sabato 24 aprile 2021

La sanità del Vaticano a Rotelli-Bazoli

Il Gruppo San Donato (Rotelli-Bazoli, il presidente è Angiolino Alfano, ma è una foglia di fico), milanese, il più grande gruppo sanitario privato della Lombardia e dell’Emilia, si compra anche l’ospedale dell’Isola Tiberina. L’unico rimasto in attività del Centro Storico della capitale. Con piena occupazione dei posti letto. Un reparto di neonatologia da dieci nascite al giorno. Lunghe file ogni mattine per tutti gli ambulatori. 

Dopo il San Raffaele di Milano, un altro colpo del cattolicissimo duo Rotelli-Bazoli nella sanità del Vaticano. Entrambi a prezzi di realizzo. Il San Giovanni Calibita, questo il nome del complesso romano, sarebbe (stato) pagato 200 milioni. Il valore catastale, forse, del terreno, mezza Isola Tiberina, e degli immobili. 
In entrambi i casi chi aveva resistito all’acquisto, don Verzé e il cardinale Bertone a Milano, l’ordine dei Fatebenefratelli a Roma, sono finiti nel tritacarne giudiziario. Naturalmente per caso.
A Milano per mala gestione. Difficile da accertare, e poi non accertata, ma il Procuratore Greco è stato nell’intervallo cattivissimo. A Roma i preti che gestivano il Fatebenefratelli non hanno opposto resistenza, né il Vaticano li ha consigliati in tal senso: è bastato dire che due dei preti amministratori erano indagati, forse, per pederastia.
Un tritacarne giudiziario-mediatico, per l’esattezza. A Milano, per don Verzé-Bertone, il “gruppo” si era premunito comprandosi il “Corriere della sera”.
Il Gruppo San Donato non ha (non avrebbe) ancora concluso il nuovo acquisto romano, ma ha già provveduto a riorganizzare le attività. Eliminando quelle non abbastanza lucrative. Come ha fatto in Lombardia e Emilia, le due regioni dove il gruppo è leader nella sanità, le meno organizzate nella prima ondata della pandemia.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (455)

Giuseppe Leuzzi

“Esiste la nostalgia del Sud?”, chiede Valerio Cappelli, romano, a Sergio Rubini, di Grumo Appula, periferia di Bari. “In senso traslato, per la fanciullezza che mi riporta a un’età trascorsa lì”, è la risposta: “Come dice Proust, il passato è fatto di luoghi astratti, ciò che li distingue sono le persone con cui hai condiviso quei luoghi. Quando non esistono più quelle persone, non esistono quei luoghi” – “quelle persone”, cioè i familiari, gli amici d’infanzia.
Veramente Proust dice e pratica  il contrario, ma non ci sono passati che si rifiutano – non si può.
 
Una “Anna I, che pure era stata in India”, la bambinaia di un appunto dei “Ricordi d’infanzia”, là dove descrive il trasloco estivo a Santa Margherita del Belice, dodici ore di viaggio nella polvere e il solleone, Tomasi di Lampedusa trasforma – precisandosi il ricordo? - nella versione definitiva del “Gattopardo” in “mademoiselle Dombreuil, la governante francese, completamente disfatta e che memore degli anni passati in Algeria pr esso la  famiglia del maresciallo Bugeaud andava ripetendo: ‘Mon Dieu, mon Dieu, c’est pire qu’en Afrique”.
 
La cornamusa viene dal Sud, spiega a Rumiz (“La leggenda dei monti naviganti”) “il barbuto vignaiolo Nanni Barbèro da Sarzana”: “La cornamusa viene dal mondo arabo-mediterraneo, e quando arrivò in Spagna prese il nome di gàita. Poi viaggiò ancora. È arrivata in Scozia e Irlanda nel Settecento, dall’Appennino”. Almeno quella.
“Costava poco”, ecco la chiave, “al contrario del violino. Così i nordici l’hanno fatta venire dall’Italia”.
 
Calvino e il Sud
A proposito di Calvino e Vittorini, Elsa de’ Giorgi, che li conosceva bene, e di Calvino fu anche la materna amante, dice alla fine del suo “Ho visto partire il tuo treno”: “Il letterato Vittorini” non “attraeva fino in fondo” Calvino. Più in generale: “Per la verità, se si toglie Verga, al quale peraltro preferiva Svevo, Calvino soffriva qualche conflittualità col sud”.
Perfino col paesaggio: “Fui io a imporgli la contemplazione del paesaggio meridionale. Sosteneva che la bellezza costiera è la prerogativa ligure e della Provenza, prima che del meridione d’Italia”. Preconcetto, per un precedente: “Mi raccontava come la prima volta che aveva visitato il sud era stato colto da  disturbi viscerali imponenti, diagnosticati psicosomatici, tanto aveva sofferto il ribrezzo della gente che viveva in ozio per la strada e all’elemosina”.
L’elemosina al Sud per la verità non usava – eccetto, forse, che a Napoli. Ma questo è plausibile: non molti a sinistra conoscevano la povertà, de visu, per pratica.
Qualcosa però non gli tornava, a Calvino: “Lo intrigava e lo incuriosiva il rapporto dei meridionali con le loro donne del nord: Mimise con Guttuso, e Ginetta che conosceva meglio per frequentare i Vittorini” a Milano. Casi di mésalliance? Interraziali?
 
Il brigante Garibaldi
Il “cippo” di Garibaldi ai piani d’Aspromonte in Calabria, dove fu ferito con due pallottole mentre tentava di prevenire lo scontro armato con le truppe piemontesi, è ora una costruzione in pietra, ferro e cemento, molto chiusa, tipo mausoleo e poco significativa, ma usava essere fino all’inaugrazione del monumento quindici anni fa, un pino enorme, a base biforcuta, con una cavità, una bruciatura, dove i proiettili del generale Cialdini che ferirono l’Eroe dei Due Mondi si sarebbero conficcati. Come di un carbonaio qualsiasi, vittima del fuoco amico-nemico, di una sparatoria fra compari, di un alterco fra ubriachi, di una vendetta. Oppure colpito come un bandito.
Non si è riflettuto a questo, ma fu un’azione anti-brigantaggio. Con i metodi che il generale Cialdini  aveva applicato ai briganti. Era il 29 agosto del 1862. Era cioè nel tempo della prima guerra contro i briganti. Che lo stesso Cialdini, inviato espressamente da Torino, dal re Vittorio Emanuele II, aveva aperto un anno prima. Con metodi così brutali che lo si era dovuto sostituire subito, dopo appena sei settimane, con il generale Lamarmora. nel luglio di un anno  conduceva.
Lo spiegamento di forze contro Garibaldi, comprese le guardie civiche, o Guardia Nazionale, di Pedavoli e Paracorio che consentirono ai “piemontesi” di stanarlo, era quello della lotta ai briganti.
 
