, decisero di eliminare gli anarchici – di ucciderli. Ma era uno scrittore di cose: amava guardarsi attorno e vedere.
In “Libri contro sigarette”, il pezzo forte di questa piccola raccolta, mostra che non è per i soldi che molti non leggono. E si diletta a calcolare che la sua spesa annuale in libri, di lui grande, grandissimo lettore, circa 25 sterline, è meno di quanto un fumatore spende per tabacco e sigarette – anche lui, benché soggetto a tuberbcolosi. Contando i libri che ha in casa, 442, e calcolando un numero eguale di libri suoi altrove, ne valuta il costo, per fasce di prezzo, a seconda se i libri sono comprati nuovi o usati, o sono regalati, in recensione, in prestito. Dividendo il costo dei libri per i suoi anni di vita attiva, e aggiungendo altre piccole spese, calcola la sua spesa annuale in 25 sterline. Che compara con le circa 20 sterline l’anno da lui spese in birra e tabacco prima della guerra, da giovane senza arte. E con le 40 sterline che ora spende in tabacco. Non solo: un libro letto per passatempo costa meno, per ora di svago, che il biglietto al cinema – e, si può aggiungere, è un bene che resta, e perfino si eredita.
Morale? Nessuna. Se la spesa per i libri rimane bassa è perché un libro, per quanto interessante, ci diverte meno che le corse di cani, un film o il pub, non perché costa. L’argomento è contestabile, ma Orwell non fa teoria del management. Si arricchisce però qui di una prefazione di Romano Montroni, il genio delle Librerie Feltrinelli – di come si porta la gente a comprare anche libri.
Ma è lo sguardo d’assieme che lo porta alla malinconia. “Le confessioni di un recensore”, o “La prevenzione della letteratura”, altri due saggi di questa piccola miniera, sono una imprevedibile anticipazione del declino della letteratura, sia all’origine, all’edizione, che alla diffusione, nella critica.
Con un inopinato errore nelle “Memorie”, di stampa?, dove Orwell lamenta la mancanza di qualsiasi “pubblicità per «Declino e caduta» di Boswell”, titolo che non è di Boswell. Sta per Gibbon, “Declino e caduta dell’impero romano”? L’edizioncina Garzanti opina che sia una svista per Evelyn Waugh, che debuttava con le sue tragicommedie proprio nel tempo in cui Orwell faceva il libraio, 1928, con un “Decline and fall” che è piuttosto una resurrezione. Un romanzo che mette in ridicolo la scuola “pubblica” (privata) inglese, contro la quale Orwell meditava il lungo saggio autobiografico che scriverà nel 1946, “Tali, tali erano le gioie”.
George Orwell, Memorie di un libraio, Garzanti, pp. 96 € 4,90
mercoledì 20 gennaio 2021
Cronache dell’altro mondo – e della nuova povertà (89 )
S’inaugura la
presidenza Biden alla presenza di 26 mila soldati, tra Guardia Nazionale e
Esercito. E di nessun altro. Nemmeno un poliziotto durante le manifestazioni anti-Biden,
stato d’assedio non dichiarato subito dopo, con cavalli di frisia e uomini
affardellati con l’elmetto: le guerre l’America fa in
grande, dopo non aver vigilato.
Dagli anni
1980, con la reaganomics (liberalizzazione) e la globalizzazione, l’ineguaglianza
nella distribuzione del reddito negli Stati Uniti, calcola il Fondo Monetario
Internazionale (“How to make America More equal”, da cui si cita nel prosieguo),
“è cresciuta a livelli vicini a quelli degli anni 1920; i benefici della
crescita del pil sono andati senza proporzione a favore del 10 per cento più
ricco di percettori di reddito, mentre la crescita per il resto della
popolazione è stata inferiore a quella del pil – in alcuni casi nulla”.
Dopo l’ultima crisi
prima del coronavirus, la Grande Recessione del dicembre 2007, “l’1 per cento
più ricco è riemerso forte come prima in termini di ricchezza, riguadagnando
quanto aveva perduto già nel 2012”. A marzo 2020, prima della crisi in corso, “le
famiglie dei lavoratori e del ceto medio avevano appena recuperato quanto
avevano perduto” tredici anni prima, “e molte famiglie, specie quelle di
colore, non hanno mai recuperato”.
