sabato 3 aprile 2021
Ecobusiness
L’auto elettrica dura otto anni, o 100 mila km. Le batterie sono garantite epr otto anni (quelle al nickel per cinque anni), entro il limite dei 100 mila km compressivi percorsi. Dopodiché andrebbero cambiare, cioè si cambia l’intera vettura.
Il racconto del lavoro appassionante
Il romanzo dell’Uomo Lavoratore
quale si è vagheggiato inutilmente (da Volponi e gli altri scrittori della “fabbrica”
Olivetti, o dai tanti neo realismi, fino alla “Storia” di Elsa Morante) nel lungo
dopoguerra, a opera di uno non “in linea” e quindi a lungo incompreso e anzi
isolato, nella sua stessa casa editrice
– benché reduce da Auschwitz eccetera. Un capolavoro, di narrativa. Forte
del linguaggio, come lingua, molto dialettale, corposa, operaia, quale si
idealizza, e come forma – ritmo, costrutti, sintassi asintattica.
Il “giuanin” di Primo Levi si
chiama Faussone, è un montatore, un impiantista, ha girato il mondo, Russia, India, Alaska, Africa di sopra e Africa di sotto, ne ha viste di tutti i
colori, come si dice, e le racconta a Levi. Gliele sa raccontare, niente di epico,
apparentemente, tutto scorre nell’ordinario ma tutto interessa. L’eroismo del
lavoro viene fuori senza dirlo, la duttilità, l’intelligenza, la passione. Con
una punta del vecchio “lavoro italiano nel mondo”, l’orgoglio del lavoro ben
fatto che in bocca a Faussone suona solo
piacevole.
C’è di tutto, la cronaca, il
dramma, lo scherzo. La tecnica, la fantasia, il chiaroscuro. Un Primo Levi insolitamente
entusiasta si lascia anche lui trascinare dal suo lavoratore universale. Coprotagonisti
sono il derrick, il rame, l’alluminio, il pieghevole, l’inossidabile, gli
elementi familiari al Faussone che li addomestica.
Un racconto anche sull’arte del racconto.
E dell’ascolto – sul ruolo del lettore-ascoltatore nel ricrearsi la narrazione.
Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, pp. 197 € 11
venerdì 2 aprile 2021
Il mondo com'è (425)
astolfo
Cina – Viene rispettata dai virus dell’ultima
specie, dai coronavirus, nella loro denominazione da parte dell’Oms,
l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Prima che il virus fosse di origine
cinese – o prima della presidenza Xi Jinping, che a tutto presiede - i virus si
denominavano in base alla loro provenienza geografica – al luogo dove si erano
manifestati per la prima volta. Negli ultimi decenni: Ebola è il nome di un
fiume, Marburg viene dalla città tedesca, Hera da un quartiere urbano
australiano, Nipah da un villaggio della Malesia. La denominazione è cambiata
con la Sars, che si manifestò a Canton alla fine del 2002. E il nuovo corso è
stato mantenuto con Wuhan, denominando Covid-19 lo specifico virus.
Non
si vuole orientale, una presenza-potenza locale. Il nome è, letteralmente,
Regno di Mezzo, e tale la Cina si considera. Soprattutto con la presidenza “assertiva”
(nazionalista) di Xi Jinping. Accetta la denominazione “Oriente” perché utile
alla sua attuale collocazione nella scena mondiale, e perché effettivamente affacciata
sull’oceano Pacifico, ma si ritiene sempre la Terra di Mezzo. Un paese continentale,
più che una potenza marittima, al centro dell’Asia, fino al Pamir, il tetto del
mondo, prospiciente l’Afghanistan. In un’ottica che vede l’Europa, topograficamente
quale è, e politicamente, come una coda. E la Russia, con la sua vasta invasiva
presenza in Asia, un intruso – a fasi alterne, anche al tempo del presidente
Mao, come il primo nemico.
Corso forzoso – Fu l’atto di debutto
in economia dell’Italia unita, nel 1866, in preparazione alla guerra contro l’Austria.
L’espressione è stata usata nella fase di trapasso dalla moneta con garanzia
metallica alla carta moneta valida di per sé (“corso forzoso”), per il potere
dell’autorità di emissione – nel caso per il potere delegato dal governo alla piemontese
Banca Nazionale del Regno d’Italia - dopo qualche anno di pratica convenzionale
dei cambi e delle valute. Alla vigilia della guerra con la Prussia contro
l’Austria-Ungheria, e dopo due anni di crisi delle esportazioni, che avevano
ridotto le riserve della stessa Banca Nazionale del Regno d’Italia, impegnata a
ripagare in oro e argento i titoli di credito in mani straniere (ma anche
anzionali), il governo autorizzò la stessa Banca a emettere carta valuta senza
appunto la convertibilità in metallo – facendosi nel contempo anticipare un grosso
prestito, a fini bellici, a tasso irrisorio, dell’uno e mezzo per cento.
.
Friedmanismo – Analogo e antitetico
al keynesismo, è la dottrina di politica economica che domina le economie mondiali
da almeno un quarantennio, dalla premiership
Thatcher e dalla presidenza Reagan. Più a lungo e ben più incisivamente di
quanto abbia dominato il keynesismo, l’intervento pubblico nell’economia,
regolatore e di investimento. È voce meno diffusa, anche perché i suoi adepti
non sono ideologizzati come quelli di Keynes. Ma di più vasta e più duratura
presa.
Paul
Krugman ne dava la sintesi in termini di storia ecclesiastica sulla “New York
Review of Books” il 15 febbraio 2007, in morte dell’economista tre mesi prima: “La
storia del pensiero economico nel ventesimo secolo è un po’ come la storia
della cristianità nel sedicesimo secolo. Finché John Maynard Keynes non
pubblicò “La teoria generale dell’occupazione dell’interesse e della moneta”
nel 1936, l’economia – almeno nel mondo di lingua inglese – era dominata completamente
dall’ortodossia del libero mercato.
Eresie emergevano occasionalmente, ma erano sempre soppresse. L’economia
classica, scrisse Keynes nel 1936, aveva conquistato l’Inghilterra così
completamente come l’Inquisizione aveva conquistato la Spagna”.
Questa economia non
aveva però soluzioni per la Grande Depressione: “Keynes ebbe il ruolo di Martin
Luther King, fornendo il rigore intellettuale necessario a rendere l’eresia
rispettabile”. L’eresia diceva che il mercato non poteva risolvere il problema dell’occupazione,
e che lo stato doveva intervenire in grande scala: “Il keynesismo fu la grande
Riforma del pensiero economico. Seguita, inevitabilmente, da una Controriforma.