Storia facile del ritardo del Sud - 2
Il fossato sarà allargato e approfondito con l’unità, dopo un primo, brevissimo, periodo di espansione. Con la lunga stagnazione avviata dal “corso forzoso” del 1866. Più tasse, fino al “macinato”. Più debito. Meno investimenti pubblici. Appropriazione e svendita, durata fine a fine secolo, dei beni ecclesiastici, “la maggior parte dei quali era situata nel Mezzogiorno”, erano per il Sud il “terzo settore” di oggi, “con la conseguenza che si registrò un maggiore drenaggio di capitali dal Sud”. L’impoverimento fu generale. Ma di più in agricoltura, e quindi al Sud: “Fu l’agricoltura a sostenere la maggiore pressione fiscale”. E poi l’abbandono, l’emigrazione, dalle regioni alpine e appenniniche, e presto, in massa, dal Sud – l’Italia, il debito, il corso forzoso, si sosterranno con le rimesse degli emigranti….  L’emigrazione che sempre priva dele energie migliori.
Cipolla lo dice, e lo certifica. Ma poi ha una resipiscenza: “Gli storici non hanno ancora spiegato, in maniera convincente, la ragione per la quale due aree contigue imboccarono strade tanto diverse”, dopo l’unità. Ripete che il divario era antico. E nota che “al momento dell’unità”, il “dualismo era incontrovertibile”: tutti gli indici, natalità, mortalità, alfabetizzazione, infrastrutture, manifatture, reddito pro capite, “erano favorevoli alle regioni settentrionali”. Ma non vuole dire che il corso forzoso e le politiche doganali del Regno svuotarono il Sud. Finisce di occuparsene, in breve, in tutto un paio di pagine, rilevando con soddisfazione che la Repubblica ha cambiato, un po’, sembra che abbia cambiato, la deriva: “Mentre alla vigilia della prima Guerra Mondiale si poteva valutare il ritardo del Sud in mezzo secolo, oggi il ritardo si è ridotto a circa venti anni”. E conclude rifacendosi ai termini delle analisi del sottosviluppo del Terzo Mondo allora ancora in auge: tra Nord e Sud d’Italia non è un caso di “dualismo”, di sistemi economici diversi e incoerenti, ma di “sviluppo ineguale”, nell’ambito di uno stesso “modello di sviluppo”, da colmare con apposite politiche di indirizzo e aggiustamento
Oggi, nel 1990.  Allora, nel secondo dopoguerra e fino agli anni 1980, probabilmente grazie  all’impulso della Cassa del Mezzogiorno, che si è dismessa con ignominia ma senza colpa, e di cui una storia resta ancora da fare – a trent’anni da quando lo storico ne lamentava la mancanza. Modellata nel 1946 sulla Tennessee Valley Authority del presidente americano F.D. Roosevelt, che tanto aveva contribuito a tirare gli Usa fuori dalla recessione post crac del 1929, con un migliore equilibrio territoriale e sociale. Il fatto è, notava lo storico pavese, che “per la prima volta dall’unificazione, il Mezzogiorno d’Italia uscì dal suo profondo isolamento e sperimentò una crescita del reddito uguale alla media nazionale”. E oggi 2021?
(fine)
 
Sicilia
Volendo fare il Balzac a Palermo, ne “Il mattino di un mezzadro”, uno dei quattro “Racconti”, Tomasi di Lampedusa si arrischia a dire che nel 1901, “in un paese come la Sicilia”, l’economia “era, come nelle città-stato antiche, esclusivamente fondata sull’usura”.
Nelle città-stato no, e neanche in Sicilia probabilmente. L’economia degli aristocratici, forse, dei nullafacenti.
 
Non gli piaceva molto, la Sicilia, al nobiluomo sfaccendato infine autore del “Gattopardo”. Nello stesso racconto, “Il mattino di un mezzadro” (o “I gattini ciechi”), avendo dato a un ragioniere “teneri sentimenti” (è uno di casa, “impiegato nell’amministrazione Salina ai tempi burrascosi del vecchio principe Fabrizio”) specifica: “Varietà umana rarissima in Sicilia”.
 
Nello stesso racconto, ambientato nel 1901, garantisce che “impunito era, allora, motivo di estimazione, l’aureola dei Santi siciliani essendo sanguigna”.  
 
Verga, Pirandello, lo stesso Capuana, Tomasi di Lampedusa, la “robba” fanno oggetto di spregio. Non c’è lavoro onesto, c’è accumulo sordido e avarizia. Tutti aristocratici snob (ma non è una contradictio in terminis?) gli scrittori nell’isola.
 
Ragusa, Modica, Scicli, Santa Croce Camerina, Donnalucata…. Una miniera, aperta da Sironi e Carlo degli Esposti, il regista e il produttore di Montalbano. Una riserva di turismo integralmente inventata e alimentata, senza alcun impegno locale, al regista e al produttored dei “Montalbano”, un lombardo e un emiliano.
 
Catania, a lungo centro industriale e agrumario dell’isola, è ora un deserto. Della farmaceutica e della meccanica non è rimasto nulla. Sopravvive solo StMicroelectronics, joint-venture italofrancese a capitale pubblico. Le arance vengono da Ribera e altri luoghi dell’agrigentino. La geografia economica è mobile, basta poco.
 
L’agrigentino è stato l’ultima grande area d’emigrazione negli anni 1990, con la chiusura delle ultime miniere, quelle di salgemma dopo quelle di zolfo, e l’abbandono dei fosfati. Con l’agrumistica a Ribera, si è inventata e sviluppata l’uva Italia a Castelvetrano. Perfino il deserto di Bronte si è rivitalizzato, attorno ai legnosi pistacchi. E la valle dei Templi ora si riconosce per quello che è, un miracolo di conservazione. Chiudendo la favola di Agrigento, dove nessuno andava, dagli anni 1950 prototipo senza più dell’abusivismo edilizio.
 
Quanto del boom dell’agrigentino e del ragusano è basato sull’effetto Montalbano, un effetto di autostima? Il ragusano, un deserto polveroso, ha tradotto l’insolazione in motore di sviluppo. Con poca acqua si fanno due e tre raccolti l’anno, di primizie e produzioni tardive. La calcinata Siracusa ancora negli anni 1990 è probabilmente il caso più riuscito in Italia di turismo culturale. Senza i danni del turismo di massa, ma sostenuto, tutto l’anno.
 
Un sicilianismo diffuso, messo in circolo dalla lirica siciliani degli esordi, con presa ampia, è “disio”. Si potrebbe identificarvi l’isola, desiderante, quindi inappagabile.
 
“Non solo sono artisti come gli antichi greci, ma anche ospitali come i Saraceni e fastosi come i Normanni” – Alexandre Dumas dei siciliani.
 
Catania, nota Carlo Levi a passeggio per la via Etnea, ama le “tipizzazioni”, che dice “una delle tendenze dell’ellenistico spirito catanese”: “C’è, pare, chi passa il suo tempo a creare nella realtà dei tipi, influenzando e foggiando, secondo un suo piano, qualche sua vittima, per il solo piacere di poterla descrivere”.
 
Bronte è in Esiodo, “Teogonia”, un  ciclope, che con i fratelli Sterope e Arge fabbricò la folgore di Giove. Figli, allo stesso modo dei Titani, di Urano e Gea, del cielo e della terra.