Il presupposto
dell’economia liberista in vigore da quarant’anni è che avrebbe prodotto più
ricchezza e benessere: “Le regole suppostamemte neutrali e eque che governano i
mercati hanno di fatto traslato il rischio economico dalle imprese e le classi
ricche verso le famiglie a medio-basso reddito”.
Questa economia
ha “affamato la nazione”: “L’investimento pubblico”, in istruzione, sanità,
comunicazioni, trasporti, eccetera, “in percentuale del pil è sceso nel 2020 al
livello più basso dal 1947”.
“In 27 Stati
le leggi sul lavoro rendono difficile la formazione di sindacati”.
Bpm-Bper avanti con juicio, quel Cimbri è troppo bravo
L’ad Castagna ha qualche problema in consiglio
sulla fusione di Bpm con Bper. Ufficialmente la fusione è in stand-by, per due motivi. In attesa che
Bper completi l’operazione Ubi (l’acquisto
delle filiali fuori quota antimonopolio di Intesa), con relativo aumento di
capitale. E che il Parlamento decida sul bonus fiscale della eventuale fusione, se di un
miliardo o di mezzo miliardo.
Politicamente la fusione è omogenea, in capo
al Pd – che propone il bonus da un miliardo. Ma per lo stesso motivo può non
piacere ai 5 Stelle, che sono per un bonus dimezzato. La scelta dipenderà dal
futuro del governo. Ma ci sono crepe, questa la novità, all’interno dell’ombrello
Pd: Bpm è di area popolare, Bper di area diessina, specie per il peso che vi
esercita ora Unipolsai.
La riserva confessionale non è esplicitata –
anche se si è irrobustita con la scelta di Renzi, molto presente nel settore bancario, di lasciare il Pd. Si consiglia
prudenza però a Castagna paradossalmente proprio per quello che fa la forza di
Bper targata Cimbri: l’abilità del dominus di via Stalingrado di creare valore per
Unipolsai, di cui è l’animatore, e anche, da quando ne è l’azionista di
riferimento, per la stessa Bper.
Bpm in questo lockdown naviga ottimamente,
mentre Bper è ai minimi. Ma per tutto il 2020, dopo l’ipotesi di fusione e prima
delle chiusure di novembre, ha navigato a livelli triplicati. La quota del concambio viene ora ardua da definire, rispetto a dieci mesi fa.
Agnelli al capolinea
O via Nedved e Paratici o via tutti, il
presidente Agnelli compreso - dire Nedved è dire Agnelli? La gestione della Juventus
è troppo onerosa e poco promozionale, dal punto di vista della proprietà (la
Exor, della famiglia Agnelli allargata) per continuare con questo assetto. La
sfida di stasera col Napoli non cambia il dato di fatto: la situazione in casa
bianconera è insostenibile. Per la gestione sportiva e per quella economica.
I debiti vanno per i 400 milioni, malgrado l’ingente
aumento di capitale, 300 milioni, pagato da Exor, la “famiglia Agnelli”, un
anno fa. Il bilancio è fortemente peggiorato, per il virus ma anche per i
risultati sul campo: chiuderà in rosso per oltre 100 milioni. Il monte
ingaggi è sempre altissimo, a 236 milioni – Inter paga 149 milioni, Milan
90. Una limatura è stata fatta ma apparente: l’ingaggio di Pirlo, allenatore al debutto,
per soli 1,5 milioni, va sommato a quello di Sarri, l’allenatore allontanato, per
12 milioni; la messa fuori rosa e fuori contratto di Khedira, Mandzukic e qualche altro calciatore
non compensa l’ingaggio di Chiesa.
Su tutto naturalmente pesa la perdita di smalto
e di valore della squadra sul campo. La direzione sportiva è sotto accusa, perché
dopo la cacciata di Marotta niente più ha funzionato: tre cambi di allenatore, poca
qualità, acquisti non in funzione delle esigenze della squadra.
Ed ecco il fad, film a distanza – per ridere
Il primo film “da remoto”, su
skype, zoom, teams, twitch, cellulari, perfino il porno è da remoto, con quarantene, mascherine e convivenze forzate,
con tutti i trovati della rete, videotelefono, già alla sveglia, messaggistica, video, nella solita
remota atmosfera elbana di Marciano Marina. Una trovata geniale: i vecchietti del BarLume che si concertano a distanza - si dirà il nuovo genere cad, conversazione a distanza far, film a distanza? Il morto c’è,
ma giusto per un’ora di gag. Come il gioco di bambini del titolo.