Molti economisti ebbero ruoli importanti nei revival dell’economia classica tra
il 1950 e il 2000, ma nessuno altrettanto influente di Milton Friedman. Se
Keynes fu Lutero, Friedman è stato Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti. E
come i gesuiti, i seguaci di Friedman
hanno agito come un’armata disciplinata di fedeli, dirigendo una larga ma
incompleta, rotta dell’eresia keynesiana. A fine secolo, l’economia classica
aveva riguadagnato molto, anche se non
tutto, il suo precedente campo, e a Friedman va moto del merito”.
Oriente – Mantiene nella
globalizzazione i vecchi caratteri - che dopo Edward Said, “Orientalism”, usa dire
imperialisti e razzisti, inventati dall’Occidente, ma non per questo meno veri.
David Quammen, “perché non eravamo pronti”, riferisce il ricordo di un
ricercatore medico che in un ristorante di Ho Chi Min City, in Vietnam, assiste
alla macellazione di un pangolino, da 700 dollari, per tre clienti: vivo, stordito
con un mattarello, sgozzato, “il sangue venne raccolto e mescolato all’alcol per
i clienti, e la carne fu cucinata”, il tutto in vista.
Socialismo – Ha mutato
pelle nel Millennio dove è praticato, in Cina, Vietnam, Laos, e in minor misura
a Cuba: dalla lotta alla povertà attraverso la protezione e la promozione delle
masse, dei lavoratori, e della popolazione sfavorita in genere (donne, infanti,
sofferenti) è passato all’arricchitevi. A una “lotta alla povertà” attraverso
l’arricchimento. Cui si arriva anche senza riguardo per i diritti minimi delle
masse, in termini di paga oraria, di orari di lavoro, di condizioni di lavoro.
Stalingrado – Via Stalingrado,
omaggio al dittatore, resta solo in Italia. A Bologna, Prato, Savona, e in provincia
di Perugia e Rimini. Sesto San Giovanni, che si voleva la Stalingrado d’Italia,
d a tempo guarda a destra. Restano le vie Stalingrado camuffate come omaggio alla
resistenza antinazista, ma in quel ruolo il nome sarebbe stato Leningrado: Stalingrado
è stato assunto, in età togliattiana, in omaggio a Stalin. Anche dopo la sua
denuncia al partito Comunista Sovietico da parte di Krusciov nel 1956. In
Russia e negli ex apesi satelliti in Europa orientale le vie sono state
derubricate come ogni altro riferimento a Stalin.
Uomo forte - L’uomo forte
figura ricorrente dei regimi comunisti. Il presidente Xi è oggi in Cina
l’equivalente della presidenza Breznev nell’Urss, copia appena mascherata di
Stalin, con la “normalizzazione” di Praga e quella a distanza della Polonia, le
cliniche psichiatriche, le emigrazioni-espulsioni, le “guerre stellari”.
Xi
opera con finanziamenti e mercati, non con le armi e l’addestramento, ma anche
lui in chiave di proiezione politica mondiale.
A
parte Maduro e i tanti rais arabi e africani, uomini forti si incontrano solo
nei regimi comunisti, in Vietnam, nel Laos, a Cuba a lungo con i Castro, e in Corea
del Nord con la dinastia dei Kim, ora alla terza o quarta generazione.
astolfo@antiit.eu
Perché a Wuhan, o il virus dell’incompetenza
La diffusione nel 2003 della
Sars, antenato del Covid-19, è una comica. In un ospedale di Canton “un
corpulento commerciante all’ingrosso di prodotti ittici”, in crisi
respiratoria, si reca in un ospedale, dove “tossì, ansimò, vomitò e sputacchiò
durante l’intubazione infettando decine di operatori sanitari”. Uno dei medici
dell’ospedale ebbe “sintomi para-infuenzali”, ma si “fece un viaggio di tre ore
in autobus per recarsi al matrimonio del nipote a Hong Kong”. All’hotel
Metropole di Hong Kong, dove pernottava, ebbe poi una crisi, propagandando la
malattia lungo il corridoio del nono piano”. Il personale dell’albergo e gli ospiti
ne furono infettati, alcuni provenienti da Singapore e Toronto. Dopo un mese
l’epidemia era ovunque – “il Metropole, divenuto in quell’occasione tristemente
noto, in seguito cambiò nome”.
David Quammen, lo scrittore
divulgatore scientifico, è l’autore di “Spillover”, il “salto tar le specie”,
che nel 2015 codificava la Saras come la tipologia di infezioni, trasmissibili
dagli animali all’uomo, che ora si è realizzata nel Covid-19. Un anno fa, a
pandemia già aperta ci è tornato sopra. Perché siamo arrivati impreparati al
Covid-19?, chiede all’allora direttore dei Cdc americani, Centers for Disease
Control and Prevention. Per difetto di informazioni? Di soldi? “Per mancanza
d’immaginazione” è la risposta. I virus sono stati finora sottovalutati dai
virologi – nel nostro piccolo, dell’Italia, si ricordano anche le riduzioni in
tv del Covid 19 all’influenza, anzi al raffreddore.
La descrizione di come si è
propagato il Covid-19 agli inizi, nelle tre Cine, e poi dalle tre Cine in una
fiat nel mondo, è perfino esilarante: come un contagiato infetta decine, e
quindi centinaia, e quindi migliaia e centinaia di migliaia, in pochi giorni,
nell’ampio mondo. Da uno a tutti gli ospiti di un albergo. Da uno a tutto il pronto
soccorso, personale medico e infortunati. E da questi a tutto l’ospedale e a
decine di famiglie.
La plaquette raccoglie i due
articoli che Quammen ha pubblicato nel maggio 2020 sul settimanale “New Yorke”.
Letto ora, a quasi un anno di distanza, “Perché non eravamo pronti”, il primo
dei due articoli, pubblicato nel numero del “New Yorker” in data 11 maggio, in
uno spirito ancora goliardico, sembra raccapricciante. Non eravamo e non siamo
preparati, o poco – si vedono in giro masse tumultuanti di giovani e
giovanissimi per esempio, e folle di coppie con cane ai giardinetti, del tutto
spensierate. Mentre le terza ondata è perfino più cattiva della prima. Diamo
alla terza ondata, né la prima né la seconda ci hanno resi più previdenti. E una
quarta si preannuncia.
L’incredibile organizzazione di
Singapore contro la Sars nel 2003, che Qammen descrive nel primo articolo, sgomenta
se si confronta con le Asl, il concentrato del sottogoverno, non qualificato e
inqualificabile. La creazione di un ospedale Covid, senza commistione con altre
patologie. L’obbligo per il personale di questo ospedale di non operare altrove. Controlli
continui della temperatura. Detergenti, mascherine, caschi, visiere e ogni
altra forma di protezione. Tracciamento in 24 ore dei contatti di ogni paziente
colpito dal virus, quarantene controllate a sorpresa con telecamera e telefono,
assistenza ai quarantenati. In tre mesi la
Sars fu bloccata. O della Corea alla prima avvisaglia del Covid, con la
mobilitazione dell’industria farmaceutica alla produzione dei dispositivi di
protezione.