leuzzi@antiit.eu

Il Gattopardo sono io

La riedizione dei “Racconti” dell’autore (postumo) del “Gattopardo” si fece a suo tempo, cinque anni fa, perché si poteva disporre nell’integralità dei “Ricordi d’infanzia”, la parte più estesa della raccolta – collaziona anche i tre racconti della prima edizione: “Lighea”, “La gioia e la legge” e “I gattini ciechi”, l’ultimo scritto dell’autore del “Gattopardo”, marzo-aprile 1957. La vedova era intervenuta pesantemente nella prima pubblicazione, 1961, dice Gioacchino Lanza Tomasi, che ha voluto la riedizione e l’ha curata con la moglie Nicoletta Polo, sui “Ricordi” – aveva anche cambiato il titolo dei “Gattini ciechi” in “Il mattino di un mezzadro”: questa riedizione è più lunga di un buon quarto. E in effetti un altro Tomasi di Lampedusa emerge, ma non più allettante.
Tomasi, dice il figlio adottivo ed erede Gioacchino, è un autore in progress, a mano a mano che se ne decifrano le carte, “la sterminata mole di libri e carte sparsi nel palazzo di via Butera”.  Decise di “scriversi” dopo la rilettura di “Henry Brulard”, i “Ricordi di egotismo” di Stendhal. Ma questi “Ricordi”, tanto dettagliati quanto acritici, ne fanno un non affascinante passatista, prigioniero di un’infanzia perduta per inettitudine di generazioni, compresa la paterna e la sua. “I genitori dello scrittore vissero soprattutto sulla dote di Beatrice”, annota di passata Gioacchino, della madre dello scrittore - e non seppero gestirla, disperdendola in liti giudiziarie e in rendite pubbliche rimborsate alla fine della guerra in lire svalutate. 
L’apertura è promettente. Tomasi ha perduto la casa della vita e dei sogni nei bombardamenti del 1943, e ora non ne ha più una: “Tutte le altre case (poche del resto, a parte gli alberghi) sono state dei tetti che hanno servito a ripararmi dalla pioggia e dal sole, ma non delle CASE nel senso arcaico e venerabile della parola. Ed in specie quella che ho adesso, che non mi piace affatto, che ho comperato per far piacere a a mia Moglie e che sono stato lieto di intestare a lei, perché veramente essa non è la mia casa”.
Molto diretto. Ma i ricordi sono poi degli ultimi fuochi del feudo, che la borghesia smantellava assecondandone i complessi di superiorità: servitù, banchetti, e debiti. Della Madre e del Padre maiuscoli, tanto quanto inetti. Arrivando a Santa Margherita del Belice, al palazzo con trecento camere, il paradiso della Mamma e quindi della sua propria infanzia, Giuseppe nota “lo smisurato paesaggio della Sicilia del feudo, deserto”, ma nulla più, è solo una notazione geografica. Si leggono questi ricordi, così autogratificanti, perfino esaltati, come lacerti di un tempo e una storia non gloriosi. Di un’incapacità, non di un destino avverso. Perfino ottusa.
L’interesse si sposta, volendosi applicare, anche solo per snobismo, all’apparato di note: Gioacchino Lanza Tomasi delucida ogni riferimento, un lavoro erculeo. E correda i ricordi di una genealogia Corbera Filangeri del Misilindino-Filangeri di Cutò Mastrogiovanni Tasca di Almerita. Si può imparare, avendo pazienza, che Giuseppe Tomasi di Lampedusa era pronipote di un Alessandro Filangieri che aveva due famiglie, una adulterina con la soprano Teresa Merli Clerici – la nonna dello scrittore era la figlia legittima. Che i Filangieri sono i figli di Angerio, cavaliere normanno al seguito di Roberto il Guiscardo. Che Tomasi di Lampedusa in realtà si chiama Tomasi e Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò – in seconda battuta 11° principe di Lampedusa, 12° duca di Palma, barone di Montechiaro, barone della Torretta, grande di Spagna di I classe.
A Alessandra Wolff Stomersee Balbi, la moglie dello scrittore, che pure aveva qualche titolo, Gioacchino non ne dà nessuno, una commoner.
A un certo punto ricorre il principe Francesco Ruffo di Motta Bagnara, nonno della nonna paterna di Gioacchino Lanza Tomasi, Luisa Sarah (poi sposa di un Lanza), che ha sposato una Filangeri. Quindi Gioacchino Lanza Tomasi in qualche modo era già del casato Tomasi di Lampedusa.
Il racconto “I gattini ciechi” si segnala perché la borghesia è sempre quella, in Sicilia, della “robba”, vista da destra e vista da sinistra, da Verga e Pirandello come da Tomasi di Lampedusa. Da questi con una speciale ottica, ancora settecentesca. Che le note caratteriali e gli interessi letterali che GLT segnala confermano: il “Gattopardo” è ancorato al mondo prima della Rivoluzione. Al Goethe della ballata “Il re di Thule” mentre prepara il “Viaggio in Italia”, e al Mozart giovane, che si prepara, in Italia, al “Flauto magico”- “Come diceva Giuseppe: erano i tempi più alti della civiltà umana”. Con un soprassalto, dopo, per  D’Annunzio: una passione, attesta GLT – che risate invece di Carducci.
Racconti a parte – e interesse precipuo dell’edizione – sono in effetti le note e le introduzioni di GLT, sui tempi, i luoghi, l’evoluzione delle scritture, sulle loro vicende editoriali. L’introduzione a “Lighea”, qui intitolato “La sirena”, dà conto dell’estremo interesse dei Tomasi di Lampedusa per la scomparsa di Majorana, il fisico, che quindi il principe aveva semplicemente adattato al suo personaggio, ellenista principe e senatore, sdegnoso, La Ciura.
GLT testimonia anche l’avidità dei Savoia come percepita da Tomasi di Lampedusa. E quindi dell’unità come processo abusivo. Tomasi è con i suoi una sorta di nobiltà nera, che di tutti i misfatti fa capaci i Savoia: nella fattispecie che Umberto I concepisce lo stato come “patrimoniale”, con “affidamenti” (tangenti) su ogni appalto pubblico. C’è anche “l’arroganza del Parlamento dei generali piemontesi”. In un caso, amava raccontare, di un personaggio minore della dinastia, su cui il Parlamento dei “generali piemontesi” era chiamato a indagare in segreto, in commissione, si arrivò a due possibili motivi di incolpazione: o l’interesse o l’omosessualità. L’aneddoto (wicked joke), termina col presidente della commissione, “un generale piemontese per l’appunto” che conclude: “Noi siamo per il culo”. È lo spirito oggi al Sud degli ex fascisti neo leghisti.
Un’ottima edizione, che fa venire voglia di altro (naturalmente buttata via dall’editore, che in quarta richiama cone un invito quella che nel testo è una deprecazione – “Il riccio deve sapere anche di limone, lo zucchero anhe di cioccolata, l’amore anche di paradiso”, per dire che no, non va bene: “Voialtri, sempre con i vostri sapori accoppiati!”
Tomasi di Lampedusa, I racconti, Feltrinelli, pp. 197 € 9




venerdì 23 aprile 2021

Ombre - 559

Fanno soldi a sei e sette cifre a colpo i leader politici non più in attività, oppure in pausa, con presenzialismi, discorsetti, manate, e qualche lobbying: Matteo Renzi e Janet Yellen (oggi ministro del Tesoro di Biden) sulle orme di Hillary Clinton, Gerhard Schröder, Tony Blair, David Cameron. Suscitando sconcerto, nota Fubini su “7”, come se si approfittassero della fede pubblica. Ma non è peggio - cinque sui sei (ex) leader politici in affari non sono di sinistra?  

“Le Regioni all’attacco”, tuoni e fulmini: il governo si prenda l’impopolarità delle misure restrittive, così che i “governatori” possanp farsi belli paladini dell’apertura. È come al punching-ball.  Bisognerebbe chiedere conto ai “governatori” delle tante vittime della pandemia, per la disorganizzazione della loro sanità.
 
Fra i protestatari Giovanni Toti, 52 anni, presidente della Liguria, vorrebbe “liberi la sera almeno il 9 maggio”: “Penso al 9 maggio, la festa della mamma, una data simbolica per farci un regalo”. Il giovane Toti è stato “delfino” di Berlusconi, per 40 giorni ha anche gestito Forza Italia.
  
“Il giudice Piero Gamacchio, fra i più stimati a Milano, va in aspettativa anticipando la pensione già prevista a luglio”, Luigi Ferrarella, “Corriere della sera”. Motivo: non pagava i conti al ristorante.
E gli altri giudici meno stimati di Gamacchio?
 
Non solo i conti al ristorante, il giudice Gamacchio non restituiva i prestiti. E depositava le sentenze in ritardo – è stato anche “sanzionato per questo”. Ma è un eroe per Ferrarella – a lui gli basta che il giudice Gamacchio abbia condannato Craxi. I giornali sono inappetenti anche perché fatti dai cronisti giudiziari, secondo le loro convenienze cioè.
 
Il “Corriere della sera” intervista l’onorevole Anna Macina, sottosegretaria alla Giustizia, per dire  che Giulia Bongiorno, in veste di avvocato della ragazza (o sono due?) che accusa di stupro un figlio di Grillo ha compiuto atti illegali, diffondendo “atti del processo”. Bongiorno annuncia querela e il “Corriere della sera” ritiene chiusa la questione, pubblicandone l’annuncio. Ma tutto si può dire allora sui giornali?

Nell’evento si scopre che è sottosegretario alla Giustizia, e intervistata in pompa sul maggiore quotidiano, un piccolo avvocato che non riuscì a farsi eleggere al suo paese, Erchie, nemmeno al consiglio comunale. In questo senso la Repubblica si può ben dire democratica, molto.
 
Florentino Perez, aduso in Spagna a tutti i favori, il segreto dell’oro disse di aver trovato. Alberto Agnelli, che molti debiti avea e poche entrate, incantato gli credette. Quella della Superlega di calcio sembra una favola di Esopo.
 
Grillo lamenta il processo di due anni, mediatico, al figlio. Non ha torto. Ma non è la sua giustizia, delle piazze? La giustizia politica non ha padri, ma figli molti.
 
La Roma gioca da un mese con punteggio da retrocessione – due punti in sei partite. Ma non è questo che preoccupa i tifosi. I tifosi si aspettavano il Manchester United, prossimo avversario della Roma in Europa, dove aveva umiliato Totti con un facile 7-0, fosse squalificato per la partecipazione alla Superlega. Non parlavano di altro.  Si dice Schadenfreude, gioire delle disgrazie altrui. Ma c’è altro? C’è solo marcio nel  tifo.
 