Con spazi speciali per Michele Di
Mauro, il torinese tourné siciliano, che
racconta la sua irresistibile ascesa, a commissario, a questore, a capo della
Polizia - “mi manca solo la presidenza
della Repubblica” - grazie al ferro di cavallo. E per una Susana-Dolores videosoubrette
multiforme, da suora, commissaria, maestrina, misteriosa ma non tanto (eccetto che
per il nome, che il cast non dà) - le cose da esibire sono sempre quelle.
Il regista s’è divertito, veloce
e multiforme più della sceneggiato (che condivide con Davide Lantieri, Ottavia
Madeddu e Carlotta Massimi), e lo spettatore pure.
Roan Johnson, Tana libera tutti, Sky Cinema
martedì 19 gennaio 2021
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (446)
Giuseppe Leuzzi
La terra dell’abbondanza
Italia era il primo
nome della Calabria.
Calabria, terra
dell’abbondanza, era allora il Salento.
La ragazza della
pasticceria di Patrasso, che ci invidia perché torniamo in Italia, richiesta di cosa è per
lei Italia, dopo una riflessione dice: “È grande”. Grandi certo le pianure. per
uno che arriva dalla Grecia, grandi gli ulivi. Grandissimi in Calabria, nella
piana di Gioia.
Un’imposta di scopo contro le imposte
Non decidere la
spesa in base alle proprie entrate, ma fissare le entrate in base alle proprie
spese. Non fare una festa o una grande spesa in base alle entrate, ma la
pressione fiscale decidere in base a quanto si vuole spendere per le feste o
per le guerre.
Federico Zeri,
trovandosi in casi del genere nel suo lavoro di ricercatore d’arte (“Dietro l’immagine”,
253), dice la pratica assurda: “I criteri su cui si fondava questo tipo di
economia oggi parrebbero assurdi”. Ma non lo erano in quella che chiama “economia
precapitalista” – no, semmai prestatalista: sono gli Stati alla fin fine, per
quanto male se ne voglia dire, che hanno introdotto le costituzioni, le leggi,
l’uguaglianza, con le repubbliche, o le monarchie comunque costituzionali.
Ma era un’economia
anche lombarda, milanese.
Zeri vi s’imbatte
cercando i pagamenti di opere commissionate a Milano a Antonello da Messina e a
Petrus Christus, quando li trova iscritti – Antonio Messinese e Pietro di
Bourges (Bruges) – al capitolo “arcieri”. Come mai, si chiede, questa assurdità.
La politica della spesa era fiscale: “Il duca di Milano non spendeva in base
alla proprie entrate, ma fissava le entrate in base alle proprie spese. Non è
che faceva una festa commisurandola al suo reddito: commisurava la pressione
fiscale a quanto gli era costata la festa”. Si vede che per pagarsi il messinese
e il fiammingo aveva messo una tassa per la guerra o per gli arcieri, i
fucilieri di una volta.
Ma non solo il
duca di Milano, bisogna dire. Dappertutto e a lungo, anche tutt’ora, si
impongono tasse per Grandi Opere (si chiama così ora la spesa suntuaria) e guerre - di pacificazione naturalmente, di liberazione. È l’uso che la Scienza delle Finanze ha poi nobilitato in imposta di
scopo. Ma il capriccio era – è - a Milano senza contraccettivi.
O è un vezzo
italiano – italiano per dire “lombardo”, dominante?
No, l’Italia
spende senza curarsi di mettere le tasse. Non si cura nemmeno di quanto spende
di interessi, spende a debito e basta (“tanto i soldi te li buttano dietro”,
oggi, “troppo grande per fallire”, ieri, una ragione si trova). Oppure ha messo talmente tante tasse che non
sa più da dove spremerle - da ultimo il professor Monti dieci anni fa, che ne
ha introdotte in tutti gli interstizi, la spazzatura, la corrente elettrica, il
conto corrente, il conto titoli, il rudere in campagna, la casa dei nonni al
paese, le sigarette, la birra, i bolli, bolli per tutto (ma, certo, Monti è ben lombardo,
milanese, erede del duca, anche se non ha all’attivo né Antonello né i
fiamminghi).
In “Fuori l’Italia
dal Sud”, 1992, facevamo il caso del guidrigildo, la vecchia tassa germanica
che Federico II di Svevia aveva introdotto anche nel suo illuminato regno meridionale,
come mezzo per contrastare le mafie: il risarcimento in denaro di un delitto.