La Corea aveva imparato la lezione
dalla Mers, il virus successivo alla Sars, nel 2015. Quando fece la prova generale
del disastro italiano: come a Codogno e a Vo, i contagiati in attesa ai pronto
soccorso e poi anche in reparto contagiano decine, centinaia di altri pazienti
e gli operatori sanitari, con le rispettive famiglie, gli amici, i conoscenti, i
visitatori di altri pazienti. Quando è scoppiato il Covid-19 c’erano gà esperienze
pregresse su cui basarsi, per l’individuazione e per i rimedi.
Il resto è noto, anche se i
sistemi politici faticano a registrarlo. E semplice: “Le infezioni animali
possono diventare infezioni umane, perché gli esseri umani sono animali.
Viviamo in un mondo di virus, e a malapena abbiamo iniziato a capirlo”.
Resta l’ipotesi che Wuhan, la
Cina, sia stata l’epicentro del contagi non per il mercato di animali vivi. Anzi,
il mercato è scagionato. Mentre resta l’ipotesi di un virus da laboratorio, di
una ricerca sfuggita di mano. L’articolo di Quammen, il primo dei due, è quello
che ha portato l’Oms ora a riaprire il dossier
sull’origine del contagio – dopo averlo chiuso in fretta omaggiando la Cina. La
dottoressa Shi, virologa formata in Francia, direttrice di laboratorio all’Istituto
di Virologia di Wuhan, era molto avanti nell’individuazione di quello che sarà
poi il Covid-19. Potrebbe averne provocato la diffusione con una simulazione?
Il secondo articolo è un omaggio
al pangolino, l’animale più indiziato, più del pipistrello iniziale, e in
alternativa all’esperimento sfuggito di mano, quale diffusore del contagio. È il
racconto di un animaletto simpatico, visto dal Camerun, uno dei suoi habitat di
riproduzione, da dove si esporta nel ricco mercato cinese. Ma soprattutto è un
ritratto, più preoccupante che feroce, di questo mondo, di ricchi “comunisti”
che spendono 700 dollari per pranzare a pangolino.
David Quammen, Perché non eravamo pronti, Adelphi, pp.
100 € 5
giovedì 1 aprile 2021
La Cina al centro
La
Cina è Oriente, come la vuole l’Occidente. Anche perché è un paese “a oceano
unico”, che guarda a Oriente – sottinteso: a differenza degli Stati Uniti, potenza
bioceanica. Ma guarda bene alla sua sinistra, continentale e marittima. La Cina
era e si vuole nuovamente Impero di Mezzo.
Nominato
di fatto a vita, il presidente Xi ha smesso anche la maschera della Cina accomodante
in campo internazionale per rivestire quelli di grande potenza. Moltiplica i
contatti con le capitali del mondo, visite, intese, contratti. Ha moltiplicato
per dieci i finanziamenti e gli investimenti all’estero – gli investimenti
pubblici: quelli privati, anche se con capitale pubblico, sono attivi da due
decenni. E ha accresciuto le spese militari. Ritiene Hong Kong già assorbita alla
Cina continentale malgrado gli accordi del 1997. E ha riaperto la questione
Taiwan.
L’obiettivo
dichiarato è di fare della Cina la maggiore potenza mondiale. Un “Oriente” che
sta al centro del mondo. In questo quadro lo sviluppo economico e sociale delle
aree interne, centro-asiatiche, è un primo passo. Per una maggiore riaffermazione
della Cina verso l’Asia centro-occidentale.
La
sfida è nell’insieme all’egemonia americana. Ma localmente, di fatto, alla
Russia, malgrado gli scambi del presidente Xi con Putin: troppo ingombrante in Asia,
e non dimenticato grande nemico della Cina al tempo del presidente Mao.
Bper balla da sola
All’improvviso
si è fermata la corsa “prendo tutto” di Bper, la ex Banca Popolare dell’Emilia
Romagna. Non della banca, che mantiene il suo passo fermo e modesto – ora sta digerendo
i 500 e passa sportelli ex Ubi che Intesa le ha dovuto cedere. Si è fermato il “prendo
tutto” del suo nuovo socio di maggioranza, Carlo Cimbri di Unipol, l’ex gruppo
assicurativo-bancario della Lega Coop.
Conquistata
Bper e mezza Ubi, l’esuberante Cimbri ha riempito il vuoto della pandemia promettendo
dividendi super, e una buona dose di buy-back per rincuorare le quotazioni, vedendosi
già il terzo gruppo bancario, dietro a
Unicredit e Intesa, se non alla pari. Dava per scontata l’acquisizione, mascherata
da fusione, di Bpm, la banca milanese. E perché non di Mps, con i due miliardi
di dote fiscale che dovrebbe portarsi dietro. Ma l’attivismo dell’ad di Unipol mostra
di avere indispettito Milano, che già da qualche mese ha troncato i fili lungo
la via Emilia.
Ombre - 556
Draghi forse è stato escluso, ma potrebbe anche essersi escluso dal vertice a sorpresa di Merkel e Macron con Putin - mentre a Roma faceva scoppiare lo scandalo dello spionaggio russo. La diplomazia italiana ha più carte - più capacità - di quanto si pensi. Il vaccino russo è già stato assicurato - commercialmente, produttivamente. Senza indisporre gli Usa, non con i teatri.
Nell’imputazione
a carico del 33presidente della regione Lombardia per gli appalti in famiglia di
Dpi, i dispositivi anti-covid, si legge che ha cinque o sei milioni in Svizzera,
“scudati” nel 2015, cioè
rinazionalizzati, dopo essere stati parcheggiati alle Bahamas. Che sarebbero i
risparmi della madre dentista, pensionata a ventimila euro, annui, o i suoi da avvocato. L’origine e la natura della
sommetta sarà tutta da verificare, ma la sua esistenza, che non suscita
scandalo, testimonia che l’evasione fiscale non è cosa da superricchi
mangiatori del popolo ma dei (piccoli) dentisti e dei (piccoli) avvocati,
leghisti.
Ed
è ritenuta normale, nessuno se ne scandalizza.
AstraZeneca
cambia nome e bugiardino. Il “bugiardino” è irresistibile. Anche perché lo è:
sotto l’apparenza di essere veritiero - non manca mai, nemmeno all’aspirina, il
caso sporadico di morte – dice tutto e niente. Come se non ci fosse – ma ci
deve essere: l’autorità impone appunto una bugia, una serie di bugie.