Impressionante il quadro (“I gioielli smarriti di Roma”) che “La Lettura” fa di Roma in abbandono. Un elenco smisurato di “tesori divorati dall’abbandono e progetti annunciati e mai partiti oppure partiti  ma mai portati a termine”: ritrovamenti d’epoca romana, testimonianze medievali, capolavori rinascimentali, il Barocco, l’archeologia industriale, il contemporaneo. Un abbandono di cui non si può nemmeno fare carico alla sindacatura Raggi: “Decenni di occasioni perdute”. La Repubblica lavora alacremente, fra sperperi e rinvii, a far pensare male di sé – la migliore Roma è ferma a Mussolini (anche il catasto).
 
Stessa imputazione per Salvini, assoluzione a Catania, condanna a Palermo – rinvio a giudizio. Ma Palermo, il Procuratore Lo Voi che tanto ansiosamente rincorre la promozione alla Procura di Roma, feudo del partito Democratico, ha mandato un siluro a Salvini o gli ha alzato una palla?

In punto di diritto – ipotizzando a Palermo dei giudici tedeschi, quelli italiani col diritto ci giocano, q.b. per la carriera – Salvini non avrebbe rappresentato nella vicenda lo Stato ma solo suoi pregiudizi politici. Lo Stato, addo’ sta? Lo Voi&Co sono fermi allo Stato etico, un po’ fascista? Il ministro dell’Interno, eletto, di un governo votato dal Parlamento, è lo Stato, cos’altro è.

Enrico Letta, segretario del Pd, aveva celebrato in  anticipo la condanna di Salvini a Palermo inneggiando col capitano della Open Arms, lo spagnolo Oscar Camps. Che fine ha fatto la “capi tana”, Carola Rakete? Il Pd ha sempre bisogno di festeggiare con “capitani”? Che cosa?

“Ho insegnato ovunque”, spiega a Gnoli il novantacinquenne Franco Ferrarotti, “tranne la Cina: l’inquinamento avrebbe ucciso i miei polmoni malmessi”. La verità è nei particolari. Specie in queste celebrazioni gloriose della festa della Terra, del famoso patto di Parigi per l’aria pulita, primo sottoscrittore la Cina.  
 
“Sorvolo per carità di patria sui colleghi che paragonavano Conte a Churchill. o che raccontarono la favola surreale di un’Italia «modello mondiale» per la gestione della pandemia”, Federico Rampini, “D”. Perché sorvolare, carità vorrebbe il contrario.
 
E Conte era disarmato – benché benvoluto nella buona massoneria. È – era – tutto nella muscolatura del suo addetto stampa Casalino? Bastano un po’ di manubri, e di pesi?


Si fa scandalo di Draghi che dice Erdogan un dittatore. Dopo che Erdogan ha lasciato senza sedia la presidente della Commissione Europea. Non si ricorda che Erdogan doveva discutere con la presidente della Commissione Ue il suo abbandono, un anno fa, della convenzione internazionale che garantisce alle donne parità di diritti.  Convenzione detta di Istanbul, sottoscritta dieci anni fa nella metropoli turca. Con un altro Erdogan. Essere volubili è privilegio dittatoriale. 

Cambiali senza ristori

“L’importante è che la scimmia\ non sia scesa dal cristiano”. Non è questa l’essenza del darwinismo – o dell’antidarwinismo?
Un florilegio di varie raccolte, tra cui quella del titolo. Facezie e moralità in rima, bonarie. Quelle politiche sorprendenti per l’immutabilità, ieri come oggi, cioè oggi come ieri. I cambi di casacca. Il voto pagato, oppure di scambio. E, anche senza pandemia, “ogni giorno un avviso de cambiale,\ ogni giorno un avviso de protesto,\  Banca d’Italia… Banca Commerciale…\ Ma come, in un momento come questo?\ Dove sta la concordia nazzionale?!...”
Trilussa, Ommini e bestie, Garzanti, pp. 109 € 4,90

giovedì 22 aprile 2021

L’unanimismo dei media danneggia il governo

Se la Rai, Sky Tg 24, perfino il Tg 5, e il gruppo Gedi, una ventina di quotidiani, il “Corriere della sera”, il gruppo del “Messaggero”, cioè tutta l’informazione tv e tre quarti di quella a stampa, sono per Draghi comunque, Salvini è costretto a smarcarsi. Ha sempre interesse a sostenere il governo Draghi, ma per “fare notizia” nell’unanimismo dei media deve inventarsi qualcosa, per esempio l’astensione.
L’unanimismo danneggia il governo. In due modi.
Non si direbbe, più l’appoggio è esteso, più un governo  è solido. Ma l’unanimismo dei media è un boomerang. Poiché i governi sono di coalizione - i governi della Repubblica sono sempre di coalizione, essendo la costituzione “parlamentare” nel senso stretto del termine, quale che sia l’alchimia delle leggi elettorali - lo schieramento univoco dell’informazione costringe i partiti a differenziarsi. Come se fossero contro il governo. Non lo sono, ma il governo ne viene però danneggiato, non solo nell’immagine – logorato. Se trovassero spazio nell’opinione non avrebbero bisogno di differenziarsi in continuazione.
Anche il secondo tipo di danno è effetto dell’unanimismo mediatico: l’eccesso polemico. Qualsiasi differenziazione – che è ovvia in un governo, organo collegiale – deve essere polemica. O comunque prestarsi a polemica, per fare breccia nell’unanimismo. Un’astensione non pregiudica il funzionamento del governo, ma deve essere polemica per fare opinione. Nel caso dell’astensione di Salvini, capopartito alla ricerca di visibilità, consentire titoli del tipo: “Salvini boccia il governo, due volte”. “Ira di Draghi (si dice premier, ma Draghi non è premier, nessun presidente del consiglio lo è), n.d.r.) per il dietrofront: «Un precedente grave»”.

Bper non corre più

Il gran premio di Bper si ferma per il motore ingrippato. La banca emiliana, che sembrava pronta a saltare dal quinto o sesto posto al terzo, e forse al secondo, nel gotha bancario, si ferma: i vecchi soci della ex Popolare, undici fondi, hanno paura dell’attivismo di Cimbri, del socio di maggioranza Unipol di via Stalingrado.
Il voto disgiunto per la nomina del presidente, con i fondi coalizzati contro la lista Unipol, è solo un inizio: non c’è più fiducia tra le due componenti, degli azionisti storici per il nuovo intraprendente socio. Tanto più che il presidente candidato da Cimbri, e poi imposto, Flavia Mazzarella, ha fama negli ambienti finanziari di essere solo una sua pedina, una pedina del manager Unipol. Per il precedente noto.
Mazzarella, già dirigente al Tesoro per le privatizzazioni quando direttore generale era Draghi, nel 2012, da dirigente dell’Isvap (oggi Ivass), si fece assegnare in qualità di arbitro la gara per l’acquisizione di FondiariaSai dall’eredità Ligresti, e in tale veste favorì Unipol.
Per una condotta più prudente sarebbe anche la Fondazione Sardegna, il secondo maggiore azionista, benché introdotto nell’azionariato Bper nel 2019 con l’acquisizione di Unipolbanca, cioè da Cimbri.
Il nuovo consiglio ha tre membri dei fondi e cinque di Fondazione Sardegna, contro i sette di Unipol. Lo stesso per il collegio sindacale, due a Assogestioni e uno a Unipol.
Bper si è distinta per una serie impressionante di acquisizioni nei vent’anni del Millennio, con una struttura federativa molto ramificata. Salvo finire, la notte tra il 21 e il 22 giugno di tre anni fa, sotto il controllo di Cimbri.