La tassa era stata in vigore in Italia tra i Longobardi e resa legale con l’editto di Rotari,
643. Una vita si pagava in denaro, al danneggiato o ai suoi parenti (per metà,
l’altra metà andava al capo-tribù, o re), secondo coefficienti diversi in base
al sesso e alla condizione sociale. Un uomo (900 solidi) valeva meno di una
donna (1.200), se liberi, se schiavi meno, un ricco valeva più di un povero,
eccetera, e varie cifre erano fissate per i vari arti menomati. “La consuetudine
si estinse”, dice la Treccani, “nel secolo 14° col prevalere dell’autorità
pubblica”.
Oggi i lombardi
non si ammazzano più, e quindi niente guidrigildo. Ma un’imposta di scopo è sempre
possibile – e non sarebbe auspicabile? Un’imposta per abolire le imposte –
insomma ridurle. Si chiama consolidamento, e ci tirerebbe fuori dal fallimento
prossimo venturo. Ma poi Milano, certo, come guadagnerebbe senza debito – si
dice Milano per dire le banche, le assicurazioni, il commercio, la pubblicità?
Pascolo abusivo
“Non
è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno”, ma anche d’estate, di
Corrado Alvaro, l’incipit celebrato di “Gente in Asromonte”, è dire poco: è
difficile e dura. Anche oggi. Il pastore va in Panda o in Jeep, a seguire il gregge, anzi a seguirlo lascia
il cane, lui si limita ala mungitura, quando non la fa meccanica, ma non ha pascolo,
soprattutto dopo l’appropriazione dei terreni comuni per usi civici. Invadente, dannoso,
odiato più che disprezzato.
Oggi
gli armenti si possono nutrire con i mangimi. Che comportano meno fatica e
ingrassano di più e in meno tempo – il gregge non deve scarpinare. Ma i mangimi
costano, e il pastore piccolo non se li può permettere. Altri allevatori invece non li
adoperano per principio: il mangime è composito, può contenere sostanze
animali, e nutrire un mammifero con sostanze animali è pericoloso.
E
insomma, la pastorale è amara - non è come le pastorellerie, musicali e
poetiche, la vogliono. Ed è all’origine di molta delinquenza, la storia delle
origini e cause delle mafie dovrà tenerne conto. Molto brigantaggio è nato e si
è radicato al Sud a partire dal “pascolo abusivo”. Il reato è oggi derubricato,
ma la denuncia comportava arresti e multe - il mancato pagamento delle multe
portava causein Tribunale e altra prigione - e allora tanto valeva ribellarsi.
Milano
Letizia
Moratti, grande volontaria, filantropa, caritatevole, generosa, forse anche buona credente, come
sogliono i lombardi, vuole il vaccino somministrato per prima ai ricchi. Il leghismo
in effetti non è una politica: è un stato d’animo, un modo d’essere. Per gli
altri la carità, perché no.
La
Lombardia era il socialismo in Italia fino a Mussolini. La documentazione
grafica di “Pcd’I 1921”, il libro sulla nascita del partito Comunista, di Gian
Giacomo Cavicchioli e Emilio Gianni, ha una grande Lombardia troneggiante nelle
cartine degli esiti elettorali per i partiti socialisti nel 1921 e nel 1924. Un
quarto dell’elettorato socialista italiano era lombardo: ben il 24,4 per cento
dei suffragi dei due partiti nel 1921, e il 28,7 per cento nel 1924.
Ma
già nella seconda tornata i voti socialisti si erano molto ridotti in Lombardia, da 470 a 300
mila.
“Condanno
sia il neoliberismo sia il populismo”: è tassativo sul “Corriere della sera”, giornale
milanese, l’arcivescovo di Milano Delpini. Si sentirà assediato in mare aperto.
Nella capitale del neoliberismo e del populismo.
“Milano
al buio non male”, Francesco Recami,
milanese di adozione - “Ottobre in giallo a Milano”.
“La
Milanese - Capricci, stili, genio e
nevrosi della donna che tutto il mondo ci invidia”, è titolo dell’editore
Solferino, milanese, scritto da Michela Proietti, che è umbra (parente?) ma è
anch’essa milanese d’adozione. Può quindi pagare il suo tributo da esterna.