Pasquale
Bacco, medico di Salerno, esponente di CasaPound, nemico dei vaccini, “acqua di
fogna”, pubblica un pamphlet “Strage di Stato. Le verità nascoste della
Covid-19”, a quattro mani col giudice Angelo
Giorgianni, corte d’Appello di Messina, con prefazione di Nicola Gratteri, capo
della Procura antimafia di Catanzaro.
Scandalo, Gratteri si difende dicendo di essersi limitato a mettere in guardia
dalle mafie nella gestione dei fondi anti-Covid. Ha scritto la prefazione per
amicizia con Giorgianni, senza nemmeno sfogliare il libro? Certo, Gratteri va di fretta: è candidato ala Procura di Milano e cerca visibilità.
Sui
vaccini, tanto per dire, il giudice Gratteri, si è poi difeso: “Io negazionista? Ma se per l’Ufficio sono
state acquistate migliaia di mascherine e siamo tutti vaccinati!” Mentre non
avrebbe diritto al vaccino prima di tutti, né per età né per funzione. Ma forse
non sa nemmeno se si è vaccinato: ai giudici interessa solo la carriera.
Lamorgese,
la ministra dal cuore tenero con i migranti, a differenza del predecessore
trinariciuto Salvini, non si occupa degli immigrati “eroi”, quello che salvato
tre persone in mare, quello che ha gestito da solo l’albero Bel Siti di Alassio
in mezzo a pensionanti e personale tutti contagiati, et al.. Tutti cittadini d’onore del paese o la città dove si sono resi benemeriti ma non dell’Italia. La burocrazia è invincibile: per una pratica
di cittadinanza ci vogliono quattro anni. .
Hanno
sostituito il capo della Protezione Civile, come a dire “adesso sì”, e gli
hanno affiancato un generale, degli Alpini, detto mago della logistica. I due in effetti
parlano molto – “comunicano”. Ma sui vaccini niente - a metà aprile, “se tutto
va bene”, a due mesi dalla nomina. Si vaccina chi si è organizzato (la regione Lazio), i commissari fanno bene solo a se stessi.
Condannati
due vigili a Roma a venti mesi di carcere, per abuso d’ufficio, falso e
calunnia. Lui ha avuto un diverbio con un motociclista, lei ha falsificato il
verbale per farlo risultare aggredito. Un motociclista, a fine partita della
Roma, ha chiesto al vigile un’informazione. Riposta: “Non sono l’ufficio informazioni.
Il motociclista fa notare il tono sgarbato. Il vigile: “Dammi documenti che ti porto in galera”.
Tre
vigili testimoniano contro i due condannati. Ma la condanna, a sette anni dai fatti,
è alleviata dalle “attenuanti generiche”, che consentono la condizionale, anche
perché “è da ritenersi con tranquillizzante certezza che gli imputati non
commetteranno altri reati”. Per non
smentire i tarallucci e vino. Ma di più perché i giudici come i vigili tutt’uno
si vogliono, sbirri.
La
cittadella giudiziaria di piazzale Clodio a Roma, “la più grande del mondo”, è
prospiciente al parco di Monte Mario, che non si cura. Chi arriva alla cittadella
da Nord-Est rasenta una lunga baraccopoli, di stracci, lamiere e cartoni,
abitata. Non da ora, da anni.
“Non
mi posso muovere dal mio Comune ma posso volare alle Canarie”: non esagera nella protesta il presidente
degli albergatori Bocca - Draghi avrà da fare se vuole un governo serio. “Da un
lato chiudiamo gli italiani in casa ma poi li facciamo andare in tutto il
mondo”, può lamentare ancora Bocca. Non è così che è partita questa seconda
feroce ondata, dallo spinello libero alle Baleari?
La
Spagna, con 3,2 milioni di contagi, su una popolazione di 47 milioni di
abitati, contro i 3,8 dell’Italia, 60 milioni di abitanti, e una incidenza di
250 casi per 100 mila abitanti, come l’Italia, conta però 75 mila decessi,
contro i 110 mila dell’Italia, un buon 15 per cento in meno, e soprattutto non
ha le terapie intensive intasate, solo il 18 per cento, ben sotto il limite del
30 per cento, che l’Italia invece supera abbondantemente, 41 per cento – dal 16
per cento della Calabria al 60 della Lombardia. La Spagna ha un sistema sanitario
pubblico evidentemente non smobilitato come in Italia – e non tanto in Calabria
quanto in Lombardia. E quindi apre gli alberghi, senza limiti.
“Le
terapie intensive sono salite dal 36 al 40 per cento, con punte del 60 in
Lombardia. La soglia sarebbe del 30 per cento. Superarla significa, oltre ad aumentare
la possibilità di decessi, anche penalizzare i malati no Covid, cioè rimandare
cure indispensabili” – Nico Cartabellotta, Osservatorio Gimbe sul S istema Sanitario Narzionale, Bologna, sul
“Corriere della sera”. Non c’è un articolo del “Corriere della sera”, nelle
otto pagine che domenica dedica al Covid, su questa anomalia lombarda.
Le cronache romane scoprono la vigilessa sulla pedana
a piazza Venezia – ruolo immortalato da Sordi – perché lo ha fatto il
“Guardian”. L’inerzia è totale nei giornali, anche per il “colore”: non ci sono
idee, al più si copia, si recupera, si ramazza.
Cristina
Corbucci, la vigilessa, è laureata in Scienze Politiche ed era funzionaria alla
Consip, la centrale statele degli acquisti, ma ha preferito fare il concorso
per vigile urbano, lo ha vinto, e a 43 anni si dice soddisfatta. Da vigile urbano. Potenza di Sordi?
La
Ministra spagnola delle Pari Opportunità, informa “il Venerdì di Repubblica”,
vuole un cambiamento di sesso libero, senza percorso medico. La vice-presidente
del governo e le associazione femministe sono contro, “infuriate”: se un uomo
potesse registrarsi come donna senza controlli sarebbe valutato con criteri
femminili nelle prove fisiche dei concorsi per poliziotti o pompieri. Ingiusto,
il problema è il posto.
Ecobusiness
Il World
Resources Institute dà l’Italia a secco di acqua nel 2040.
È un dato italiano. Fermo, non una proiezione.
E noto da tempo. Per un eccesso di consumi. E per le troppe perdite negli
acquedotti – poco meno del 50 per cento dell’acqua recuperata alle sorgenti e
negli invasi si disperde negli acquedotti. Si direbbe una situazione criminale,
prima che suicida. Ma, rilevata già nei primi anni 1990, quando si cominciò a
parlare dell’acqua come un business, niente
è stato fatto per rimediare, né è in programma, nemmeno in agenda di
discussione.