Cronache dell’altro mondo (109)

La California, all’avanguardia nell’ecobusiness, fino alla vaschetta separata per lo sciacquone, per la pipì e per la cacca, non ha ua rete elettrica. Da anni brucia in estate, e anche in inverno, per  corti circuiti in massa che si scatenano lungo le linee elettriche vecchissime. E non ha un sistema ferroviario: per andare da San Francisco a los Angeless, 600 chilometri, il treno impiega dodici ore. Il rinnovo della linea ferroviaria ta le due città, l’Alta Velocità, cui si lavora da venti anni, ha inghiottito oltre tre miliardi di dollari, e ora è un progetto abbandonato. Nello Stato ecologico si viaggia solo ina automobile, o in aereo.
Il presidente Biden era accusato in campagna elettorale di razzismo. Dalla candidata che ora è la sua vice-presidente, Kamala Harris. Kamala Harris ha fatto una rapidissima straordinaria carriera politica giocando sul colore della pelle.
Biden era sotto attacco in campagna elettorale da #metoo per “atteggiamenti troppo affettuosi” con le sue impiegate. Ora è osannato, dai media femministi e anche da #metoo, come il nuovo Roosevelt.

Il dark web in chiaro, degli adulti

Un film violento. Dispetti, crudeltà, perfino morti, sono la vita normale di piccole famiglie in piccole villette residenziali, di piccola periferia, a Roma. Non c’è cattiveria che i padri si neghino sotto l’apparente normalità, pranzi insieme, nuotate, gite, pagelle scolastiche.  Compresi i professori che a Scienze insegnano come si fa una bomba, e l’uso del pesticida killer. Sullo sfondo dell’infanzia innocente, studiosa, pacata, obbediente.
Il sacrificio, anche, degli innocenti. Il racconto s’intende ricalcare un diario, probabilmente fanciullesco, scritto con inchiostro verde, quindi di una ragazza. I ragazzi sono interlocutori, spettatori e vittime di un mondo senza dialogo, incomprensibile nella sua violenza.
Un mondo senza orizzonte. Vivendo a Roma, si può pensarlo un racconto delle nuove periferie, quelle della sindacatura Raggi, assertive-istruttive. Ma non c’è morale, non sociologica – non è nemmeno una critica della famiglie, né del consumismo. È una condizione umana subumana.
Una critica radicale. Accentuata da un romanesco inafferrabile ai più, talvolta solo accennato, per troncamenti, e nemmeno, per mimica. O disteso, ma allora per dire scemenze. Dialoghi di suoni senza senso, se non di ira e invidia. Si capisce che abbia sorpreso i giurati del festival di Berlino e abbia mietuto Nastri d’argento, Globi d’oro, Ciak d’oro.
La canzone che chiude il film ne ha segnato la traccia. S’intitola “Passacaglia della vita” e wikipedia spiega che è di Stefano Landi, scuola romana del primo barocco, fine Cinquecento-primo Seicento. Cantata da una voce infantile, che è invece il contro-tenore Benoît Dumon, ripete in piano: “Bisogna morire, bisogna mrire”.
Una produzione coraggiosa di Agostino Saccà. Un film molto colto, e molto cattivo. Il dark web tirato in chiaro, degli adulti.
Damiano e Fabio D’Innocenzo, Favolacce, Sky Uno

mercoledì 21 aprile 2021

Ecobusiness

Bioplastiche? “Non si riciclano” - Athanassia Athanassiou, Smart Materials dell’IIT di Genova, nonché moglie del ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani:
https://www.corriere.it/pianeta2020/21_aprile_21/si-fa-presto-dire-bioplastiche-non-illudiamoci-dovremo-investire-loro-smaltimento-d52d2b7a-a213-11eb-b3ed-ee5b64f415b7.shtml
Cioè se ne producono altre plastiche. Con processi non proprio eco. Si rischia – il trattamento oggi più diffuso è – “che l’oggetto buttato, seppure biodegradabile, rimanga nell’ambiente come la plastica convenzionale”. Il riciclo è solo un’altra industria, non salva l’ambiente o poco, poco o nulla rispetto al costo.
Il piano Biden da 2.300 miliardi di dollari per le infrastrutture Usa si pone in grande parte in una ottica ambientale, di riduzione del global warming e di risparmio energetico. A questo scopo 173 miliardi saranno destinati alla mobilità elettrica. L’obiettivo è l’impianto di 500 mila stazioni di ricarica. Più del doppio delle stazioni di servizio a combustibili fossili ora in attività. Una rete elettrica nuova, per tutto il semicontinente americano. L’ecobusiness non  un affare da poco.
La rete elettrica andrà creata nuova negli Stati Uniti anche per i consumi domestici e industriali. Anche perché nei due Stati maggiori, i più popolosi e fra i più vasti, Texas e California, la rete in essere è insufficiene e obsoleta – soggetta a incendi e gelate.
Una potenza elettrica che copra, oltre ai consumi domestici, industrtiali e dell’illuminazione pubblica, una circolazione automobilistica con 500 mila stazioni di ricarica è solo possibile a combustibili fossili, olio combustibile e gas.
Si celebra domani l’Earth Day, creato nel 1970, sotto la presidenza di Richard  Nixon, dalle maggiori aziende americane del petrolio, della chimica, e delle automobili. Che fecero a gara, allora e negli anni successivi, nella celebrazione pubblicitaria dell’Earth Day. In Italia la festa è organizzata da Amazon, con la partecipazione di Atlantia-Autostrade.

Mito è verità

“Vero è solo ciò che è mitico”, James Hillman – “qualsiasi cosa vera ha sempre una componente mitica”. Guidorizzi introduce la collana, che si vuole popolare e di larga diffusione, col radicamento psicologico del simbolo: “Il mondo simbolico che viene dai miti è uno specchio dell’esperienza psichica e ne svela i meccanismi”. I personaggi del mito sono “eccessivi”, moralmente ambivalenti – quando non amorali, e persino sinistri. Ma è il loro segreto, che non è di essere “una creatura del bene: è un essere che per le sue azioni si è reso degno di essere ricordato”.
Guidorizzi abbozza anche l’immagine di Ulisse, “bravo atleta”, mai “precipitoso o iracondo”, insomma calcolatore, freddo, ma in positivo. “È polymetis, «l’uomo dalle molte astuzie», ma anche polytropos, «uomo dalle molte forme, che sa recitare tante parti rimanendo lui, l’eroe astuto, il polytlas, «colui che molto sa sopportare». Vive sempre situazioni nuove e diverse, ma in ognuna è a suo agio. Sa affascinare le donne che incontra, ma è fedele alla casa.
È l’immagine che oggi ne abbiamo. Le “Variazioni sul mito” di Lugi Marfé ne dà (anche) altre. Quella nostra è quella di Dante, che molto ha influenzato i secoli successivi. Prima, “da Virgilio, Ovidio e Stazio fino a Benołt de Saint-Maure e Guido delle Colonne, Odisseo era immaginato come un fine tessitore di inganni” – ma anche prima, nelle tragedie: niente avventura, solo intrigo. A cui un’altra tradizione si opponeva, “per Cicerone, Orazio e Seneca, così come più tardi per Fulgenzio e poi per Bernardo Silvestre e Giovanni del Virgilio”, dell’uomo di esperienza, che non viaggiava a caccia dell’oro ma di novità. Dante lo pone all’Inferno tra i fraudolenti, come da personaggio storico, ma condannato per aver voluto passare le colonne d’Ercole, sfidare la conoscenza, andare oltre. Un mito poi fertile nel Rinascimento, del viaggiatore-scopritore, e nella letteratura inglese a partire da Shakespeare e fino a T.S.Eliot. Una cometa, con una lunga coda, sempre all’orizzonte.
Marfé, specialista di letteratura di viaggio, traccia una messe sterminata di echi letterari a partire dall’Ottocento – già nel Settecento, ma soprattutto nell’Ottocento: Schiller, Foscolo, Goethe, Coleridge, Tennyson, Whitman, Melville, Poe, e Leopardi, Baudelaire, Rimbaud, Conrad. E molte decine, se non centinaia, nel Novecento – Pessoa, D ‘Annunzio, Kafka, Pound, Joyce, Borges, Walcott tra i tanti. Compresi Adorno e Horkheimer, “Dialettica dell’illuminismo”, e Pimo Levi che se lo recita a Auschwitz.
Una compilazione ricca e piena di spunti, per una collana che si vuole popolare, di divulgazione - si venderà in edicola. Simone Beta, il classicista ideatore della collana, segue Ulisse in Omero. Con una breve antologia dai poemi omerici, Sofocle (“Filottete”: Ulisse a dialogo con i sofisti Protagora e Gorgia), Euripide (“Ciclope”), Ovidio (une lettera delle “Eroidi”), Luciano. 
Simone Beta (a cura di),
Ulisse, Corriere della sera, pp.159 gratuito col quotidiano

martedì 20 aprile 2021

Letture - 455

letterautore

Amore – Distingue l’uomo dalle bestie, secondo Beaumarchais - al “Matrimonio di Figaro”, alla scena seconda dell’atto secondo. Per un particolare: “Fare l’amore in ogni stagione, non c’è altro che ci distingua dalle bestie”.
 