Uno
“scenario Bergamo” come metafora di apocalissi evoca il settimanale socialdemocratico
tedesco “Die Zeit” il 12 novembre, lanciando l’allarme che un mese dopo ha
portato il governo Federale della Germania e i Länder alla chiusura totale (lockdown). Ma di questo non si è saputo
nella pur solerte stampa lombarda, attenta a tutti gli echi.
“Case
che si voltano la schiena nei prati di nebbia”, trova a Milano il narratore del racconto di Calvino “Amore
lontano da casa”, 1946. Le case a Milano indispettivano anche l’ingegnere Gadda,
la facciata delle case, senza identità.
Tano
Grasso la assolve anche dall’“episodio” dei bravi nel Seicento: “L’episodio dei
bravi sembra un contesto mafioso ma non lo è”, spiega all’università di
Catanzaro: “Perché non sono autonomi e perché non c’è la rottura dello stato di
diritto, nel Seicento di Manzoni quelle prevaricazioni erano accettate”.
Prodezza
sicula, di dire tre cose e il loro contrario in una sola frase. Oppure: non si
è Tano Grasso, avvocato dell’antipizzo, se non a Milano – è una questione di
pubblicità?
gleuzzi@antiit.eu
Appalti, fisco, abusi (195)
Avere al 31 dicembre 2020 (la promessa di) un rimborso
di consumi luce dall’1 luglio al 31 agosto 2017 per ben 1.113 kWh pagati in
eccesso è angosciante. Cosa paghiamo in bolletta? Determinato come? Da chi?
Perché la bolletta non è semplice e chiara, e non corrisponde al contatore –
che non conta per la bolletta?
Il mercato libero è il ludibrio dell’utente:
una enorme burocrazia per nascondere abusi?
Manda Enel per una casa che non si può
abitare, da un anno il governo lo proibisce, la fattura elettrica bimestrale,
che vanta in grossi caratteri “chiara, sintetica e trasparente”. Costo € 45,65,
per zero kWh fatturati: da mesi il contatore rileva nelle tre fasi sempre le
stesse cifre.
Per Enel, per l’Autorità per l’Energia, gli
euro sono noccioline, un passatempo per le scimmie. In attesa di rimborso, fra
cinque anni, per intercessione di padre Pio?
Vanta Enel nella bolletta una produzione di
elettricità da fonti rinnovabili del 42 per cento. Mentre non è vero. Perché lo
fa – può farlo? Perché si intascano “oneri di sistema”, soldi per “non” fornire
elettricità.
Si poteva in Spagna già molti anni fa (ai
tempi arretrati di Franco) disporre del proprio conto corrente presso qualsiasi
filiale della banca, non si può in Italia nel 2021. Se non per graziosa disponibilità
del capo desk. Per proteggere chi, certo non la sicurezza.
La neolingua del niente
Si approda alla “neolingua” di
“1984”, il romanzo del Grande Fratello occhiuto, partendo da “La politica e la lingua
inglese”, del 1946, coevo della “Fattoria degli animali”, che era la satira del
sovietismo. Già subito dopo la mancata catastrofe nella guerra contro Hitler,
Orwell nota un “catalogo di frodi e travisamenti” nel linguaggio politico, che
minacciano di portare l’opinione pubblica all’insignificanza – quello che
fanno, a leggerlo oggi, i social, del chiacchiericcio deformante, impudico.
Oggi lo diremmo il linguaggio della decadenza, questo concetto che è stato
obliterato proprio in una fase evidente, acuta, di implosione. Orwell ci vedeva
un tradimento, ma questo era invece: l’Inghilterra non era più una potenza
imperiale, ma non lo sapeva. E l’Europa oggi? E gli Stati Uniti? Un libriccino
d’autore, ma tempistico.
Per Eco la neolingua è il fascismo – è il
quattordicesimo requisito del suo “Fascismo eterno”. Owell, pur non essendo
semiologo, uno studioso dei segni e del linguaggio, ne sa di più. Oggi la Novella Lingua non è il politicamente corretto, l’insostenibile
conformismo di una certa sinistra, per
il resto guerrafondaia, in nome della democrazia, certo, si combatte sempre per
il bene, imperialista, monopolista, speculatrice?