Non si investe negli acquedotti. Tanto meno
dacché l’acqua è tornata bene pubblico inalienabile.
“I ladri d’acqua assetano l’Europa” è il tema
del supplemento “Green & Blue” di ”la Repubblica”. Non sono banditi, sono le dighe.
Che “rubano” l’acqua, e uccidono la biodiversità: “In Europa una barriera
formata da un milione di dighe ha causato la perdita dell’80 per cento della
biodiversità”. Non è vero, cioè è detto male: uccidono la biodiversità le tante
dighe in aree protette, in essere o progettate. Ma l’energia rinnovabile di
fonte idrica (dighe) è la fonte maggiore tra le energie rinnovabili: dei 129
terawattora di energia elettrica prodotta nel 2019 in Italia da fonti rinnovabili, il 40
per cento è idroelettrico, di gran lunga più di eolico, fotovoltaico, biomasse,
geotermia.
L’ecologia è un serpente che si morde la coda?
Quella industriale sì – l’ecologia è oggi, pur con Greta e ogni integralismo, un
settore industriale, il più ricco di soldi (pubblici, gratuiti).
Il terzo mestiere di Primo Levi
Si scrive per «comunicare»,
dunque «con ordine e chiarezza». La chimica aiuta: “Conduce ad un abito mentale
di chiarezza”. Primo Levi crebbe linguista, tra curiosità e scherzi di parole.
Poi si iscrisse a chimica, anche per uscire dal vuoto linguaggio del regime. E
non se ne è pentito: “Ricordo ancora la
prima lezione del professor Ponzio, in cui avevo notizie chiare, precise,
controllabili, senza parole inutili,
espresse in un linguaggio che mi piaceva straordinariamente, anche dal punto di
vista letterario: un linguaggio definito, essenziale”. Anche Galileo si esprime
così – che ebbe anche lui momenti brutti, ma non bruttissimi come Primo Levi:
il linguaggio aiuta, può essere veicolo di resistenza.
Un “chimico” non semplice, però:
Primo Levi è stato un ricercatore, di linguistica. Specie delle forme popolari
e dirette – colloquiali, dialettali – che Beccaria mette in mostra, analizzando
“L’altrui mestiere” e “Il sistema periodico”, e soffermandosi sulle reiterate
enunciazioni dello scrittore su due temi in particolare, lo “scrivere chiaro” e
le “due culture”. Partendo dall’enunciato, ricavabile da scritti vari e interviste,
che la linguistica era la sua vocazione fin da ragazzo, e resta, sebbene da
autodidatta, il suo “terzo mestiere”. Levi è stato anche, nei decenni in cui l’intellettualità
si separava dalla scienza e dalla tecnica, uomo delle due culture, a suo agio in
entrambe. E col mondo, dell’umo-uomo e dell’uomo-bestia non solo, ma degli
animali, e delle cose. I suoi animali hanno una psicologia. Gli “elementi” hanno
personalità – è autore di racconti straordinari sugli elementi “vivi”, senza
scadere nel fantascientifico. Per una scrittura ordinata, si, ma piena di anomalie, ossimori, idiotismi, apposizioni asintattiche.
Una integrazione alla lettura di
Primo Levi. Non nuova, è di Mengaldo in varie trattazioni, e di Ernesto Ferrero
nel suo “Primo Levi” Einaudi – ma già di Calvino. Nonché dello stesso Beccaria in un lungo saggio sui due mestieri di Levi, qui integrato e risistemato in quattro capitoli. La riscrittura è anch’essa semplice e
accattivante, alla maniera dello scrittore che analizza.
Gian Luigi Beccaria, I «mestieri» di Primo Levi, Sellerio,
pp.129 €12
I due mestieri, free online
mercoledì 31 marzo 2021
È Biden vs. Cina
È
sempre più palese e globale la strategia internazionale della presidenza Biden:
un confronto a tutto campo con la Cina. Avviato da Trump, ma ora sistematico. Un
confronto politico (e militare), oltre che economico, commerciale e monetario.
Tutti i segnali sono convergenti. Il rilancio del legame atlantico. La mobilitazione
delle rotenze asiatiche, Giappone, Corea del Sud, India. Il blocco effettivo, seppure
senza le coloristiche intemperanze di Trump, della presenza cinese in Occidente, Europa compresa, nell’economia digitale e
dell’intelligenza artificiale. Il passaggio perfino drammatico dal bening neglect sulla questione Taiwan,
all’affermazione – poco ci manca – delle due Cine, anatema a Pechino. Il rinnovo
della presenza in Medio Oriente, a partire dalla Libia – non in confronto con
la Cina, che non vi ha interesse, ma della Russia, considerata sua proxy.
La
Cina non ha particolare interesse dal Medio Oriente. Né ha le portaerei per
frequentarlo. Ma Biden proverà a tenerla lontana anche dall’area prospiciente, l’Asia
centro-occidentale, ex sovietica e ora aperte all vie della Seta. Secondo un vecchio
progetto (2011) di Obama e Hillary Clinton, di fare soprattutto del
Turkmenistan, col Kazakistan, un presidio di avanguardia integrato nell’economia
occidentale, e fascia protettiva di Afghanistan, Pakistan e India. Qui si
scontrerà con la Cina, che invece quelle aree si prospetta come Stati cuscinetto,
economicamente dipendenti.
Ma Pechino si tiene alla larga dal Medio Oriente
Una
settimana del ministro degli Esteri cinese Wang Yi in Medio Oriente e nessun risultato.
Ma era soltanto un atto di presenza, di
cortesia: Pechino si tiene fuori dall’Arco della Crisi, dal Medio Oriente
(Siria, Palestina, Afghanistan, Iraq, Iran, Libia). Secondo un’opzione elaborata
già negli anni 1990, quando la Cina si affacciava sui mercati petroliferi come
grande consumatore.
Fu
allora elaborata la strategia che puntava a una presenza cinese in Africa
orientale, anche con basi militari, ma non nel Medio Oriente. L’Est Africa era
approdo conveniente in quanto vuoto di potenza. La Cina non era, non puntava a essere, una potenza navale.
Lasciava il Medio Oriente, la stabilità politica e produttiva della regione, “alle
portaerei americane”. Ritagliandosi per i consumi di fonti di energia il ruolo
commerciale di grande cliente.
Appalti, fisco, abusi (199)
Unicredit paga otto milioni l’anno, salvo
bonus e benefici, un amministratore delegato di cui si dicono meraviglie – lui
stesso fa dire meraviglie, si sa come vanno queste cose : ci sono tecniche collaudate di image-building,
costose ma non poi molto – che non ha nessuna esperienza di gestione di una
banca retail. Con molte migliaia di
sportelli in una mezza dozzina di paesi, vicini e lontani.