Dante
–“Li tedeschi lurchi” dell’ “Inferno”, XVII, 21, non è spregiativo, come comunemente inteso, al modo del boche francese. Treccani, che lo recepisce, così come il “Dizionario della Divina Commedia” di Ernesto Malato, lo spiega bene: “lurco” viene dal latino lurco-onis, e sta per “ghiottone, mangione, beone, ingordo”
 
La “Commedia” Boccaccio dice “la moltitudine delle storie”. In effetti.
 
“Primo Levi si salvò da Auschwitz”, come si sa, ricorda Rumiz, “La leggenda dei monti naviganti”, 71, “recitando la Commedia. Serbare il verbo nel petto gli impedì di diventare un numero: il segreto della parola fece la differenza tra i vivi e i morti”.
 
Discorso indiretto
– Lo “stile indiretto libero”, che tanto angustiava-stimolava Pasolini, e un po’ tutta la letteratura italiana dopo Flaubert (per oltre un secolo, tra Otto e Novecento, le lettere italiane si sono commisurate su quelle francesi), era ritenuto un uso non francese, spiega Vittorio Lugli nel saggio “Lo stile indiretto libero in Flaubert e in Verga” (ora in “Dante e Balzac). Era ritenuto “un costrutto comune in tedesco e non raro nell’inglese”. Mentre era usato, con ottimi effetti, da La Fontaine, prima di diventare “forma usatissima” di Flaubert. Era uno dei “segreti” delle favole: “Questa singolare forma, tanto frequente in La Fontaine”, “questo alternare il discorso diretto, l’indiretto e il terzo modo”, era “uno dei sottili accorgimenti linguistici” che fanno animate le sue rappresentazioni. La scoperta, spiega Lugli, è recente, del linguista ginevrino Jean Bailly nel 1912, in chiave etnica, nazionale: per contestare lo studio del romanista tedesco Fritz Strohmeyer “Der Styl des französischen Sprache” (ancora valido, riedito di recente con pochi adattamenti di Hans.Wilhelm Klein, n.d.r.), secondo cui il discorso indiretto ripugnava al francese, alla lingua.
“Terzo modo” è l’inserimento del discorso indiretto senza subordinate: “Se qualche gatto faceva rumore,\ il gatto prendeva il denaro”, cioè lo rubava – il ciabattino arricchito de “Il ciabattino e il finanziere”, che ha paura di tutto, pensa che anche il gatto gli rubi il denaro.
 
Disney
– Disseminatore di violenza, a partire dai fanciulli, secondo Pasolini. Secondo il Pasolini del ritratto che ne fa Elsa de’ Giorgi, che gli fu sempre vicina, in “Ho visto partire il tuo treno”, 120: “Con meticolosità certosina, a lume di Marx, ripercorreva analizzandoli i frammenti della catastrofe”, la fine degli ideali della Resistenza subito dopo la guerra: “lo spostamento della violenza portato da Walt Disney, diceva, immagini di primordiale innocenza, come animali antropomorfizzati, si concretava nell’amabilità ambigua dei tre porcellini che altro non sono se non i petrolieri di Dallas”. Si radica in questa analisi anche la vena di “Petrolio”?
 
Film
– Una folgorazione lo voleva Kirk Douglas centenario: “Lo scopo fondamentale di un film è la folgorazione. Mostrare allo spettatore qualcosa che non ha altrimenti la possibilità di vedere”. Magari per sua oftalmia?
 
Forestiero – “Colui che esce dalla foresta”, è l’etimo persuasivo di Paolo Rumiz, “La leggenda dei monti naviganti”, 221. Treccani invece lo deriva dal provenzale forestier, derivato a sua volta dal latino foris, fuori.
 
Germania – “Non sa più chi è. Meglio” – Volker Schlöndorff a Cecilia Bressanelli, “La Lettura”. Precisamente: “É difficile parlarne, perché ha perso un po’ la sua identità. In  un certo senso è positivo. I tedeschi oggi, di fatto, non sanno chi sono”.
 
Influencer - Tutto è possibile, come no? Quando la marchesa di Coëtlogon partorì un bambino nero, questo fu perché, scrisse madame de Sevigné preoccupata alla figlia incinta, aveva bevuto in gravidanza una tazza di cioccolato.
La Marquise de Sévigné è ora un marchio celebre, di cioccolata. Di cui la vera marchesa fu personalmente ghiotta – oggi se ne direbbe ambasciatrice o testimonia. E la consigliava, come bevanda nutriente a pranzo, buona per le quaresime, e ottima per il buonumore - “fa simpatiche le peggiori compagnie”.
La Marquise de Sévigné è ora un marchio celebre, di cioccolata. Di cui la vera marchesa fu personalmente ghiotta – oggi se ne direbbe ambasciatrice o testimonia. E la consigliava, come bevanda nutriente a pranzo, buona per le quaresime, e ottima per il buonumore - “fa simpatiche le peggiori compagnie”.
 
Proust – Note ma non considerate le riserve di Gide su Proust. Ben esplicite nel “Diario”. Non solo per l’omosessualità - del tipo “uranista” che Gide non approvava – camuffata in “Sodoma e Gomorra”, a suo dire ipocritamente, nelle forme “del grottesco e del ripugnante”. Ma più per la scrittura, Gide avendo approfondito il classicismo, la litote. Nel gennaio 1914 scriveva a Proust entusiasta, per fare ammenda dell’incomprensione alla prima lettura di “Swann” – di un solo quaderno di “Swann” – rifiutandone la pubblicazione nella “Nouvelle Revue Française”. Nel 1929 annota una riserva più fondata: “La minuzia di Proust può divertire lo spirito, e fare di più: lo informa; ma mi rifiuto di vedervi più di un lavoro preliminare”. Tornandoci sopra dieci anni dopo, nel 1938, il 22 settembre: ammirato ma irritato per “il maniaco bisogno di analisi”. Che si risolve in una impalcatura, una “architettura”, che distrae l’occhio, gli impedisce di cogliere l’insieme.
 
Sogno – È perdita? E traviamento? “Perdere dei secoli in sogno, come Césaire d’Heisterbach” (Jünger, La capanna nella vigna”, 101). Césaire d’Heisterbach è un benedettino di cui la leggenda racconta che dimenticò il passaggio dei secoli ascoltando nella foresta un uccello nel quale s’era incarnata l’eternità (“versione tedesca di un racconto molto noto”, ib.). Ma nell’incoscienza l’attrazione dell’errore è più forte: “La svolta verso l’errore, nell’in
coscienza, è materia di quasi tutti i racconti di Poe” (ib.). La caduta è inavvertita.
 