“La politica e la lingua inglese” è pessimista, concludendo: “Il
legame speciale tra la politica e lo svilimento del linguaggio è chiaro”. Ma
per motivi che meglio si comprendono oggi, meglio che nel 1946. “Oggi tutto è
politica, e la politica stessa è un ammasso di bugie, inganni, follia, odio e
schizofrenia”. Quando l’atmosfera generale è cattiva, il linguaggio non può non
soffrirne.
Poi Orwell sbaglia, ma per generosità – siamo a ridosso della
guerra: “Dovrei aspettarmi di scoprire – è una supposizione, non ho abbastanza
conoscenze per verificare - che la lingua in Germania, Russia e Italia si è
deteriorata negli ultimi dieci o quindici anni, per effetto delle dittature”. E
invece si è deteriorata poi, nella democrazia. Lui stesso parte dal disagio
dell’inglese in Inghilterra, benché democraticamente il suo paese abbia
resistito e vinto. Il decadimento è globale?
Una piccola stimolante
pubblicazione, con una esaustiva
prefazione del curatore, Massimo Birattari. In traduzione, con gli originali inglesi.
George Orwell, La neolingua della politica, Garzanti, pp. 112 € 4,90
lunedì 18 gennaio 2021
Secondi pensieri - 439
zeulig
Favole
–
I genitori non sono innocui, e anzi pericolosi? Emma Dante ne dà questo
risvolto. Le mamme? “Non potendo dire esplicitamente a un bambino, attento tua
mamma è infida, la favola la traveste da matrigna. Che vuole solo sbarazzarti
di te, mandarti in bocca al primo lupo che passa. Ce ne sono tante anche nella
realtà”. I padri? “Inesistenti, Debitamente morti, oppure manipolati, succubi
delle mogli, incapaci di prendere le difese delle figlie”.
La regista Dante si riferisce ai
personaggi delle favole – lei è personalmente mamma felice di un bimbo
adottato, voluto, inseguito per anni, curato, coccolato, insieme col marito. Il
problema sono le favole. Erano già contro la famiglia? Sono un residuo
dell’epoca del nomadismo, della procreazione intesa unicamente come fattore
fisico, di pulsione, di gesto meccanico? Un’annotazione del futuro? È il futuro
il ritorno al nomadismo, all’individualità nell’ambito di una tribù? Sono le
favole fantasie freudiane anticipate? Sono liberatorie? Sono terroristiche –
creano il rifiuto o l’incertezza invece di dissolverla? Certo, c’è il lieto
fine – di solito.
Filosofia
–
Induce alla religione? Non per deduzione, per limitazione.
“Kant conduce alla grazia”, dice Simone
Weil, la filosofia porta alla religione: “Kant vi porta segnando i limiti della
ragione, che non produce ciò che pensa, ma lo riceve”, coi suoi cento talleri
possibili che nulla aggiungono ai cento talleri reali - il reale è il possibile
certo, anche di noi desideranti, ma il contrario è pure vero: “Lo stesso per
Dio”.
L’intelligenza serve a ripulire
l’ambiente dei falsi dei: il falso Dio che somiglia in tutto al vero, eccetto
che non lo si tocca, impedisce per sempre di accedere al vero. Alla nostra
verità, non del Dio astratto.
Giustizia
–
In Platone la giustizia c’è, e la più grande è quella politica, “Repubblica, II”:
“Esiste una giustizia del singolo uomo e una giustizia dello stato intero; è verosimile
che nella realtà più grande si trovi più giustizia”.
La giustizia più grande è “naturalmente”
quella politica, realizzazione legata al tempo, al luogo e alla cultura in
auge. La giustizia “più grande”, insomma, è fenomenica.
La giustizia non è il dono dell’onestà
per tutti, ma la forza aggregante del viver bene civile. (Per questo la sovversione,
quella vera, subdola, incisiva, non quella dei terroristi, è l’ingiustizia – la
forza che destabilizza.
Heidegger – Kant ha già
un Heidegger, “Antropologia”,184. Ma è un “musicista tedesco residente a
Londra”, che propose e vinse una gara di bruttezza.
Intellettuale – “Gli
studiosi hanno conoscenze; gli intellettuali hanno opinioni, che amano
esprimere in ogni occasione”. L’approccio è di uno scrittore di gialli, Petros
Markaris, ma calzante.
Markaris poi prosegue, sempre credibile: “L’espressione della propria
opinione è intrecciata con due caratteristiche, ognuna delle quali ha una ricaduta
sessuale… La prima è la lussuria dell’analisi. Devono analizzare tutto.