Unicredit si dà come ad Orcel, a caro prezzo,
un banchiere d’affari, senza dialogo con gli azionisti, col consiglio
d’amministrazione. Che ora minaccia di votargli contro. La sua nomina è opera
di un comitato nomine, presieduto prima da Andreotti poi da Micossi, che però
non rappresentava nessuno? Le banche italiane, anche grandi e (finora) ben gestite,
sono un mistero.
Acea fattura a fine 2020 consumi per euro
10,47 del periodo 1\12\2017-2\1\2018. Già prescritti cioè. Con abbondanza di
dati – sei fogli. Segue una corrispodenza del peso di quasi un etto del tutto
inutile - una ventina di fogli complessivamente. A cui Acea avrà delegato uno o
più impiegati – oltre agli addetti alla consegna della corrispondenza. È
un’azienda comunale, e lo spreco quindi si capisce – la burocrazia è
invincibile, fine a se stessa. Ma è anche quotata in Borsa: nessuno ne controlla
l’inefficienza?
È anch vero che per non pagare € 10,47 si spende
più della metà, € 5,45, per la raccomandata di contestazione. Più un paio d’ore
perse. La contestazione, secondo la stessa fattura, è possibile al numero verde
o per email. Ma il numero verde dopo la solita congrua attesa si dice inabilitato.
La mail dà “access denied”. Acea si
fa propaganda contro?
Sugli “oneri di sistema”, i finanziamenti esosisssimi
all’industria dell’ecobusiness che ogni utente elettrico paga bimestralmente,
anche se non consuma un kWh, interviene finalmente l’Autorità Antitrust –
nell’inerzia dell’Arera, l’agenzia incaricata della sorveglianza del settore
energia. L’Antitrust chiede al governo “una riforma del finanziamento delle energie
rinnovabili che miri a eliminare il peso improprio degli oneri di sistema dalla
bolletta elettrica e a introdurre invece forme di fiscalizzazione coerenti con i principi ambientali”. In modo
cioè che “tali oneri gravino, in modo selettivo, sul consumo di combustibili fossili
nel riscaldamento e nei trasporti”.
Si spreca – si perde nelle condutture, da
decenni deteriorate – la metà della portata degli acquedottii. Il 43 per cento
per l’esattezza, secondo l’autorità di settore. Ma il dato è vecchio e la media
nazionale è alleggerita dal Nord-Ovest, che ha acquedotti migliori, nel resto
d’Italia le perdite superano il 50 per cento. Non è una novità, la cosa è nota
da almeno un trentennio. Ma non si investe negli acquedotti; si aumentano le
tariffe per far pagare l’acqua dispersa.
Un settore pubblico incapace o corrivo favorisce
l’acqua privata. In bottiglia. Un terzo delle famiglie in città è costretta a
servirsene. L’Italia è terza al mondo per consumo di acqua imbottigliata (in plastica!):
190 litri a testa per ogni italiano. Dietro due paesi dell’ex Terzo mondo,
quindi senza reti idriche nazionali, ma abbastanza ricchi, Messico e
Thailandia.
La favola del padre ritrovato
Tom Hanks sempre straordinario in
un ruolo straordinario alla Forrest Gump. Stralunato e persuasivo. Qui nelle vesti
di un intrattenitore tv per bambini che ama i vicini (il titolo originario è
“A Beautiful Day in the Neighbourhood”), e anche i non vicini. Ne legge le
frustrazioni e le passioni, ne allevia i tormenti immergendoli nella sua
serenità. Acquisita. E non ancora pacificata.
Incluso in una serie di “eroi” dal
mensile “Esquire”, con una foto e un didascalione, con altri 99 “eroi” americani
della vita quotidiana, Hanks-Mr Rogers ne diventa lo storione di copertina. Del
Grande Inviato della rivista, che per disciplina (punizione) è incaricato delle
400 parole che lo riguardano, 12 righe, individua e sa risolvere, pur nel breve
contatto di lavoro, i grossi nodi di una vira di successo irrisolta.
Il film si presente nel genere
biografico. Le note dicono che racconta Fred Rogers, l’animatore di una trasmissione
per bambini di età prescolare, “Mister Rogers Neighbourhood”, andata in onda dal
1968 al 2001. Ma Tom Hanks fa scena a sé - riesce perfino a nascondere l’altezza,
1,85.
La regista, quarantenne, è come
se avesse voluto far rivivere i suoi momenti di felicità bambina col presentatore
bislacco. Già autrice di film lievi sui sentimenti, alterna il fiabesco al reale,
al quotidiano. Con misura, con effetti concilianti.
La storia è anche eccezionale: la
rivalutazione dell’amore paterno, della paternità. Un rapporto – una funzione, un
bene – svanito nel secolo freudiano.
Marielle Heller, Un
amico straordinario, Sky Cinema
martedì 30 marzo 2021
Cronache dell’altro mondo pazze (105)
Gli psichiatri americani hanno una regola, la Goldwater Rule, che impone di non dare giudizi pubblici su un soggetto che
non sia stato esaminato personalmente. Questa regola non è stata applicata
negli anni di Trump. Ora che Trump non c’è, l’università di Yale ha subito allontanato
una psichiatra, Bandy Lee, che ha dichiarato psicotico un avvocato che non
conosce, Alan Dershowitz – legale, tra gli altri, di Trump.
Bandy Lee, che i lettori di questo sito
conoscono, si era distinta nel 2017 per avere dichiarato pazzo Trump. In un
libro che promosse, insieme con altri 26 psichiatri, “The Dangerous Case of Donald Trump: 27 Psychiatrists and Mental
Health Experts Assess a President”. E che molto si industriò di promuovere. In
particolare con una lettera-manifesto, sottoscritta dagli altri 26 psichiatri
suoi coautori, che entusiasmò il “New York Times”.
Licenziando Bandy Lee, l’università di Yale,
specializzata in diritto, ha specificato che la pschiatra era una libera
docente, non in organico all’università, una “volontaria”. Ma la lettera della
psichiatra al “New York Times” il 30 novembre 2021 recava la qualifica forensic psychiatrist at the Yale School of Medicine, psichiatra legale
alla Scuola Yale di Medicina.
La regola si chiama Goldwater perché alle presidenziali
del 1964 il senatore repubblicano Barry Goldwater si ritenne sconfitto a causa
di un sondaggio della rivista “Fact”, che aveva chiesto ad alcuni psichiatri se
non era mentalmente tarato per poter fare il presidente. Il senatore fece causa
al trimestrale, e cinque anni dopo la vinse – con danni morali per 560 mila dollari
ai valori odierni. L’associazione americana degli psichiatri adottò allora la
Goldwater Rule.