Traviata
– Croce non ne apprezzava il soggetto originario, “La signora delle camelie”, il dramma di Dumas figlio, convinto che il personaggio – eroe, eroina - deve avere una moralità borghese.

letterautore@antiit.eu

Contro Renzi, il misirizzi

O di “Matteo Renzi. La tragedia della politica itaiana”. Tweet e post della cura quasi quotidiana di Scanzi verso la “Diversamente Lince di Rignano”, il “Senatore di Scandicci”, il Grande Capo del “partito ossimoro” Italia Viva, lo statista della “politica popcorn”, quello che a colpi di “stai sereno” è arrivato ad avere “più voti al Senato che nel resto del paese”. L’aretino, quindi fumantino, Scanzi contro il mezzosangue Renzi, fiorentino-valdarnino. Chiacchierati entrambi, ma Scanzi giustiziere senza appello.
Già autore di un “Renzusconi”, la sua precedente raccolta di post e tweet contro Renzi, come di un appropriatore dell’appropriabile e anche del non apropriabile, Scanzi liquida la preda micidiale subito:  “La carriera politica di Matteo Renzi potrebbe riassumersi così. L’accoltellatore di Letta. L’accoltellatore di Marino. L’accoltellatore di Conte. Tre volte Giuda, son soddisfazioni”.
Un baro in doppiopetto, a ogni giro di poker, anche della mutua di paese.
Detto questo, è detto tutto, sono le battute più feroci. Resta fuori Renzi, un manovratore politico abile. Essendosi insinuato con successo, con  le sue poche schiere (ex) democristiane, ma compatte, nelle pieghe del pachiderma (ex) Pci frammentato dalle ambizioni, nelle varie primarie, a Firenze per il sindaco, e a Roma per il segretari oPd. Per poi “fare”, da presidente del consiglio: l’unico che in questi anni Duemila ha “fatto” qualcosa, tra le irresolutezze berlusconiane, il Prodi sempre silurato dai suoi, e i cosiddetti novisti, il peggio della corruttela italiana.
Certo, uno anche che ha distrutto un paio di generazioni di politici, ha liberato con gli imberbi tutti i nullafacenti d’Italia, all’insegna del nuovo (che ora manda al macero, acculandoli alla leadership di Conte, altro Dc camuffato...), e va tanto veloce che non fa che perdere, il partito un paio di volte, il governo, la fiducia. Ma quanto potere ha ancora per le mani. Che gestisce come un bulldozer: mai la Dc era stata così possessiva come con lui. Nei tre domini sicuri, la Rai, la ricerca e l’energia – dove “si fa” l’Italia, insieme con i soldi, il potere.
Andrea Scanzi, Demolition Man, Paper Fist-Rizzoli, pp. 276 € 12

lunedì 19 aprile 2021

Come collassa l'Italia

Nel primo anno della pandemia l’Europa ha visto il monte salari ridursi dell’1,9 per cento. Malgrado il peso negativo dell’Italia, dove invece la riduzione è stata del 7,47 per cento. Sette punti e mezzo, una valanga. Pari in valore a 39 miliardi di euro. A una decurtazione del reddito distribuito che, nella forma del salario, è pari pari una decurtazione del consumo.
Il monte salari italiano è passato da 526 miliardi nel 2019 a 486 nel 2020. Muoiono così le economie. Quella italiana con ogni evidenza.
I raffronti con i singoli paesi europei sono già dimostrativi. In Germania la flessione è stata di meno dell’1 per  cento, di appena 13 miliardi su oltre 1.500 miliardi di monte salari. In Francia del 3,4 per cento, ma poco in cifra tonda, essendosi il monte salari ridotto da 930 a 898 miliardi. In Italia invece la riduzione è stata talmente forte da riportare i salari al di sotto del livello del 2016 (491 miliardi).
È l’ultimo passo di una riduzione dei redditi da lavoro ormai trentennale in Italia – un sistema produttivo che collassa, come una (piccola) stella, un “buco nero”. Outsourcing o lavoro esterno (partite Iva, contratti a termine, appalti, subappalti) e delocalizzazione dequalificano, rispettivamente, e rimpiccioliscono l’Italia: la indeboliscono, sono un moltiplicatore di debolezza. Arricchiscono nel breve periodo qualcuno, di più fra i ceti improduttivi (intermediari di varia risma), che poi mette il fieno in cascina a Montecarlo o alle Bahamas, ma senza futuro, per l’ambiente che lo circonda, e anche per quello a lui più vicino: l’economia è un gioco di squadra.

La strage degli anziani

Si cominciano a fare i conti della pandemia e l’Italia ne esce come il paese più acciaccato in rapporto alla popolazione, dopo il Brasile, tra deceduti e infetti, e il meno previdente e organizzato per affrontarla. Sulla base dei numeri dell’Oms, e dell’indagine penale della Procura di Bergamo. La terza ondata è per l’Italia ancora più negativa delle precedenti, in rapporto al resto del mondo. Da metà a fine marzo ha registrato 102 morti per Covid-19 su ogni milione di abitanti, contro i 47 della Spagna, i 28 della Germania e gli 11 della Gran Bretagna.
Più le solite inefficienze, che coprono il sottogoverno, i favori. Le vaccinazioni sono cominciate ovunque in ritardo, eccetto che nel Lazio, e sono state impiantate nelle varie regioni senza un criterio. Quello americano e europeo che meglio ha funzionato prevede la vaccinazione preliminare delle classi di età più alte, dai 70 anni in su. In Italia a metà febbraio era stato vaccinato solo un 4 per cento degli ultraottantenni – contro una media Ue (comprensiva della bassa efficienza italiana) del 19 per cento. Ogni regione ha disposto dei vaccini come ha creduto più opportuno per le fortune politiche del presidente della Regione. Qualcuno ha privilegiato i “ricercatori medici” (venditori di medicinali), gli studenti delle scuole di medicina, gli impiegati delle Asl. Oppure gli operatori di giustizia, quindi avvocati, giudici, cancellieri, uscieri e polizie giudiziarie. In Toscana anche i giornalisti. I guardaparchi sono stati inclusi nelle forze dell’ordine. Contabili, periti e legali delle case di cura private, oltre che delle Asl, si sono fatti includere nel personale sanitario.
La Procura di Bergamo intanto analizza il report Italia dell’Oms del 13 maggio, a cura di Francesco Zambon, un ricercatore funzionario dell’Organizzazione, pubblicato sul sito e dopo qualche ora ritirato. Quello che dice che il “piano pandemico”, elaborato nel 2006, non era stato aggiornato. Che il sistema sanitario al Nord era deficitario, con 6-13 posti letto, a seconda della regione, per 100 mila abitanti, mentre la media europea (quindi tenuto conto delle deficienze italiane) è di 12. Che la pandemia si è acuita inizialmente in Italia per l’impreparazione delle strutture mediche: “Gli operatori della salute son diventati essi stessi un grande rischio di infezione. Si calcola che siano stati la causa fino al 10 per cento dei casi di Covid. Tra l’11 marzo (2020) e il 30 aprile (2021, n.d.r.) sono morti 153 dottori”. Peggio è andata nelle Rsa, dove “il 40 per cento dei morti è associato al Covid”, due su cinque. Rsa e Ospedali non avevano, e a lungo non hanno avuto, “prodotti di protezione come guanti, mascherine, respiratori, occhiali, visiere, camici e grembiuli”.