Soffrono di una malattia per cui ancora non è stata trovata la cura: l’analisite. L’altra caratteristica è il
piacere di ascoltarsi. Si ascoltano mentre parlano e si eccitano sessualmente”. L’intellettualità come un’erezione, una
forma dell’eccitazione sessuale.
Musica – Porta all’astrazione,
fuori dal mondo? È risaputo che Prokof’ev, pur essendo pieno del tempo, nel
1917 si astrasse nella sua dacia nei
dintorni di Pietroburgo, “in assoluta solitudine”, a leggere Kant e comporre la
sua sinfonia “classica”, Haydn inseguendo e Mozart, senza le incrostazioni di
Beethoven. Mentre il popolo al fronte si ribellava e nelle città ribolliva la
rivoluzione. Analogamente Richard Strauss, nell’estate del 1942, mentre Hitler
gioiosamente suicidava la Germania nelle steppe, si dilettava a musicare
“Capriccio”, la storia in cui l’abate Casti discute del primato, nel
melodramma, della parola o della musica.
Occidente - È in caduta per definizione. Libera?
Regolata?
Non in tedesco – dove invece cade più spesso, nella trattatistica e
nell’azione.
Politicamente corretto – “È come un’orda da Medioevo
in giro per le strade a cercare qualcuno da bruciare al rogo. Non vedo perché
non dovrei avere il diritto d dire qualcosa solo perché qualcun altro è
contrario. Mi sembra un concetto fondamentale per la nostra libertà” - “Mr
Bean”, Rowan Atkinson. L’attore comico si ritira dalle scene stanco di doversi
censurare. Ma la cosa non è da comici: dove c’è l’ipocrisia, nel mondo
anglosassone per esempio, il mondo di Mr Bean, colpisce duro.
Protegge le minoranze, in teoria, dal
sopruso. In realtà cancella, poiché ne cancella la diversità – l’identità. La
riprova è nella minoranza - talvolta perfino il singolo, individuo - che si
impone come maggioranza, come una maggioranza autoritaria e senza limiti, col
buon diritto che sempre le maggioranze si avocano.
Semplificando, comprime o riduce l’individualità
stessa, e il suo potenziale di crescita, che si suppone protegga: della scrittrice
indiana che vuole Shakespeare a processo, della insegnante femminista che si
rifiuta di fare a scuola Omero, l’“Odissea”, delle scrittrici americane di recete,
di origini messicane, che hanno chiesto la censura di un romanzo sull’immigrazione
dal Messico scritto da una non messicana.
Molto politicamente corretto, specie nell’accezione
cancel cuture, è eccessivo, perfino borderline – se ne parla perché strano.
Ma s’innesta su un fondo vasto e spesso, della minoranza che per principio fa
aggio sulla maggioranza. Non riequilibra
i rapporti, non chiede giustizia e nemmeno risarcimento, vuole solo ammutolire,
imporsi per imporsi. Una deriva della tolleranza verso l’intolleranza.
Storia
–
È maltrattata in Germania, paese di storici. Heidegger la vede “quando l’aereo
porta Mussolini da Hitler” (o era l’inverso?). Marx opinava già nel 1842: “La
Germania ha dimenticato la storia perché non vi succede storia”. Hegel l’aveva
preceduto, “Sulla costituzione della Germania”, 1802, che la celebre frase
apre: “Deutschland ist kein Staat mehr”,
la Germania non è più uno Stato. La Germania, che è solo Stato?
Tempo – Non scandito, non
esiste: se non è scandito, da una misura esterna, è tempo-non-tempo. È il suo
modo di essere nella pandemia in corso, bandita la scansione in lavoro, festa,
pendolarismo, caldo, freddo, bello, brutto, stagionale. La sua varia articolazione
dissolta in un dìffuso grigiore, insistito. Con la sola eccezione, non grata,
della fila, e l’impegno a evitare ogni incontro, tanto più quelli personali.
S’immagini un tempo senza il ciclo giorno-notte, sonno-veglia, di
nutrizione, riposo, e ogni altro istinto o occupazione, sesso, svago, curiosità.
Vero – Un’ombra alla terza
o quarta potenza per Platone, nel suo mito della caverna
La quale è in realtà una prigione.
Dove si vedono le ombre di marionette, agite da soggetti nascosti dietro
un muro.
zeulig@antiit.eu