Degli altri psichiatri che hanno collaborato
nel 2017 al libro di Bandy Lee nessuno è stato sanzionato dalla American
Psychiatric Association.
Il silenzio di Ortese
“La capitale del lavoro italiano”
è una “foresta di pietra”. Disumana – “appare,
malgrado il suo volto benigno, cordiale, grandezza e tenebra”. Ortese, dal 1953
esule da Napoli, per le reazioni violente ad alcuni dei suoi racconti, nel 1955
approda a Milano. Affermata quarantenne, già premio Viareggio nel 1953 con la raccolta
di racconti “Il mare non bagna Napoli”, prova a stabilirsi nella capitale morale
come giornalista, nonché scrittrice. Ma l’idillio finisce presto con un rifiuto,
questo: sei articoli, che Ortese riunisce in volume nel 1958 con Laterza,
lontano da Milano.
Il silenzio, si direbbe, era il
suo, la difficoltà di empatizzare. Non sul piano personale: Anna Maria Ortese è
scrittrice di forte carica sociale. Anche qui s’immedesima, e le sa raccontare,
nelle situazioni estreme, d’indigenza, di bisogno. Ma non se ne conoscono altri
trasporti – l’intelligenza dominante sembrerebbe impedirglieli.
Il “silenzio d’autore” è
tipologia psicologica che meriterebbe attenzione. Riscontrabile negli autori
più partecipi dell’attualità, come per esempio Malaparte, Hemingway.
La Milano di Ortese è “città
industriale e medievale insieme, affarista e ascetica, spregiudicata e prudentissima,
che dovunque sospetta un’infrazione alla regola, all’ordine stabilito; e
consiglia continuamente il silenzio, predica incessantemente il silenzio”. Ma
anche il disoccupato del § omonimo, “Antonio venuto su dal sud”, esprime “lo
spavento e il misterioso silenzio del Sud”.
Ortese vincerà anche il premio
Strega nel 1967, con “Poveri e semplici”, pubblicato a Firenze da Vallecchi.
Tornata intanto a Napoli, la sua città del cuore. Prima del ritiro nel 1975 a
Rapallo – insieme con la sorella Maria, con la quale ha sempre vissuto. La
biografia più piana, e misteriosa – o meno misteriosa.
Anna Maria Ortese, Silenzio a Milano, La Tartaruga,
remainders, pp. 140 € 5,25
lunedì 29 marzo 2021
Letture - 453
letterautore
Dante
– È riferimento naturale in Balzac - ne avesse o non
conoscenza diretta, della “Commedia” e delle altre opere. Nella stessa
nomenclatura della sua opera, sulla quale tanto lavorò: alla Fine fu “Commedia
umana”, dopo un “La diabolica comedia”. Nel racconto “I proscritti” mette in
scena, compagno di esilio con Dante a Parigi, di fronte a Notre Dame, il
giovane Godefroid, in memoria di Godefroy Cavaignac, suo compagno di scuola al
liceo-internato Lefèvre nell’anno scolastico 1813-1814. E a Godefroy fa raccontare
da Dante un “episodio non scritto” della “Divina Commedia”, in cui un Honorino,
all’“Inferno” tra i suicidi, gli racconta la sua storia d’amore infelice con
una Teresa Donati.
Anche la “Honorine” del romanzo omonimo - la sola,
insieme col falso Honorino di Dante, a portare il nome di Balzac fra i suoi 2.209
personaggi - si difende nei suoi tormenti d’amore con “i cerchi” di Dante: “A nessun uomo,
foss’anche sant’Agostino, che per me è i più tenero dei padri della Chiesa, è
dato entrare negli scrupoli della mia coscienza, che per sono i cerchi invalicabili dell’inferno di
Dante”.
Anche Dante “mussulmano” era in buona misura
anticipato da Balzac. In un abbozzo del 1834, di un’opera pensata per la collezione
di “Studi filosofici”, “La Vie e les Aventures d’une Idée”: “In Europa, le idee
strillano, ridono, folleggiano, come tutto ciò che è terrestre; ma, in Oriente,
sono voluttuose, celesti, elevate, simboliche. Solo Dante ha saldato queste due
nature di idee. Il suo poema è un ponte ardito gettato tra l’Asia e l’Europa”.
Una sorta di “presagio”, nota Vittorio Lugli nel 1951 in “Dante e Balzac”, 28,
“tutto istintivo, della teoria di Miguel Asìn Palacios circa l’influenza
mussulmana sulla Divina Commedia” –
la notazione è riferita da Lugli a F. Baldensperger, “Orientations étrangèrese
chez H.de B”, 1927.
La fortuna di Dante fuori d’Italia è immediata in
Inghilterra: già nel Trecento Chaucer, “il padre della poesia inglese”, assicura
Boitani (“Dante in Inghilterra”, riconosce a Dante “precisione assoluta e
onnipotenza di parola”. Ma tarda in Francia e in Germania, a partire da fine Settecento
- negli Stati Uniti dal primo Ottocento. In Spagna già da Quattrocento, ma
limitata, in particolare opera del poeta genovese-sivigliano Francisco
Imperial.
Ma l’editio princeps
del “Fiore” è francese, di Ferdinand Castets, 1881. La prima edizione critica
della “Commedia” è stata di Karl “Carlo” Witte, 1862.
Si scrivono molte “vite” di Dante, da ultimo di
Santagata, Barbero, Cazzullo, Inglese, Pasquini, Dal Bello, Pisano, di uno cioè
di cui non si sa nulla di coevo, carte, atti, registri, corrispondenze. Di uno,
certo, molto proiettato sul “pubblco” – politica, arte, filosofia, teologia,
storia, polemica contemporanea – e che scrisse molto, anzi moltissimo, ma di
cui non si possiede nulla, nemmeno il più piccolo o casuale pizzino, autografo.
La Germania, dove è arrivato a fine Settecento (è
ignoto a Goethe per esempio, pure tanto italianizzante), è probabilmente il
posto dove è più letto. L’ultimo repertorio della fortuna di
Dante in Germania, compilato da Thomas Klinkert cinque anni fa, “Dante
Deutsch”, ha contato almeno “centosettanta traduzioni”, parziali o complete,
della “Commedia” in due secoli – “una settantina di traduzioni complete e un
centinaio di traduzioni parziali”.