Il cancellatore solitario dei classici

“Un lungo articolo” dedicato a Dan-el Padilla Peralta dal “New York Times”, “(forse troppo lungo)”, spinge Bettini a interrogarsi sul senso della denuncia dei classici con cui questo professore di Classics a Princeton da cinque anni s’illustra. E s’arrampica sugli specchi: bisogna capire l’America, è una nazione composta di molte “comunità”, di neri, “asiatici di ogni provenienza, «Latinos» che di latino hanno solo il nome”, in Italia è diverso, “noi i classici ce li abbiamo in casa”, e “soprattuto, però, da noi gli «altri», le comunità, non ci sono”.
Ma che vuol dire, che c’entrano gli studi classici? Bettini s’acquieta nel peggiore relativismo, di chi si arrende senza nemmeno essere stato puntato o minacciato, e in cui tutto si equivale, anche l’improntitudine e l’arroganza.
In America ci sono le “comunità”, vigili, argomentative, combattive, egualitarie, perché ci sono stati e ci sono i classici. Trenta milioni vi hanno cercato rifugio in questi ultimi trenta anni dall’Asia, dal Sud America e dall’Africa perché ai loro paesi non avevano e non potevano pretendere nulla di quanto hanno in America: mezzi di sopravvivenza, per quanto poveri, cure, accudimento, anche legale, istruzione. Per un fondo di civiltà, comunitaria, per quanto “bianca”, e legale, prima che per un fatto di risorse, o di migliore (non tutto sperperato, rubato) uso delle risorse. Per il concetto di pubblico come distinto dal privato, dagli interessi privati e personali. 
Fra tutte le culture “comunitarie” è solo in quelle classiche che si trovano i concetti di libertà, democrazia, uguaglianza. E di interesse pubblico. E di comunità. Non c’è più eroine e femministe della classicità greca e anche romana. Tutte le battaglie per l’uguaglianza, anche afro-americane, da Toussaint L’Ouverture ad Haiti a W.E.B. DuBois e Martin Luther King Jr., si argomentano e si combattono su questi fondamenti. Roma era razzista, dove? L’impero non fu grande e duraturo perché si basava sulla cooptazione allargata e sul libero movimento delle persone?
E l’insegnamento non ha, non lo dice la parola stessa, una funzione pedagogica, educativa? Dei classici come del pleistocene? Che ci sta a fare Padilla Peralta, che ci sta a fare Bettini?
Si argomenta contro i classici denunciandoli come fondamento della “civiltà occidentale”. E questa trasponendo, con non sottile slittamento, malizioso, in “civiltà bianca”. Da cui poi è facile scivolare al “suprematismo bianco”. Ma nei classici, nello studio dei classici, o non nel loro non studio, nel rifiuto dello studio?
Padilla Peralta, “dominicano di nascita cresciuto a New York” nel suo profilo wikipedia, oggi 35 anni, è stato a 29 professore di Latino e Greco alla Columbia e poi a Princeton. A Princeton si era formato, venendo da una delle migliori scuole secondarie di New York, Collegiate. È da qualche anno uno dei più esposti contestatori della “civiltà bianca”. Pur essendo uno dei migliori “prodotti” di questa civiltà: dove altro un bambino immigrato a 4 anni con la mamma, cresciuto fino a nove anni in “rifugi per i senza casa” (case popolari) del comune di New York, avrebbe frequentato le scuole migliori, si sarebbe laureato e addottorato a Princeton, ne sarebbe divenuto professore associato a trent’anni? Pur essendo un illegale, uno “senza documenti” – gli Stati devono reggersi con le leggi, oppure no?  
L’articolo del settimanale del “New York Times” due mesi fa, il 22 febbraio, è molto lungo in effetti, lunghissimo. Ma perché vuole dare una lezione, oltre che dei “teatri” di Padilla Peralta (gli ottanta allievi “schierati” come in un foro romano), che sempre vengono bene sui giornali, fanno colore, di come – ottimamente - i classici hanno lavorato nella “civiltà” americana.
Maurizio Bettini, Se l’ultima tentazione è cancellare i classici, “la Repubblica” 17 aprile
https://www.nytimes.com/2021/02/02/magazine/classics-greece-rome-whiteness.html

domenica 18 aprile 2021

Appalti, fisco, abusi (201)

Si censura il mutuo acceso da Draghi, ultrasettantenne, per l’acquisto di un immobile come un’operazione di favore, considerata l’età. Mentre è la conferma che si attende un ritorno d’inflazione. Se anche Draghi, che se ne intende, se l’attende – uno che non avrebbe bisogno di un mutuo, ex direttore generale del Tesoro, Goldman Sachs, governatore della Banca d’Italia, presidente della Bce. Non proprio dell’inflazione, che si teme quando arriva a due cifre, ma di una lievitazione dei prezzi, di quel 3-4 per cento che fa lievitare l’economia e quindi gli immobili, e i tassi d’interesse – ma non quelli del mutuo a tasso fisso.
 
L’arrivo del nuovo amministratore delegato fa male a Unicredit in Borsa. E nei commenti: Unicredit non è più in testa con Intesa, forse non è più nemmeno il secondo gruppo bancario, in Lombardia non è più nemmeno il terzo, cresce Bper con l’ex Ubi, dietro Intesa e Bpm…. E che ha fatto di male l’ad entrante, pure tanto atteso? Ha una retribuzione troppo alta a giudizio di alcuni soci. Che però  volevano un ad bravo – a retribuzione alta? 
Si gioca al ribasso. Giocano al ribasso gli stessi soci – alcuni di essi?

Tre D, Secure, Start, etc., banche e carte di credito non fanno che complicare le procedure. Di controllo per la sicurezza, certo, non ce ne sono mai abbastanza, la rete è piena di insidie. Ma innecessarie: servono a rinvii alla home, per esibire un’altra volta le offerte, di prodotti, servizi sanitari, home security, assicurazioni di ogni genere – a Roma capita di essere presentiti spesso per la grandine.

La ricerca resta un feudo renziano

Formidabile spregiudicata occupazione militare degli scherani di Inguscio, cioè di Renzi, delle posizioni dirigenziali al Cnr, il cuore della ricerca italiana. Non bastandogli le posizioni di potere occupate nell’anno e mezzo di prorogatio dello stesso Inguscio, il presidente uscente, un fatto senza precedenti, nell’inattività degli organismi collegiali. Si capisce che abbiano accettato la successione nella persona di Maria Chiara Carrozza, l’ex ministra del nemico Letta. Mai tanto attivismo nei concorsi aperti, e negli appalti e contratti degli istituti collegati al Cnr.
Carrozza sorridente promette di fare pulizia. Ma il Cnr renziano ha depredato il depredabile, e anche il non depredabile, da veri democristiani. Furbi e furbissimi. Duri e durissimi, da banditi di passo, che adoperano ogni mezzo e saltano ogni ostacolo, anche legale. Carrozza oppone sui social l’altra immagine Dc, da colomba angelica, e forse non è un caso: Letta e i suoi sono democristiani atipici, la vera Dc è cannibalesca.
Ricerca e energia, due feudi storici Dc, sono stati occupati e restano saldamente in mano a Renzi. Eni (vedi anche le scorribande, pagate, molto, del lìder nella penisola arabica) ed Enel si sono visti confermati i manager scelti da Renzi. Al Cnr, dopo l’anno e mezzo di proroga per il suo protetto Inguscio, un record, per quanto negativo, ma senza vergogna, Renzi non è riuscito a metterci un altro dei suoi. Ma non teme Carrozza, se non l’ha scelta lui stesso per conto di Letta.

Cronache dell’altro mondo - femministe (108)

Il movimento #metoo ha lanciato nel cinema la figura di intimacy coordinator: “Una figura professionale”, femminile, “a metà strada tra il coreografo e lo stunt coordinator,  che si occupa di predisporre le scene con contenuto sessuale, assicurandosi che si rispetti un processo creativo sempre trasparente e basato sul consenso” (“Link. Idee per la tv”).
Si discute se censurare, dopo Woody Allen, un altro ebreo eccellente, Philip Roth, questi per antisemitismo oltre che per oltraggio alle donne.
Prima di Ph. Roth la censura ha colpito Biancanese e la Bella Addormentata, le favole. Biancaneve perché è circuita mentre dorme, la principessa Aurora perché il principe la bacia dormiente senza la sua autorizzazione. Vero, la richiesta è stata formulata.

Moro non era il santino del Pci

Due pagine del “Corriere della sera” non bastano a Guido Bodrato, il superstite della “vecchia guardia” Dc, a dire due cose essenziali per la figura di Moro. Damato, all’epoca attivo cronista politico, le ricorda. Il giorno in cui Moro fu rapito, il 16 marzo, si votava la fiducia al governo Andreotti, l’ennesimo dello stracco “compromesso storico”, che aveva relegato il Pci al ruolo di sostenitore esterno con l’astensione. Per superare questa “conventio ad excludendum”, dice Bodrato, il Pci aveva proposto come ministri degli “indipendenti di sinistra”, dei non comunisti, cioè, eletti dal Pci. E Andreotti rifiutò. No, testimonia Damato, fu Moro a rifiutare: “L’ipotesi dei ministri scelti fra gli «indipendenti di sinistra» eletti nelle liste del Pci era stata già rimossa dalle trattative proprio da Moro, in difformità dalla disponibilità di Zaccagnini e Andreotti a parlarne”. Berlinguer in qualche modo aveva digerito l’esclusione. Ma poi c’era stato di peggio: la lista del governo presentata da Andreotti “conteneva la conferma”, spiega Damato, “di due ministri democristiani di cui i comunisti avevano chiesto l’esclusione. Essi erano Carlo Donat-Cattin e Antonio Bisaglia, in difesa dei qual Moro alla Camilluccia (il luogo dove si negoziò il governo, n.d.r.) disse con fermezza che la Dc non poteva far selezionare i suoi dirigenti da un altro partito, fosse pure il Pci”.
Ce ne vuole per fare di Moro, come fanno i morotei superstiti, e alcuni (ex) comunisti come Veltroni, l’intervistatore dialogante con Bodrato, una icona di Berlinguer, del Pci – ce ne vorrebbe, ce ne dovrebbe volere.
Francesco Damato, I ricordi di Bodrato su Moro, Start Magazine 17 aprile