La scoperta si deve allo svizzero Johann
Jakob Bodmer, 1763, seguito poi dai filosofi e poeti romantici, gli Schlegel,
Schelling, Hegel. È tedesca, del filosofo e filologo Karl “Carlo” Witte, la
prima edizione critica della “Commedia”, basata su quattro manoscritti
differenti, 1862 – seguita tre anni dopo da una traduzione “epocale” del poema,
dice Klinkert, e dalla creazione di una Deutsche Dante-Gesellschaft. Altra
“traduzione epocale” nel repertorio di Klinkert è targata “Philalethes”, pseudonimo
del re Giovanni di Sassonia, pubblicata tra il 1839 e il 1845. Nel Novecento
Klinkert registra un interesse perdurante: “La Commedia è stata tradotta da alcuni dei più rinomati filologi: Karl
Vossler (1942), Hermann Gmelin /1949\54), Walther von Awrtburg con sua moglie
Ida (1963)”. Più quelle dei poeti Stefan George (1912) e Rudolf Borchardt
(1923-30).
Klinkert trascura Emil Ruth, l’italianista
“fiorentinizzato” di metà Ottocento che Dante voleva tedesco. Tedesco di
origine: solo un tedesco poteva “ringiovanire” la poesia - a metà Ottocento si
poteva dire, era l’epoca dei “primati” nazionali.
È teatrale: quasi due terzi dei versi
della “Commedia” sono costituiti da dialoghi.
Dialetto
– Persiste già nel mentre che veniva cancellato, da
Dante, specie nella “Commedia”. Paola Manni, “L’invenzione della lingua”,
registra, per dire “ora”, il lucchese “issa” e il lombardo “istra”; il bolognese
“sipa” per “sia; e il sardo “donno” per Michele Zanche di Logodoro, e per
Ugolino della Gherardesca, che è pisano ma aveva domini nel “giudicato” di
Cagliari.
Foja
– In disuso, dopo essere stata per qualche secolo al
centro di molti versi e anche di poemi, sta per la passione sessuale indomabile
odierna, specie omosessuale, come certificato da Gide nel “Journal”, Genet, in “Nostra
signora dei fiori”, da Pasolini in “Petrolio”, da Busi, “Sodomie in corpo 11”, e
da Tony Duvert e Edmund White. Ma non più, non solitamente, non in Gide né in
Pasolini, e nemmeno in Genet, con eccitazione: una foja spenta.
Marinetti
– Ricco, grasso e chiacchierone, così lo registra
Gide nel “Diario” un martedì di maggio 1905: “Alle 2, visita di un Marinetti,
direttore di una rivista di paccottiglia artistica che s’intitola Poesia. È uno sciocco, molto ricco e
molto grasso, che non ha mai saputo stare in silenzio”.
Cinque anni dopo, in uno dei “foglietti” non datati
del “Diario”, Gide è sempre cattivo, ma Marinetti è già personaggio: “Marinetti
gode di un’assenza di talento che gli consente tutte le audacie”. E “fa, alla
maniera di Scapino, da solo tutto il fracasso di un tumulto”. È “l’uomo più simpatico
del mondo se si eccettua D’Annunzio; vivace alla maniera italiana, che prende
spesso la verbosità per eloquenza, l’agitazione per il movimento, la febbrilità
per il trasporto divino”. Nella vista precedente, ricorda Gide tuttavia,
“dispiego complimenti così incredibili che mi obbligarono a partire subito per
la campagna; se l’avessi rivisto, sarei stato preso al laccio: gli avrei
trovato del genio”.
Perugia
– Gide vi s’identifica – in un’annotazione del
“Diario” datata “febbraio” (1896?): “E la mia sola presenza, ovunque, stabiliva
tra tutto ciò che vedevo, ascoltavo e sentivo, una palpitante armonia nella
quale finiva la mia resistenza. Io ci vivevo…”
Poesia
francese – “Come spiega, signor Gide, che non ci sia una poesia
francese?” Gide, invitato a Cambridge, se lo sentì chiedere – racconta nella prefazione
alla sua “Anthologie de la poésie française”, che inaugurò la Plèiade nel 1949
– dal poeta Alfred Edward Housman. Gide ne fu naturalmente stupito, ma poi se
ne fece una ragione: il francese è nelle lettere per la prosa, non ha avuto il
Grande Poeta nazionale, epico, tragico, e nemmeno una poesia consistente, da quella
cortese potendo senza perdite saltare al secondo Ottocento, a Baudelaire e
successivi.
Scrivere – Il “segreto della scrittura è la immensa varietà dei dettagli”: Balzac
arriva a questa conclusione analizzando il successo perdurante di Walter Scott – nella recensione di “Redgauntlet”,
“Feuilleton littéraire”, 1 luglio 1824.
letterautore@antiit.eu
La verità della terza ondata
Londra celebra oggi zero morti per Covid. Si sapeva - era prevedibile - perché la pandemia è stata affrontata con ben altra perspicacia e determinazione che in Italia. In Italia non è finita, al contrario, e non si sa come andrà a finire, per i malati di Covid e per gli altri.
“Le terapie intensive sono salite dal 36 al 40
per cento, con punte del 60 in Lombardia. La soglia sarebbe del 30 per cento.
Superarla significa, oltre ad aumentare la possibilità di decessi, anche penalizzare
i malati no Covid, cioè rimandare cure indispensabili” – spiegava ieri Nino Cartabellotta, Osservatorio
Gimbe sul Sistema Sanitario Nazionale, Bologna, sul “Corriere della sera”.
Come questi malati siano penalizzati è
intuitivo - forse per questo non si dice? Ma merita spiegarlo col cardiologo
Pierpaolo Pellicori, ricercatore all’università di Glasgow su “Start Magazine”:
“Oggi in Uk (16 marzo, n.d.r.) riaprono le scuole. I casi giornalieri di Covid
sono stati 5.089 (su quasi un milione di tamponi), 64 i morti (125.580 da
inizio pandemia). Oggi in Italia: zona rossa. Casi di Covid giornalieri 15.267
(su meno di 179 mila tamponi) e 354 morti (102.499 da inizio pandemia). Di
questi 15 mila casi giornalieri, più di mille verranno ospedalizzati nelle
prossime due settimane e svilupperanno varie complicanze a carico di cuore, arterie
e vene: complicanze cardiovascolari molto comuni nei pazienti con Covid: 80 su
mille un’aritmia, 70 su mille una trombosi, 70 su mille uno scompenso cardiaco,
10-20 su mille un infarto o ictus. Avere tutti questi pazienti in ospedale vuol
dire che medici e infermieri non possono garantire diagnosi e cure necessarie a
chi ha un problema diverso da Covid”.
“Fino al 28 febbraio”, proseguiva il dottor
Pellicori il 14 marzo, a proposito dei bassi contagi nel Regno Unito, “sono
state somministrate circa 10,7 milioni di dosi Pfizer e 9,7 milioni di dosi
AstraZeneca”.
Oggi, giorno in cui scriviamo, si può aggiungere che i ricoveri da covid, 29.163, hanno superato quelli del picco della prima ondata, 29.010.